Paola Venturelli

Quattro opere in collezione privata. L “Insigne glittografo” Giovanni Beltrami (1777-1854) tra il conte Giovanni Battista Sommariva e i Turina di Casalbuttano

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DOI: 10.7431/RIV29102024

 “[…] niuno si accinse a rivaleggiare col pennello e collo scarpello, niuno diede in un topazio di pochi pollici, od altra pietra di simil tempra, la Cena di Leonardo da Vinci, la Tenda di Dario di Lebrun, Giove coronato dalle Ore dell’Appiani, e Bacco consegnato da Mercurio alla Ninfa dell’antro Niseo, preso da un contorno dell’immortale Canova […]”. Così l’erudito e collezionista Antonio Meneghelli (1765-1844)1, si pronunciava nel 1839 a riguardo del glittografo cremonese Giovanni Beltrami (1777- 1854) (Fig. 1), ritenendolo “forse maggiore di quanti fiorirono ne’tempi a noi più vicini”, giudicando i suoi lavori un “vero prodigio dell’arte” 2. Abile nel dettaglio e nella resa di un gran numero di figure in spazi piccoli, Giovanni Beltrami fu un autore prolifico, ampiamente elogiato dai contemporanei3, con un corpus di opere che dovette aggirarsi sui trecento esemplari, purtroppo però solo in piccola parte pervenuto, noto oggi da calchi4. Tra i suoi clienti ci sono Napoleone Bonaparte, Eugenio de Beauharnais, figlio di Giuseppina, e la sua corte, la Principessa Amalia di Baviera, il principe Bartolomeo Soresina Vidoni, Giovanni Battista Sommariva, i fratelli Bartolomeo e Ferdinando Turina, il conte Sola di Milano5. Amante delle lettere e delle arti, proposto da Nicola Cerbara, il 7 dicembre 1840 Beltrami verrà eletto Virtuoso di Merito corrispondente della prestigosa Accademia dei Virtuosi del Panthoen, sodalizio di cui fece parte anche Canova6.

Due intagli per Giovanni Battista Sommariva

Tra 1815 e 1826 Beltrami riproduce numerose opere della raccolta di Giovanni Battista Sommariva (1757- 1826), custodite sia nella dimora parigina che in quella Tremezzo, sul lago di Como, facendosi principale interprete del progetto varato dallo stesso Sommariva per divulgare i capolavori da lui posseduti tra collezionisti, critici e viaggiatori: dattilioteca sostanzialmente però andata perduta7. Tra gli esemplari eseguiti da Giovanni Beltrami per questo raffinato collezionista8, c’era un intaglio, non rintracciato, conosciuto attraverso impronte e uno stampo in vetro blu della Collezione Paoletti9, con la copia del perduto dipinto raffigurante la Carità di Carlo Cignani (1628-1719)10. Si riferisce a questo lavoro di Beltrami lo stampo qui presentato (Collezione Privata), in vetro incolore (cm 4.5×3.5)11, recante l’iscrizione BELTRAMI /CARLO CIGNANI PINX. / SOMMARIVA POSSIEDE/ 1819 (Fig. 2). Anche il secondo stampo (5,7×4,6 cm), (Fig. 3) è una riproduzione in vetro incolore di un intaglio realizzato per Sommariva, in cristallo di rocca (Collezione Privata)12, materiale prediletto da Beltrami insieme alle pietre traslucide o trasparenti perchè permette di percepire meglio la figurazione dell’incisione, come sottolinea Lucia Pirzio Biroli Stefanelli, con cui creò il famoso Ultimo bacio di Romeo a Giulietta, al Metropolian Museum di New York, siglato HAYEZ FRANCESO DIP. BELTRAMI INC. 1824/ SOMMARIVA POSSIEDE13. Il nostro vetro incolore riproduce un dipinto al Louvre del pittore francese Anne- Louis Girodet de Roussy Trioson (1767-1824), Pygmalion et Galathée, come indicato dall’iscrizione che vi figura: / SOMMARIVA POSSIEDE / GIRODET TRIOSSON PINX/ BELTRAMI INC.181814; rappresenta il momento in cui la scultura di Galatea viene tramutata da Venere in donna davanti agli occhi increduli del suo creatore, Pigmalione, secondo il mito ovidiano (Metamorfosi, X, 243-305).

Due inediti calcedoni e i Turina di Casalbuttano (Cr)

Si aggiungono al ridotto corpus di opere pervenuteci di Beltrami due intagli in Collezione Privata, entrambi in calcedonio e trasformati in pendenti.

Uno (3,6×4,2 cm) mostra l’iscrizione I. I. BELTRAMI 1826 (o forse “1828”) (Fig. 4), l’altro (4×3 cm) (Fig. 5) M. MAIER D/ BELTRAMI INC/ B. TURINA POSSIEDE / 1826. Dunque, si tratta nel primo caso di un’opera il cui soggetto venne ideato dallo stesso Beltrami, mentre nel secondo, da un lato di un’iconografia desunta da un’opera figurativa (realizzata da un certo “Maier”)15, dall’altro di una commissione di Bartolomeo Turina, con il fratello Ferdinando tra i maggiori clienti del nostro glittografo, ricchi possidenti terrieri di Casalbuttano (Cr), proprietari di una filanda, nonché collezionisti d’arte16. Per Bartolomeo, Giovanni Beltrami realizza il celeberrimo intaglio con la Tenda di Dario (Cremona, Museo Civico Ala Ponzone), usando un topazio bianco del Brasile (5×8 cm), impiegandovi tre anni di lavoro, traendo le figurazioni dall’incisione di Gérard Edelinck (1640-1707) del dipinto eseguito (1661) da Charles Le Brun (Les Reines de Perse aux pieds d’Alexandre) al Louvre17. Un intaglio contrassegnato dall’inscrizione C. LE BRUN DIPENSE L’A° 1661 G. BELTRAMI INCISE l’A° 1828 IN CREMONA/ TURINA ORDINO’ E POSSIEDE18, particolarmente apprezzato per il virtuosismo esecutivo e il numero delle figure (“oltre venti”), ciascuna variata nelle pose e nelle attitudini sentimentali, e per l’abilità nello scalarle spazialmente.

Non ancora analizzata nel suo insieme dalla critica, la raccolta glittica dei Turina dovette inziare intorno alla metà del secondo decennio dell’Ottocento. Non se ne fa cenno, infatti, nel “catalogo delle principali opere” di Beltrami – “insigne e meraviglioso glittografo” – tracciato da Vincenzo Lancetti nella Biografia cremonese (1820)19, così come nell’Abecedario biografico dei pittori, scultori ed architetti cremonesi (1827) di Giuseppe Grasselli20, fonti che dedicano a questo incisore grande spazio. Fu probabilmente Bartolomeo a incominciarla, sulla scia di quella di Sommariva, del quale sarebbe stato “emulo”, stando ad Antonio Meneghelli, prendendo dopo la scomparsa del conte (1826) il posto quale principale committente di Beltrami21. Altro capolavoro per i Turina che colpisce è il perduto Bacco fanciullo consegnato da Mercurio alle Ninfe dell’antro Niseo, intagliato sopra un “giacinto guarnaccinino”, con figurazione recuperata da un dettaglio de La nascita di Bacco (1797) di Andrea Canova, cui Beltrami aggiunge “al di sotto” un “Baccanale tutto creato dalla sua feconda immaginazione”22, completando con CANOVA/ TURINA POSSIEDE/ MAI NON SI PENTE/ BELTRAMI INV. E INC. 1832 CREMONA23.

“16 aprile 1834” – Un inedito libretto scritto da Giovanni Beltrami e dedicato a Bartolomeo Turina

Sia l’intaglio con la Tenda di Dario che quello con Bacco fanciullo consegnato da Mercurio alle Ninfe dell’antro Niseo sono elencati dallo stesso Beltrami in un libretto manoscritto formato da diciannove pagine, dedicato a Bartolomeo Turina il 16 aprile 1834. Contiene “una breve descrizione di tutte le incisioni […] allogate” (cc. 1r-v) da questo committente, fornendo indicazioni sui materiali, l’iconografia e le fonti letterarie, dando inoltre di ciascuno intaglio la sagoma e la dimensione24.

Dopo i ringraziamenti rivolti a Barolomeo e al “degnissimo” fratello che, oltre “all’amore del commercio, il quale dà lustro e ricchezza […], onorano bensì di loro amicizia e protezione le belle arti”, e avere tracciato una piccola storia della glittica, Beltrami passa a illustrare in nove capitoletti nove opere:

1 La tenda di Dario (“Topazio bianco del Brasile”), cc. 4r-5r.

2 Bacco fanciullo consegnato da Mercurio alle ninfe dell’antro Niseo (“Giacinto Guarnaccino”), cc. 5v-6v.

3 Angelica e Medoro (“Giacinto Guarnaccino”), cc. 7r-8v25.

4 Venere ferita da Diomede si presenta a Giove (“Corniola bianca”), cc. 9r-10r.

5 La pace di Amore e Psiche (“Corniola verde”), cc. 10v-11r.

6 La Ricchezza che presenta ad Amore i suoi tesori (“Corniola bianca”), cc. 12r-13r.  

7 La ricchezza vinta da Amore (“Corniola bianca”), cc. 13v-14r.

8 La testa di Niobe (“Topazio del Brasile”), cc. 14v-15r.

9 Rinaldo ed Armida (“Giacinto Guarnaccino”), cc. 16r- 19r26.

I nostri due calcedoni oggi in Collezione Privata corrispondono ai nn. 4 e 6.

Per il n. 4 (Venere ferita da Diomede si presenta a Giove), esemplare dunque che, se anche privo del nome del possessore, dobbiamo ricondurre a Bartolomeo Turina e riconoscere in quello citato nelle fonti coeve riferito a questo collezionista27, Beltrami precisa l’iconografia (“da me disegnata”) essergli stata ispirata dall’Iliade di Omero (Libro V). Nel minuzioso e partecipato racconto del suo intaglio28, non mancano dotte citazioni letterarie. Versi dal III Libro dell’Ars Amatoria di Ovidio -come noto contenenti precetti destinati alle donne- e, parlando di Venere, parole tratte da un epitalamio di Pietro Metastasio (1698- 1782): “Piacer degli uomini= E degli dei”29. Desunzioni ci sono peraltro anche nella resa figurativa dell’intaglio. Un’eco nel braccio di Venere proteso verso Giove del dipinto di Jean- Auguste- Dominique Ingres Venere ferita da Diomede (ca. 1803), al Kunstmuseum di Basilea e, per Giove, suggestioni dall’Apoteosi di Napoleone, del ciclo di affreschi eseguiti (1808) da Andrea Appiani per Palazzo Reale di Milano per decorare la Sala del trono, oggi al Museo di Villa Carlotta (Tremezzina, Co), distrutti dal bombardamento del 1943, con Napoleone nelle vesti di un antico imperatore assiso sul trono. Citazioni dal III Libro dell’Ars Amatoria tornano anche nell’altrettanto dettagliata descrizione dell’intaglio n. 6, con La Ricchezza che presenta ad Amore i suoi tesori 30, il cui “soggetto, tutto allegorico […] prese a trattare il Signor Maijer”, come dichiara lo stesso Beltrami31.

Di grande rilevanza risultano inoltre i segni e le note aggiunte da altre mani sul nostro manoscritto. Ci sono piccoli tratti rossi, inclinati a sinistra, o incrociati, apposti vicino al titolo di ciscuna opera (nn. 1- 9) e talvolta tratti blu che percorrono in diagonale intere pagine, corrispondenti agli esemplari nn. 2, 4, 5; intaglio quest’ultimo (La pace di Amore e Psiche) perduto, noto da calchi e da una placchetta in bronzo al Museo Civico di Brescia, con iscrizione BELTRAMI32, quantomeno nel 1834 appartenuto a Ferdinando Turina33.

Se i segni rossi appaiono chiaramente il risultato di un controllo effettuato in un certo momento sull’insieme, la ragione di quelli in diagonale sui lavori nn. 2, 4,5, trova spiegazione attraverso le annotazioni che figurano sulla sinistra dei rispettivi titoli, redatte in grafia diversa da quella del Beltrami. Una mano scrive (in blu) per il n. 2 (Bacco fanciullo consegnato da Mercurio alle ninfe dell’antro Niseo): “Consegnato a / S.n Francesca Turina/ Gambarini per eredità/ dal padre Bortolo Turina”. Lo stesso Bartolomeo per il n. 4 (Venere ferita da Diomede) e il n. 5 (La pace di Amore e Psiche), invece, con inchiostro nero, appunta: “Dono fatto a mia Nipote/ Rosa Gambarini per /le sue Nozze/ Bortolo Turina”. Quest’ultimo pezzo appare peraltro una scelta perfetta come dono nuziale, poiché, Beltrami per questa sua “composizione”, raffigurata in “una corniola di rarissimo colore”, precisa che “Amore si presenta non già quel cattivello dagli occhi bendati, che scherza e ferisce”, ma “sotto sembianze di un giovin marito, che sta per imprimere un’affettuso bacio alla diletta sua sposa” (c. 11r).

Si tratta dunque di tre opere che in occasioni diverse escono dalla collezione di Bartolomeo Turina, rimanendo tuttavia in famiglia.

La Francesca menzionata è la figlia di Bartolomeo e della moglie Rosa Bossi, morta prematuramente a trentatrè anni il 22 agosto 1830, già madre di quattro figli, dei quali solo due sopravissuti: Francesca nata nel 1818 e Fortunato, nato nel 182534. Nel 1838 Francesca si sposa con Carlo Girolamo Gambarini35, mancato a sua volta nel 1850. Dalla loro unione nasce Rosa che morirà il 21 giugno 1889. Tra il 1862 e il 1864 si era unita in matrimonio con il nobile milanese Giovanni Battista Cagnola (1825-1901)36, nell’ottica di una rete matrimoniale accuratamente studiata a tavolino dai Turina al fine di imparentarsi con famiglie lombarde altolocate37. A un momento prossino alle nozze risale la foto (1860-1870) che ritrae la giovane Rosa Gambarini custodita nel Civico Archivio Fotografico del Castello Sforzesco di Milano38 (Fig. 6).

Fino a questo matrimonio la collezione glittica dei Turina descritta da Giovanni Beltrami nel suo libretto, con le due incisioni qui presentate quindi quasi ricomposta, mancando infatti il Bacco fanciullo consegnato da Mercurio alle ninfe dell’antro Niseo e La pace di Amore e Psiche, dovette ad ogni modo rimanere nel palazzo di Casalbuttano, comparendo integra nella Grande Illustrazione del Lombardo Veneto (1858) di Cesare Cantù (1804-1895), con l’aggiunta di un “addio di Giulietta a Romeo dell’Hayez su topazio orientale” e di una “testa di Giove crinito, cameo in corniola”39.

  1. C. Chianchione, Meneghelli, Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, 73, Roma 2009, online.[]
  2. A. Meneghelli, Dello Insigne Glittografo Giovanni Beltrame, Padova 1839, pp. 4-5, 11 (lo dice nato nel 1779).[]
  3. F. Robolotti, Cremona e la sua provincia, Milano 1859, p. 523 (i “sommi artisti contemporanei, Bossi, Appiani, Sabatelli, Cicognara, Berini, Giovanetti, Pickler lodarono a cielo il nostro Beltrami come artista che componeva, disegnava, modellava con grande gusto e verità e che sentiva squisitamente la grazia, e molti di essi vollero avere inciso da lui un artista prediletto”).[]
  4. A. Meneghelli, Dello Insigne…, 1839, nota 4, p. 23 (“I lavori da noi accennati e descritti formano una tenue parte dei molti che nel periodo di una vita operosa e non breve il Beltrami condusse a compimento. Sono tali e tanti, che lo stesso autore ha obliato il tema di parecchi, né sa ricordarsi da chi venute gli siano le ordinazioni”).[]
  5. Cfr. V. Lancetti, Beltrami Giovanni, in Biografia cremonese, ossia dizionario storico delle famiglie e persone per qualsiasi titolo memoriabili e chiare spettanti alla città di Cremona, II, Milano 1820, pp. 133- 156; D. Sacchi, G. Sacchi, Le belle arti e l’industria. Almanacco per l’anno vecchio da leggere nel 1833, Milano 1832, pp. 100-102; C. E. Colla, Bacco fanciullo consegnato da Mercurio alle Ninfe dell’Antro Niseo: Opera glittografica di Giovanni Beltrami cremonese, in Il Nuovo Ricoglitore ossia archivi di letteratura antica e moderna, IX, marzo, Milano 1833, pp. 189-190; Id., Nuove opere glittografiche di Giovanni Beltrami cremonese. Ritratto di Raffaello- Amore e Psiche- l’Olimpo di Appiani, in Ricoglitore italiano e straniero, Milano 1834, p. 275; D. Sacchi, Il Glitografo Giovanni Beltrami, in Indicatore Ossia Raccolta Periodica di scelti articoli […], aprile- maggio, III, tomo II, 1834, pp. 247-252; A. Meneghelli, Dello Insigne…, 1839; C. von Wurzbach, Beltrami Johann, in Biographisches Lexikon des Kaiserthums Oesterreich, I, Vienna 1856, pp. 250-52; A. Golzález- Palacios, Una cornice neoclassica (e una nota di Giovanni Beltrami), in Id., Il tempio del gusto. Le arti decorative in Italia tra classicismo e barocco, I, Milano 1984, p. 201, figg. 268-370; R. Valeriani, Di Giovanni Beltrami, glittografo cremonese, in “Antologia di Belle Arti- Studi sul Neoclassicismo”, 2, nn. 35-38 1990, pp. 23-29; L. Pirzio Biroli Stefanelli, “Avea il Marchese Sommariva una sua favorita idea…”. II. Le incisioni di Giovanni Beltrami, in “Bollettino dei Musei Comunali di Roma”, XI, 1997, pp. 111-131; G. Tassinari, An intaglio by Giovanni Beltrami and some Considerations on the Connection between Plaquettes and Gems in the late Eighteenth Century – early Nineteenth Century, in Classicism to Neo- Classicism: Essays dedicated to Gertrud Seidmanm, ed. by M. Henig, Oxford 1999, pp. 191-204; Eadem, Glyptich Portraits of Eugène de Beauharnais: The Intaglios of Giovanni Beltrami and the Cameos by Antonio Berini, in “The Journal of the Walters Art Museum”, 60- 62, 2002-2003, pp. 43-64; H. J. Rambach, The Antinous Braschi on Engraved Gems: an Intaglio by Giovanni Beltrami, in “Lanx”, 15, 2013, pp. 111-122; A. L. Genovese, Giovanni Beltrami, in V. Tiberia, La collezione della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Dipinti e sculture, a cura di A. Capriotti, P. Castellani, Subiaco 2016, pp. 167-173.[]
  6. A.L. Genovese, Giovanni Beltrami…, 2016, p. 167.[]
  7. Da ultimo, L. Pirzio Biroli Stefanelli, Inediti intagli e cammei della collezione del conte Giovanni Battista Sommariva, in Liber Amicorum in honour of Diana Scarisbrick. A life in Jewels, ed. by B. Chadour- Sampson, S. Hindman, C. van de Puttelaar, with the assistance of G. Grizzi, London 2022, pp. 134-141 (con bibliografia).[]
  8. Probabilmente Beltrami non copiava i modelli originali, ma gli smalti in cui Sommariva li aveva fatti riprodurre (F. Mazzocca, Neoclassicismo e troubadour nelle miniature di Giambattista Cigola, catalogo della mostra (Milano 1978- 1979), Firenze 1978, p. 84.[]
  9. L. Pirzio Biroli Stefanelli, “Avea il Marchese…, 1997, p. 116, n. 234, fig. 2g; Eadem, La Collezione Paoletti. Stampi in vetro per impronte di Intagli e cammei, II, Roma 2012, p. 222, n. 234 (con bibliografia); A. L. Genovese, Giovanni Beltrami…, 2016, n. 4 p. 169.[]
  10. Catalogue de la Galerie du Comte de Sommariva comprenant la collection de tableaux de l’école d’Italie, celle de peintres de l’école Française […], Paris 1839, p. 25 n. 40; cfr. D. Lewis, The Last Gems: Italian Neoclassical Gem Engravings and Their Impressions, in Engraved Gems. Survivals ad Revivals, ed. by C. M. Brown, Washington 1997, pp. 223-305 (nota 61, p. 305).[]
  11. L’identificazione dei materiali (6 maggio 2020) delle quattro opere qui presentate spetta all’Istituto Gemmologico Italiano (Responsabile di Laboratorio: Loredana Prosperi).[]
  12. L. Pirzio Birolli Stefanelli, “Avea il Marchese …, 1997, p. 120, n. 242, fig. 3e; Eadem, La Collezione Paoletti…, 2012, p. 222, n. 242 (con bibliografia).[]
  13. L. Pirzio Biroli Stefanelli, “Avea il Marchese …, 1997, pp. 125-126; Eadem, in Incisori in pietra dura a Piazza di Spagna, a cura di L. Pirzio Biroli Stefanelli e F. Leone, Firenze 2009.[]
  14. Catalogue de la Galerie …, 1839, n. 2 Pygmalion, pp. 6-8.[]
  15. Forse il pittore francese Charles Meynier (1763-1832), da un quadro del quale (1810), posseduto dal conte Sommariva, Beltrami trasse una delle sue incisioni, con Minerva che difende Telemaco dagl’inganni d’ Amore nell’Isola di Calipso, nota in diverse impronte (cfr. L. Pirzio Biroli Stefanelli, La collezione Paololetti…, 2012, n. 232, p. 222: un vetro incolore con iscrizione MEYNIER PINX. BELTRAMI INC. 1819/ SOMMARIVA POSSIEDE); cfr. alla nota 30 qui di seguito.[]
  16. In generale, cfr. A. Bellardi Cotella, I Turina, e V. Guazzoni, Aspetti artistici tra Ottocento e Novecento, in Casalbuttano, a cura di V. Guazzoni, Soresina 1983, pp. 201-17, 220-245.[]
  17. Ricavo la notizia da: A. Cazzaniga, Molte frasche e poche frutte. Scritti editi e inediti, I, Milano 1843, pp. 214-217 (“il signor Bartolomeo Turina, invaghiosi del famoso intaglio di Edelink rappresentante la tenda di Dario, del Le- Brun, amò di averlo inciso su una pietra dura, e ne affidò al Beltrami la cura, che accettò colla maggior soddisfazione”).[]
  18. R. Valeriani, Di Giovanni Beltrami…, 1990, p 23; D. Lewis, The Last Gems…, 1997, p. 297 e nota 51 p. 304; L. Pirzio Biroli Stefanelli, La collezione…, 2012, n.49, p. 316 (con bibliografia).[]
  19. V. Lancetti, Beltrami Giovanni… 1820, p. 153.[]
  20. G. Grasselli, Abecedario biografico dei pittori, scultori ed architetti cremonesi, Milano 1827, pp. 34-35 (lo dice nato nel 1777).[]
  21. A. Meneghelli, Dello Insigne…, 1839, p. 12 (“Emulo del Sommariva per copia di commissioni, per animo generoso nel rimunerare l’artista, fu il Turina, ricco possidente di Casalbuttano.”).[]
  22. A. Meneghelli, Dello Insigne…, 1839, p. 16; cfr. anche C. E. Colla, Bacco…, 1833, pp. 189-190. Le opere i cui soggetti non sono copiati, ma inventati dall’autore, costuiscono elemento di grande importanza nel percorso professionale dei maestri della glittica.[]
  23. R. Valeriani, Di Giovanni Beltrami…, 1990, p. 25; L. Pirzio Biroli Stefanelli, La collezione…, 2012, pp. 320-221, n. 514; A. L. Genovese, Giovanni Betrami…, 2016, n. 12, p. 170.[]
  24. “A Bartolomeo Turina/ delle belle arti/ esimio amatore e proteggitore/ questi pochi cenni/ in segno di gratitudine offre/ L’Incisore Beltrami/ […] 16 aprile 1834” (Archivio di Stato di Cremona, Ms. 352).[]
  25. È tra i pochi originali rimasti di Beltrami, leggermente fratturato (Cremona, Museo Civico Ala Ponzone), con iscrizione MATTEINI- BELTRAMI INC. / B. TURINA POSSIEDE/ 1827, tratto da un perduto dipinto di Teodoro Matteini (1754-1831), inciso su rame da Raffaele Morghen (1758- 1833) nel 1795 (R. Valeriani, Di Giovanni Beltrami…, 1990, pp. 23-25; D. Lewis, The Last Gems…, 1997, pp. 298- 299, e note 65-69 a p. 305; L. Pirzio Biroli Stefanelli, La collezione…, 2012, n. 555, p. 323; A. L. Genovese, Giovanni Beltrami…, 2016, n. 2 p. 168; G. Tassinari, Il dipinto di Teodoro Matteini con Angelica e Medoro nella glittica, in “Acta Classica Universitatis Scientiarum Debreceniensis”, LIX, 2023, pp 155-184 (a pp. 160-161).[]
  26. Oltre ai già citati nn. 1, 3, anche i nn. 7, 8, 9 sono al Museo Civico Ala Ponzone di Cremona, donati nel 1908 da Fortunato Turina, cfr. V. Guazzoni, Museo Civico Ala Ponzone. La pinacoteca: origine e collezioni, Cremona, p. 113.[]
  27. A. Meneghelli, Dello Insigne…, 1839, p. 12.[]
  28. Cc. 9v-10r: “Siede il Gran Giove fra le nubi dell’Olimpo, colla sinistra tiene lo scettro, colla destra una patera, avente a fianco l’aquila, simbolo di suo reale potere. Lunga la chioma, folta la barba al mento, nudo il petto, il braccio e la gamba dritta, e tutto il restante del corpo d’ampio manto coperto, ti mostra tutta la grandezza e dignità dell’impero suo. Ignuda gli sta dinanzi la bella Ciprigna tutta in se ristretta, e misto a quel pudore tanto proprio al bel sesso, lascia  scorgere il suo dolore e il suo dispetto: al destro fianco la Dionea dolcemente l’abbraccia, e tenendola per la diritta mano al sommo Iddio la presenta, in atto di indicargli l’acerba ferita. Dietro le stanno la superba Giunone e Minerva, che memori dell’antica di lei vittoria sul monte Ida, e furse punte d’un pochino d’invidia per tanta bellezza, in atteggiamento di dilegio, par dicono: guata la miserella, che or piagne. Un Amoretto ai piedi di Venere giace riverso fra le nubi, lasciando abbandonato arco e faretra ed asciugando colla mano gli occhi turgidetti e molli di pianto. /In questo gruppo spicca tutta la maestà del sommo Tonante, e tutte le grazie di quella Venere, che il Metastasio chiama: Piacer degli uomini= E degli dei. Il suo crine è composto da diversi nodi, e tutto il leggiadro corpo ti si para quasi di facciata, onde tu possa ammirare il delicato delle molli membra, e provare quel dilettoso sentimento, che desta l’aspetto di una Venere. Ella è nuda, perché sa bene che la bellezza non ha bisogno d’ornamento, essendo per se’ stessa abbastanza potente, siccome appunto afferma Ovidio ne’suoi precetti di amore: /Formose minus opera, preceptaque curant;/ Est illis sua dos, forma sine arte potens. / (Ovidio Amat. 66. III) / All’Egida, all’aspetto guerriero tu riconosci Pallade Minerva, e Giunone la ravvisi per un certo fare dispettoso e superbo, tutto proprio di questa gelosa Dea. Ma tu di loro poco ti curi, e gli occhi tuoi sono tratti dalla bella Dea d’Amore, che ti commuove al vederla umiliata e dolente. Fortunati però gli antichi, che le loro Veneri restavano ferite, quelle d’oggidì per lo contrario lasciano feriti gli altri e di quali ferite !!!”.[]
  29. “Epitalamio scritto in Napoli dall’autore nella prima sua gioventù, per le nozze degli eccellentissimi signori D. Giambattista Filomarino, principe della Rocca, e di donna Vittoria Caraccioli, de’ marchesi di S. Erasmo, l’anno 1722”: “Scendi propizia / col tuo splendore, / o bella Venere, /madre dell’Amore ,/ o bella Venere,/ che sola sei/ piacer degli uomini/ e degli dei/”.[]
  30. A. Meneghelli, Dello Insigne…, 1839, p. 12 (afferma che questa composizione con quella della Ricchezza vinta da Amore, “sono una traduzione di due dipinti francesi”; Giovanni Beltrami (c. 13v) scrive che La ricchezza vinta da Amore, “di Pendant” all’altro”, è “tolto da Prud- Hon”: dunque l’ipotesi che il “Signor Maijer” sia da identificare nel pittore Charles Meynier si consoliderebbe).[]
  31. Cc. 12v- 13 r: “Il soggetto, tutto allegorico, che prese a trattare il Signor Maijer, e che da me venne inciso in una corniola bianca, io lo chiamerò la Povertà contenta, perché anche questa, che da taluno viene disprezzata, può rendere gli uomini felici, quando un tenero sentimento di amore è dolce compenso alle privazioni, ed ai patimenti. In questo disegno si è voluto indicare, che nulla sono le dovizie a fronte degli affetti del cuore. Mirasi la Ricchezza sotto la figura di una donna di portamento altero, riccamente vestita, la quale tien nella destra un piccolo scrigno aperto, entro cui sono raccolti tutti i suoi tesori; e colla manca fa cenno di offrir questi ad amabile fanciulla, che nuda le spalle, e parte del colmo petto, tutta riboccante di vezzi si restringe fra le braccia di Cupidine facendogli un bel nodo al collo con la sinistra mano; e posandosi lievemente al petto di Amore, si volge alla donna in atto non curante e par le dica col molle  candor di Giulia: /Nec nos ambitio, nec amor nos urget habendi./ (Ov. Art. amat. vers. 541) / Tienti pur le tue ricchezze, tienti i tuoi favori, che io non son tratta dall’ambizione, né dal desio di ammassare. Amor, il bel Cupido, che si presenta un’amabil e giovinetto alato tiene stretta al seno la cara fanciulla, non cura gli inviti della donna altera, ed appoggia la sua testa su quella dell’amasia in atto di imprimerle su le gote un’affettuoso bacio. Dietro agli innamorati un puttino con infantile vezzo fa un atto di spregio contro le seduzioni della Ricchezza. E cosa significa quel pavone, che sta dietro alla donna dello scrigno? Voi, cui l’opulenza insuperbisce, cercatene il simbolo. /Maestoso è l’aspetto della Ricchezza, la quale anche senza lo scrigno si conoscerebbe per tale dalle vesti che fluidamente tutta la persona ricoprono, e dal presentarsi grave e sostenuto. Tutto affetto è la cara fanciulla, che amorosa avvilicchiandosi dietro al suo Cupido, ti mostra il grazioso sporgere del destro fianco; e l’acerbe poma del petto; Amore dolcemente la stringe, e ti desta piacere nel contemplare le sue membra ignude, e massime il bel collo ove si vede il protendere di muscoli per la piegatura del medesimo. Questo atteggiamento ti fa comprendere la possa di quel sentimento, che con una catena d’oro lega tutti gli esseri del creato, e che presenta l’uomo nel suo stato più naturale. E diffatti cosa farebbe il mondo senza questo istinto? Un caos, un labirinto, un sepolcro”.[]
  32. Cfr. da ultimo, A. L. Genovese, Giovanni Beltrami…, 2016, n. 7 p. 169; per la placchetta in bronzo, cfr. G. Tassinari, An intaglio …, 1999, p. 194, e figg. a p. 203.[]
  33. C.E. Colla, Nuove opere…, 1834, p. 275.[]
  34. G. Pini, Iscrizioni e poesie Italiane e Latine e traduzione d‘una parte delle odi oraziane, Cremona 1857, p. 228, CCCLXXIV (“[…] A/ Rosa Turina/ della nobil casa dei Bossi […] / rapita il 22 agosto 1830/ nella florida età / di trentatré anni”); p. 229 CCCLXXV.[]
  35. Cfr. Per le faustissime nozze Turina- Gambarini d’Ersi, Cremona 1838.[]
  36. Il loro figlio è Costanzo (1868- 1925), cfr. Annuario della nobiltà italiana- anno XXI, Bari 1899, pp. 342-343; cfr. P. Angelini- S. Angelini, La villa comunale di Verdello, Gorla (Bg) 1980 (nel 1844, scomparso Carlo Maria Gambarini, la proprietà passa al nipote Carlo Gerolamo e alla morte di questi, nel 1850, alla minorenne Rosa Gambarini).[]
  37. Il fratello di Bartolomeo Turina, Ferdinando, il 1819 si unisce in matrimonio con la sedicenne Giuditta Cantù, famosa per essere stata l’amante di Vincenzo Bellini, poi divorziandone (cfr. A. Amore, Vincenzo Bellini. Vita. Studi e ricerche, Milano 1894, pp. 84- 89).[]
  38. Civico Archivio Fotografico, Raccolte Grafiche e Fotografiche del Castello Sforzesco di Milano- Foto Ritratti, inv. FR E 1201 (Grillet & C.ie/ Photographes du Roi/ S. a Lucia, n° 28./ Naples); cfr. Fotografieincomune.comunedimilano.it/fotografieincomune/schedafotografia/SUP-3°130-0008696?context=photoBySearch&position=1; la fotografia fa parte dell’Album della Contessa Clara Maffei 1, il cui salotto venne frequentato anche da Giuditta Cantù e dal marito, cfr. R. Barbiera, Il salotto della contessa Maffei e la società milanese (1834-1886), Milano 1895, pp. 82, 87.[]
  39. C. Cantù, Grande illustrazione del Lombardo Veneto, ossia Storia delle città, dei borghi [], III, Milano 1858, pp. 582-583; cfr. P. Venturelli, Piccole aggiunte agli intagli del cremonese Giovanni Beltrami, di prossima pubblicazione.[]