Paola Venturelli

Alberto Zorzi. Micro opere d’arte da indossare


vntpaola@argosvd.eu
DOI: 10.7431/RIV25122022

Nell’ analizzare l’arte del gioiello in Italia del secondo dopo- guerra, uno straordinario momento in cui questa forma espressiva diventa ricerca autonoma e campo privilegiato di sperimentazioni, lo storico e critico d’arte del XX e XXI secolo Enrico Crispolti (1933-2018), segnalava le due vie su cui si muove l’oreficeria contemporanea italiana: quella degli ‘artisti- orafi’ e quella degli ‘orafi- artisti’ 1. Formulata da uno studioso particolarmente attento alla gioielleria, anche a quella realizzata da Alberto Zorzi, la cui produzione ha costantemente seguito dagli anni Ottanta in poi, tale classificazione comporta da un lato la presenza di artisti (pittori, scultori, architetti, designer) che si limitano a sporadiche incursioni nel gioiello, sperimentando la propria creatività attraverso materiali per loro inusuali, con la distinzione quindi tra ideazione ed esecuzione, dall’altra quella di autori di formazione orafa che si cimentano essi stessi nelle lavorazioni, coniugando conoscenze artigiane ed espressione artistica. Alberto Burri (1915-1995), per esempio, commissiona nel 1962 ad Edgardo Mannucci (1899-1968 ) alcuni pezzi da eseguire su suoi disegni, Giuseppe Capogrossi (1900- 1973) fa tradurre i suoi ornamenti preziosi a orafi di professione, mentre Lucio Fontana (1899-1968) affida agli inizi degli anni Sessanta la realizzazione del suo primo gioiello ai fratelli Arnaldo (1926) e Gio (1930-2002) Pomodoro, entrambi scultori, ma che incominciano il loro percorso come creatori di monili, caso unico in Italia 2. Nell’altra categoria invece troviamo figure come Mario Pinton (1919- 2008) e il suo allievo Francesco Pavan (1937- ), dei quali parleremo 3.

In entrambi i casi si tratta ad ogni modo di ‘gioiello d’autore’, un gioiello di ricerca (formale e tecnica), che si presenta come pezzo unico, portando avanti un concetto opposto alla ‘serie’ 4. E in entrambi i casi il prodotto ha imprenscindibili presupposti: l’indossabilità e lo stretto connubio con il corpo, con cui dialoga anche attraverso il movimento, facendo interagire metalli e gemme con la luce. “Arte sul corpo”, come afferma Klaus Wölfer, direttore artistico del Bundeskanzleramt di Vienna, diffusione dinamica dell’opera, eposta con e attraverso la persona. Una forma d’arte diversa da una scultura o da una pittura, ma come un dipinto o una scultura, anche ‘da guardare’, da fruire esteticamente 5.

Alberto Zorzi: definizione e formazione

Nato nel 1958 a Santa Giustina in Colle (Padova), Alberto Zorzi appartiene alla prima categoria individuata da Crispolti. E’, infatti, un orafo- artista, convinto che la gioelleria debba essere considerata come “espressione di micro opere d’arte”, da “utilizzare e non solo osservare”, con l’“obbligo ineludibile della portabilità e funzionalità” 6.

Si forma a Padova, città dove tra 1959 e 1967 nell’ambito delle ricerche di Arte Programmata, Cinetica, Luminosa, è attivo il gruppo ENNE, cui collabora Francesco Pavan 7. Studia all’Istituto Statale d’Arte Pietro Selvatico, frequentando dal 1976 la sezione separata per Arte e Lavorazione dei Metalli e dell’Oreficeria. Fondata nel 1866 da Pietro Selvatico e divenuta nel 1959 Istituto d’Arte con una sezione apposita per la lavorazioe dei metalli, durante il secondo Novecento la scuola diventa un centro per l’oreficeria d’avanguardia in Italia con, prima studente, poi docente (1944-1969) e quindi direttore (1969-1976), Mario Pinton, brillante orafo che all’aprirsi degli anni Cinquanta inizia a concepire il gioiello come opera d’arte, ritenendo la “materia” la “prima ispiratrice dell’atto operativo” 8.

Dall’ Istituto Statale d’Arte Pietro Selvatico escono diverse generazioni di maestri orafi appartenenti alla cosiddetta Scuola di Padova, una realtà unica in Italia, connotata da una forte sperimentazione, concretizzata attraverso una ricercata essenzialità delle forme, sulla base del fondamentale principio della figura geometrica, intesa come sintesi di materia, luce e spazio. Viene riconosciuta a livello internazionale nel 1983 attraverso una mostra itinerante (10 Orafi Padovani- Moderne Goldschmiedekunst aus Italien), curata da Fritz Falck, allora direttore dello Schmuckmuseum Pforzheim, con catalogo cui collabora Mario Pinton. Tra gli artisti espositori c’è Alberto Zorzi, da due anni impegnato in diverse esposizioni collettive tra Monaco, Hanau, Pforzheim, Hannover, Anversa, Zurigo 9. Sarà presente anche tra i nove autori selezionati per la Biennale di Sperimentazione Orafa tenutasi a Padova nel 1986, presso il Museo Bottacin 10, manifestazione che ufficializza definitivamente la Scuola di Padova 11.

Forma

Razionalità geometrica e inventiva plastica costituiscono la chiave di lettura del quarantennale impegno orafo di Alberto Zorzi.

Superando il repertorio della Scuola di Padova, partendo dalla forma, bidimensionale o nello spazio, il suo percorso progettuale aumenta nel corso degli anni geometricamente d’intensità, verso sagome più libere e ritmicamente articolate. L’elemento plastico rimane tuttavia componente forte e costante, spesso giocato sulla sfera e sul suo frazionamento, così come la spiccata tendenza scultorea, dovuta anche alla sua diretta frequentazione, seppur saltuaria, in tale ambito artistico. “La mia ricerca” – scrive- “vive di una tensione a creare ‘oggetti’, microsculture da indossare, con una loro capacità e forza espressiva e formale già di per sé organicamente risolta”.

Sperimenta forme aperte e rovescite che evidenziano cavità e spazi interni, oppure si frammentano e fratturano in modo lamellare, compenetrandosi, replicandosi e sovrapponendosi. Non si tratta inoltre di un rapporto emotivo con i materiali, piuttosto di dar corpo a una struttura in grado di inglobare e costringere la materia stessa, in una serie di incastri entro cui viene coinvolto lo spazio, ritenuto a sua volta intervallo geometrico. Altro assunto fondamentale, già formulato agli inizi degli anni Ottanta, è infatti il “concetto del ‘vuoto’ applicato al gioiello”, per farne “emergere l ‘anima’, il suo interno. Scoprire le cavità, il gioiello non è solo quello che appare, ma può avere un vuoto che può venire alla luce […] Questa esemplificazione evidenzia la centralità tridimensionale e scultorea che vive da sempre nel mio lavoro”, come afferma lo stesso Zorzi 12. (Fig. 1) Si muove su questi presupposti anche la serie “Structura”, (Fig. 2) con gioielli costruiti attraverso sagome geometrizzate piane ricavate dal metallo, ‘ingabbiate’ da solidi aerei dei quali rimane solo il contorno volumetrico, spesso alterato e deformato da studiati schiacciamenti, dove piani e linee si intersecano, suggerendo illusioni ottiche e luminonse. La ferma definzione dei volumi e del loro rapporto con lo spazio, interno o esterno, sottopone a un rigore matematico anche gli elementi più instabili, come la luce che tocca le superfici, diventando anch’essa elemento formale.

La componente luce può giocare talvolta con la motilità degli elementi componenti i monili, collane e bracciali particolarmente, caratterizzati da complessi e delicati meccanismi costruttivi, che permettono il reiterarsi degli elementi stessi e l’indossabilità 13. Finalità questa sentita da Alberto Zorzi, tuttavia, come “limite” alla sua creatività, costrizione. Talvolta pertanto la dimentica, contraddicendo gli assunti di “funzionalità” che egli si prefigge sempre nell’ideare un gioiello, calcolando il “peso”, le sagome, studiando i “sistemi applicativi di chiusura e snodo”, “meccanismi ‘architettonici’” dai quali “non si può prescindere”. Come scrive sempre Zorzi: “non si possono eludere questi problemi di funzionalità, bisogna affrontarli. Confrontarsi e misurarsi con queste difficoltà, significa tentare di superare il limite della portabilità e risolverlo a favore della progettualità generale, del risultato complessivo finale”, impedendo che tali assunti stravolgano “la progettualità dell’opera” 14.

La tensione tra portabilità e libera creatività artistica è particolarmente sentita nell’elaborare gli anelli, come mostra l’esemplare in oro eseguito nel 2003, La città. (Fig. 3) L’ indossabilità è infatti messa a dura prova dalla sagoma conferita alla ‘fascia’: un cubo aperto, con superfici il cui andamento evidentemente contrasta con la forma del dito che indosserà l’anello. Appartiene alla serie La città, nata intorno al 1994, con opere (spille, collier, pendenti, anelli) dominate da lamine più o meno aguzze, dai profili irregolari che si elevano da una base piana e si protendono verso l’alto, inclinate in vario modo, in un calibrato disordine, richiamando la visione dei grattacieli di una metropoli visti dall’altro, ornamenti ‘ostili’ 15, (Fig. 4) che planano con forme plastiche sintetizzate e aperte.nel collier con pendente in oro e onice Metropolis (2121), presentato alla recente (2021-2022) mostra milanese 16. (Fig. 5)

Di segno opposto sono invece le lunghe e aeree collane realizzate nel tempo da Zorzi, formate dal susseguirsi di leggeri elementi, come quella del 1979, in argento, Senza titolo, (Fig. 6), con articolazioni flessuose di moduli lamellari reiterati di stampo geometrico (segno di appartenenza alla Scuola di Padova), resi mobili grazie a fini perni con estremità arrotondate che si inseriscono nelle lamelle.

Gli intuibili giochi cinetico- luminosi che si attuano nell’indossarle distinguono anche alcune spille, in genere in argento o rame parzialmente dorato, talvolta con rialzi cromatici in smalto, formate dall’accostamento di sottili lamine a forma di petali, modellate morbidamente in modo da moltiplicare i giochi delle rifrazioni luminose, come è il caso della voluminosa (ca. 9 cm. di diametro) brooch del 1994, Senza titolo, (Fig. 7) in argento e spruzzature di smalto rosso, colore particolarmente caro a Zorzi.

Superficie / Luce/ Colore

Orafo- artista, Zorzi interviene sui metalli attraverso varie tecniche, dal cesello, al niello, all’ incisione, all’antica granulazione, graffiando, scavando e satinando, per esaltare la qualità luminosa intrinseca al materiale e creare giochi diversi di riflessione. Sulla superficie lascia talvolta dei segni, ‘scrive’. Sono elementi grafici di diverso tipo, quindi distanti dal fonema proposto da Capogrossi, costituito da un modulo semplice, ossessivamente ripetuto. Intervengono infatti in modo non univoco, ma sempre con la finalità di movimentare il metallo, creando una tenue tridimensionalità, mediante avvallamenti, rialzi, interruzioni. Ecco allora dall’aprisi degli anni Settanta la serie Scriptura/Scrittura, ben documentata nella mostra fiorentina del 2009, tenutasi a Palazzo Pitti- Museo degli Argenti 17. Emblematico il bracciale cubico del 1975, dove l’oro è prima percorso da leggere zigrinature, quindi scavato da unghiature più o meno profonde, disposte liberamente sui quattro lati del gioiello. (Fig. 8) Per il bracciale del 2005 sono invece buchi di differente dimensione a intervenire irregolarmente sulla sottile lastra di rame, trasformata in un nastro sinuoso e serpeggiante colorato con smalti a gran fuoco dalle tonalità fluide, acquarellate (rosso e blu in varie gradazioni) (Fig. 9); evidente la sintonia con l’operato di Lucio Fontana, un artista molto amato da Alberto Zorzi, laureatosi all’Università di Padova, in Storia dell’Arte Contemporanea, con una tesi sul gioiello d’artista, concentrandosi in modo particolare su Fontana. Altra declinazione è offerta dal bracciale in oro del 2006. Modellata attraverso leggere torsioni e angolature, la lamina è percorsa lungo tutta la sua lunghezza da incisioni, modulate da un susseguirsi di interruzioni e riprese (Fig. 10) che trasformano il gioiello in un nastro di seta plissè, una struttura architettonica tessile, con la stessa sorprendente valenza degli abiti plissettati di Roberto Capucci (1930), “lo scultore della seta” come è stato definito 18; appartengono a quest’ultimo gruppo anche bracciali in argento ravvivati da stesure colorate (rosso e blu) in pittura ad olio, tecnica inedita per la gioielleria, usata per rivestire la parte interna del monile, oppure per movimentare quella esterna, coprendo le sottostanti strigilature del metallo.

Se pur in modo diverso, tale materiale qualifica un altro bracciale a fascia d’argento, sempre della serie Scriptura, (Fig. 11), esposto alla personale tenutasi a Venezia, presso il Museo Fortuny (2010-2011), curata di Enrico Crispolti 19. Il pigmento rosso è steso direttamente sul metallo in vari strati, lavorati da picchiettature e strascinamenti, rivestendo interno ed esterno del bracciale, dai profili taglienti e aguzzi come le lamelle della serie Città, determinando un effetto materico che ricorda Burri e omaggia l’informale.

I pigmenti a olio, usati con grande libertà sempre in modo materico, abbinati alla ‘scrittura’ sul metallo’, distinguono anche la serie Capricci, inaugurata negli anni Novanta, esemplificata dal collier con pendente in argento Capricci- Il Fiore, del 2009. (Fig. 12) Placchette irregolari di metallo si sovrappongono, piegate e modellate in modo diverso; sono percorse da texture differenziate tra loro che ne movimentano la superficie, oppure dipinte in rosso scarlatto e nero, in una composizione destrutturata, tesa a effetti di dinamica tridimensionalità.

Materiali

Il linguaggio orafo di Zorzi, che punta ai movimenti e alle spansioni, alle figure geomeriche che si cambiano e compenetrano, in invenzioni compositive inesauribili, si affida anche alla polimatericità e alle differenziazioni cromatiche offerte dai materiali.

All’ oro (giallo e bianco), all’argento (anche brunito), si abbinano i più poveri rame (talvolta parzialmente dorato), acciaio, ottone, ferro, accompagnati da gemme preziose, perle, madreperle, ebano, ardesia e pietre dure, dal lapislazzuli, alla malachite, all’onice, usati con effetti coloristici sempre molto decisi e netti, in dialogo serrato con le altrettanto perentorie forme conferite alle parti metalliche (Fig. 13). Ma gli interessano anche materiali sperimentali e moderni, quali il plexiglass o lo spinello e il rubino sintetico (Fig. 14), la tormalina, la rodocrosite, in un dinamismo plastico- cromatico di grande effetto, incentrato sul rapporto di forme elementari compatte ed altre destrutturate 20.

Si tratta di inserti preziosi che egli stesso talvolta taglia e lavora in forme geometrizzate, a disco, cuneiformi, cilindri, coni, prismi, più o meno appuntiti, di diversa cromia (preferito il verde, il rosso, il blu), linee- forza di sigla futurista che attraversano e fendono il gioiello. Possono essere in materiali trasparenti (Fig. 15) (come i quarzi), monocromi (l’onice) o variegati (come la malachite e il diaspro), ma sempre lucidi e levigati, offrendosi alla luce in modo unitario. Sono in agata bianca e malachite, per esempio, gli inserti geometrizzati che connotano il collier Opera aperta (2007) (Fig. 16), un gioiello appartenente al filone zorziano ‘più plastico’, che scompone corpose forme in dinamici intrecci di volumi specchiati, concavi e convessi, orchestrati per piani netti di colore, in contrappunti legati ai valori della luce.

Il recente (2018) collier Sospesi equilibri, (Fig. 17) mostra invece un pendente formato da due lamelle in argento con incisioni pettinate, di forma irregolare imitanti foglie, completato da un’agata grigia tondeggiante messa in equilibrio precario sul metallo, una composizione che ha allentato l’impianto geometrico per abbracciare il biomorfico 21.

Questi materiali vengono lavorati da Alberto Zorzi attraverso tecniche che sono sostanzialmente quelle dell’oreficeria tradizionale.

Diverso è il discorso dell’altro binaro caratterizzante l’itinerario artistico di questo autore, che ha avviato dagli anni Novanta una collaborazione con l’industria e alcune ditte argentiere e orafe italiane, affidando le sue idee progettuali ad altri operatori. All’interno di un’apertura avviata dalla Pampaloni di Firenze verso il progetto firmato d’autore22, per questa ditta ha per esempio nel 1998 lavorato sul tema della caraffa, elaborandolo attraverso un contenitore ottenuto per elettroformatura, nato dal duplicarsi in verticale di un’unica sagoma bombata. E sempre per la Pampaloni ha ideato altra oggettistica, progettando manufatti dalle forme essenziali e geometrizzate, con superfici specchiate, in modo tale che la luce vi batta sopra percorrendola senza cesure 22, come succede per la teiera del 2006, Mathematica (Fig. 18), e per il vaso Vibratilità del 2007, (Fig. 19), dove però il rigore del cilindro è interrotto dalla sovrapposizione di petali ondulati e mobili.

Anche l’ambito dei gioielli a tiratura limitatata è percorso da Alberto Zorzi, lavorando sia per la Pampaloni sia per ditte aretine, come la “Uno A Erre” o la Koala Preziosi, sia vicentine.

NOTE

Impossibile riassumere qui l’intensa attività di Alberto Zorzi (esposizioni personali e collettive, Premi internazionali, ecc.) che comprende anche la docenza, sia presso l’Istituto Pietro Selvatico di Padova sia presso l’Università. Attualmente insegna al Master in Storia e Design del Gioiello dell’Università di Siena, e Oreficeria e Micro-mosaico all’Accademia di Ravenna. Molte opere di Zorzi sono entrate a far parte di collezioni museali italiane e straniere. Quanto meno sino al 2009, rimando a Zorzi, in Zorzi. Gioielli, Argenti, Disegni 1973-2009 Jewelry, Silver, Drawings, a cura di O. Casazza, E. Crispolti, A. Zorzi, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Pitti- Museo degli Argenti, 29 luglio- 1 novembre 2009), Firenze 2009, pp. 188- 207.
Le illustrazioni (ad eccezione della Fig. 11) utilizzate in questo articolo son state gentilmente concesse dalla Casa Editrice Sillabe di Firenze che ha edito il catalogo.

  1. Cfr. E. Crispolti, Gli scultori, in L’oro della ricerca plastica, a cura di E. Crispolti, catalogo della mostra (Fano 1985), Milano 1985, p. 10; Idem, Immaginazione aurea, in Immaginazione aurea. Artisti orafi e orafi artisti in Italia nel secondo Novecento, a cura di E. Crispolti, catalogo della mostra (Ancona 2001), Cinisello Balsamo 2001, pp. 13-14; Idem, Appunti per una storia del gioiello d’arte in Italia nel secondo Novecento, in Gioielli d’autore. Padova e la Scuola dell’oro. Artistic Jewellery. Padua and it’s Jewellery School, a cura di M. Cisotto Nalon, A. M. Spiazzi, catalogo della mostra (Padova 2008), Torino 2008, pp. 58-61. Per la particolare metodologia critica di Crispolti, con il tema della “storiografia del contemporaneo” e il problema della “complementarietà fra esercizio storiografico e pratica critica”, cfr. E. Crispolti, Come studiare l’arte contemporanea (Nuova edizione aggiornata e ampliata), Roma 2010.[]
  2. Per gli autori citati, cfr. M. C. Bergesio, in Dizionario del gioiello italiano del XIX e XX secolo, a cura di L. Lenti, M. C. Bergesio, Torino 2005, pp. 49-50; 107-108; 231-235; A. Zorzi, Sculture per il corpo. Il gioiello d’artista in Italia. I maggiori protagonisti dal 1946 ad oggi, Beau Bassin 2018, pp. 135-146; 231-256; 315- 338 (con bibliografia).[]
  3. Cfr. Rigore e Libertà. All’origine del gioiello contemporaneo italiano. Mario Pinton, Francesco Pavan, Giampaolo Babetto, a cura di M. Bazzini, catalogo della mostra (Pistoia 2018-2019), Pistoia 2018 (con bibliografia).[]
  4. Cfr. Il gioiello d’artista in Italia 1945-1995, a cura di L. Somaini, C. Cerritelli, Milano 1995; L’arte del gioiello e il gioiello d’artista dal ‘900 ad oggi. The Art of Jewelry and artists’ Jewels in the 20th Century, a cura di M. Mosco, catalogo della mostra (Firenze 2001), Firenze 2001; A. Zorzi, Sculture per il corpo…2018, pp. 17-31.[]
  5. K. Wölfer, Il gioiello è arte sul corpo, in Gioielleria contemporanea. Padova- Vienna. Quattro stazioni: Francesco Pavan- Annamaria Zanella- Helfried Kodré- Peter Skubic, a cura di G. Folchini Grassetto, catalogo della mostra (Padova 2002), Padova 2002, pp. s. n.[]
  6. A. Zorzi, Sculture per il corpo…. 2018, pp. 1, 8-9.[]
  7. Cfr. I. Mussa, Il gruppo ENNE. La situazione dei gruppi negli anni Sessanta, Roma 1976.[]
  8. Mario Pinton. Gioielli, sculture, poesia- Jewels, Sculptures, Poetry, a cura di L. Attardi, M. Cisotto Nalon, Milano 2020.[]
  9. M. Pinton, La scuola orafa di padova, in 10 Orafi Padovani- Moderne Goldschmiedekunst aus Italien), a cura di F. Falck, catalogo della mostra (Pforzheim 1983), Padova 1983, pp. s. n. La prima delle molte esposizioni personali di Zorzi risale invece al 1987, a Zurigo (Galerie Schmuck Forum).[]
  10. 14a Biennale Internazionale del Bronzetto Piccola Scultura. Un’oreficeria di ricerca. Nove artisti orafi della Scuola Padovana, a cura di G. Segato, A. Saccocci (Padova 1986), Padova 1986; cfr. G. Folchini Grassetto, The Padua School Modern Jewellery from three Generations of Goldsmiths, Stuttgart 2005.[]
  11. A. Zorzi, Il rapporto dell’artista orafo contemporaneo con il pubblico, in Gioielli in Italia. Il gioiello e l’artefice. Materiali, opere, committenze, a cura di L. Lenti, Atti del convegno (Valenza 2004), Venezia 2005, pp. 211-231 (p. 212: la “scuola orafa padovana alla quale anch’io appartengo […], attraverso le diverse generazioni d’artisti orafi apparsi sulla scena, continua una ricerca avanzata e significativa che per alcuni artefici si sviluppa oltre il gioiello anche nel linguaggio scultoreo (come nel mio caso)”.[]
  12. Cfr. A. Zorzi, Il rapporto dell’artista orafo contemporaneo con il pubblico…. 2005, p. 217.[]
  13. Cfr. P. Venturelli, in E. A. Arslan, P. Venturelli, L. Vinca Masini, C. Webert- Stöber, A. Quattordio, Alberto Zorzi, catalogo della mostra (Milano, Erfurt, Hanau, Vicenza, Firenze, Vienna, Verona, Berna, Milano 1999-2001), Milano 1999, pp. 20-42.[]
  14. A. Zorzi, Il rapporto dell’artista orafo contemporaneo con il pubblico… 2005 pp. 217-218, 222, 223.[]
  15. Tra i molti significativi riconoscimenti, quello ricevuto da Zorzi a Roma nel 2003, con assegnazione del Primo Premio Nazionale Argò EditorePer le novità della gioielleria, con l’opera “La Città” (2002), “Gioiello d’avanguardia per ricerca e sperimentazione”.[]
  16. Geometrie nello spazio. Gioielli di Alberto Zorzi, a cura di A. Quattordio, BABS ART Gallery, Milano, 25 novembre- 2021- 22 febbraio 2022.[]
  17. Zorzi. Gioielli, argenti, disegni 1973-2009… 2009 (esposizione itinerante, che prosegue tra Firenze, Venezia, Milano, Miami, Atene, Modena, Kiev, Vicenza, sino al novembre 2011).[]
  18. Cfr. da ultimo, G. L. Bauzano, Lo scultore della seta. Roberto Capucci, il sublime nella moda, Venezia 2018.[]
  19. Unicum- Alberto Zorzi. Gioielli e argenti 2000-2010, a cura di E. Crispolti, catalogo della mostra (Venezia 2010- 2011), Torino 2010.[]
  20. Nel 1994 Zorzi espone, per esempio, 50 gioielli in materiale sintetico nella Galleria Birò a Monaco, una galleria che si dedica esclusivamente ai gioielli di questo tipo di materiali (cfr. C. Weber- Stöber, Alberto Zorzi, in E. A. Arslan, P. Venturelli, L. Vinca Masini, C. Webert- Stöber, A. Quattordio… 1999, pp. 54-70, p. 64. Per i materiali nei gioielli di Zorzi, rimando a P. Venturelli, Ivi, 1999, pp. 20-42).[]
  21. Il gioiello è stato presentato alla mostra di Milano 2021- 2022, cfr. alla nota 16.[]
  22. Rimando a G. Centrodi, Zorzi tra Arezzo e Firenze, e E. Crispolti, Qui non solanto gioielli ma oggetti e disegni, in Zorzi. Gioielli, argenti… 2009, pp. 145-157; 159-185.[]