Bertrand de Royere

Il servizio d’argento e di vermeil di Jean-Baptiste-Claude Odiot per Ferdinando I re delle Due Sicilie

bderoyere@gmail.com
DOI: 10.7431/RIV29092024

Quando Ferdinando I (1751-1825) rientrò dall’esilio siciliano, dopo la caduta di Gioacchino Murat, e fece il suo pubblico ingresso a Napoli il 9 giugno 1815, le cronache dell’epoca rilevarono la mestizia dell’evento poiché il sovrano attraversò le vie cittadine “stando a cavallo con piccolo corteggio” mentre i semplici “arredi e i vestimenti” del suo seguito contrastavano “allo splendore ed al lusso del re Gioacchino”. Si ripeteva così la stessa cerimonia avvenuta qualche tempo prima quando il nipote Leopoldo, conte di Siracusa, terzo figlio maschio di Francesco, ed erede al trono, aveva fatto ritorno nella capitale andando subito a rendere omaggio a San Gennaro con l’altrettanta semplicità del suo seguito che era apparsa in “stridente contrasto con la magnificenza teatrale a cui Murat aveva abituato l’occhio del pubblico” 1. Nonostante la sobrietà ostentata dall’anziano re e da suo nipote, Ferdinando osservò con soddisfazione le tante migliorie realizzate dalla regina Carolina Murat (r.1808-1815) nell’arredo della Reggia Portici e del Palazzo Reale di Napoli. Lady Morgan narra che il principe reale, dopo la sua prima visita delle regge al momento della Restaurazione, avrebbe sospirato ammirato al padre “Ah, Papà, se soltanto foste rimasto fuori altri dieci anni!” La stessa viaggiatrice dichiarò che la camera da letto, il gabinetto di toeletta, il boudoir e la biblioteca di Carolina Murat a Portici erano dei modelli di eleganza e di gusto femminile2 e notò che l’ex sovrana aveva lasciato i palazzi reali ammobiliati, con porcellane, argenti, biancheria e stoffe di tale raffinatezza che furono conservati da Ferdinando I, il quale fece soltanto spostare i ritratti delle famiglie Murat e Bonaparte nelle soffitte.

Gli inizi della Restaurazione coincisero nel Regno con un periodo di ristagno economico, in parte dovuto ai nuovi accordi doganali imposti dagli inglesi, che non incoraggiavano il re a promuovere grandi lavori. Inoltre, Ferdinando I dovette accettare di confermare gli impieghi militari e civili ereditati dal periodo murattiano. Si disse che alla prima adunanza degli alti funzionari, “lo sguardo del re scorreva sopra tutti benigno ed eguale”3, ma odiava nel cuor suo i liberali e decise quindi di rimanere relativamente estraneo alla gestione della cosa pubblica. Si rifugiò nelle consuete attività venatorie e nell’amministrazione delle sue residenze come la ricostruzione del teatro San Carlo, parte integrante di Palazzo Reale, diretto da Antonio Nicolini (1816), dopo un incendio devastante; del nuovo allestimento della Sala del Trono diretto dall’architetto Antonio De Simone e del rifacimento dello Studio del Re (1818), per citare alcuni dei lavori più significativi intrapresi nella reggia napoletana. In seguito ai moti carbonari, che si diffusero in quasi tutti gli stati italiani, sul modello della rivoluzione spagnola del gennaio 1820, la situazione politica peggiorò ulteriormente e nel luglio 1820 il Re fu costretto a concedere la costituzione.

Nonostante i tempi difficili, e forse per confermare il prestigio della sua corona, il sovrano commissionò, all’inizio del 1820, un grande servizio d’argento. Il rinnovamento dell’oreficeria napoletana in età murattiana, con l’abolizione delle corporazioni nel 1808 e gli acquisti successivi della corte, non erano bastati a colmare le ingenti perdite dovute alle fusioni ordinate dal governo nel 1799 per fronteggiare l’invasione francese4. Per creare questo nuovo servizio, Ferdinando avrebbe potuto favorire alcuni abili argentieri che lavoravano già per la Corte, come Giovanni Casola o Filippo e Sebastiano Aiello, ma forse l’importanza della commissione lo convinse di scegliere Jean-Baptiste-Claude Odiot (1763-1850), il più prestigioso tra gli orefici francesi del tempo (Fig. 1).

Prediletto da Napoleone, al tempo in cui era ancora primo console (1802), Odiot aveva eseguito per lui una spada e aveva collaborato alla realizzazione del grand vermeil, ossia il servizio destinato alla tavola imperiale alle Tuileries. Nel 1810, eseguì la toeletta d’argento dell’imperatrice Maria Luigia in occasione delle sue nozze, secondo i disegni forniti da Prud’hon (purtroppo fusa a Parma nel 1834) e l’anno successivo la culla del Re di Roma, capolavoro oggi custodito alla Hofburg di Vienna. Autore dell’argenteria di Madame Mère e di quella di Girolamo re di Vestfalia, fu anche l’orafo prediletto dell’ex imperatrice Giuseppina alla quale fornì una toeletta di vermeil nel 1813. La caduta dell’Impero non pose affatto fine alla sua carriera: all’Exposition des produits de l’industrie, tenutasi al Louvre nel 1819, presentò alcuni pezzi del servizio destinato al ricchissimo conte Nicolas Demidoff (1773-1828), già ciambellano dello Zar Paolo I, e di quello commissionato dalla contessa Branicka (1754-1838), prima dama d’onore dell’imperatrice di Russia. Questi argenti, stilisticamente omogenei, servirono da modello per quello successivamente realizzato per la corte di Napoli.

La commissione di Ferdinando I a Odiot fu seguita a Parigi da Maria Amalia, figlia del re sposata al duca d’Orléans (il futuro re dei francesi Luigi Filippo). Fu lei ad anticipare alcune spese, assistita da Leblond, inspecteur du mobilier del duca d’Orléans al Palais royal di Parigi. I negozianti “Falconnet e Compagniconsegnarono l’8 aprile 1822  alla Casa Reale “la ricevuta di S.A.R. la Duchessa d’Orleans di Franchi quindicimila ottocento quindici, e Centesimi 90”, che le erano stati pagati a Parigi il 20 marzo “da M. Laffitte e & Comp.ie, per ordine di essi Negozianti, e per conto del Segretario di Stato di Casa Reale, e degli Ordini Cavallereschi Marchese Ruffo in rimborso di simil somma erogata dalla prefata A.S.R. in Parigi tanto per l’imballatura, che pel trasporto del nuovo servizio di argenteria da Tolone fino a Napoli, e della quale se ne fece il corrispondente pagamento ai Negozianti medesimi dalla Tesoreria della Real Casa fin dal primo del decorso Marzo in Ducati 3738.98”5. Era logico che il re di Napoli chiedesse alla figlia Maria Amalia di controllare la composizione del suo servizio in quanto gli Orléans erano già clienti dell’orafo parigino: gli archivi della maison Odiot, purtroppo andati dispersi, segnalavano che Luigi Filippo, duca d’Orléans, fece apporre nel 1817 il suo stemma a rilievo su cento trentatré pezzi d’argento e lo fece incidere su altri duecento cinque6. Inoltre, Odiot ricevette dal duca la prestigiosa commissione del restauro e del completamento del servizio Penthièvre, capolavoro dell’oreficeria Luigi XV che questi ereditò dalla madre nel 1821 e fece arricchire con elementi di pura invenzione, poi presentati all’Exposition des produits de l’industrie del 1823.

Fu il marchese Giuseppe Ruffo, Direttore della Reale Segreteria, Ministro di Stato di Casa Reale e membro della Reale Accademia delle Scienze, a sovrintendere ai pagamenti dell’argenteria di Ferdinando che iniziarono nel mese di febbraio 1820 e proseguirono il 14 giugno 1821 quando il marchese rimise una polizza del Banco delle Due Sicilie di 22.754,17 Ducati – ossia “Centomila quattrocento ventisei franchi”7 –  in saldo “dell’importo del servizio di tavola in argento lavorato in Parigi d’ordine di Sua Maestà”, al tesoriere di Casa Reale affinché potesse pagare i banchieri Carlo Forquet e Luigi Giusso, “per valuta di sei cambiali tratte da Parigi dai negozianti Laffitte  [Jacques Laffitte era allora governatore della Banca di Francia] all’ordine de’ Sig.ri Thuret e C.ie” e da questi girata a “riferenti Forquet e C.ie”8.  Nonostante alcune fonti contemporanee indicassero una spesa di 800.000 Franchi9, questau più probabilmente, riscontrando le spese menzionate sugli inventari qui esaminati, limitata a 658.514 franchi, per un peso complessivo di “6.399 marcs 8 onces 7 ½ gros” – ossia più di una tonnellata e cinquecentosessantuno chili d’argento. Queste informazioni si desumono dal documento stilato in lingua italiana da Odiot stesso il 23 gennaio 182110:

“Peso totale 3752 marcs 4 onces – Valore dell’argento e del controllo a 55 franchi il Marco 206.387,50 francs – 4 quadrati d’acciajo e matrici per coverte di tavola, di dessert, per cucchiarini [sic.] da caffè e coltelli 1900 francs – 420 arme in rilievo aggiustate sull’argenteria a 3 franchi, 1260 franchi – Incisione di 576 arme intere, comprese 26 placche di rame co’ numeri, situate sulle casse, a 2, 25 franchi, 1296 franchi – Incisione di 56 scudetti su doppi fondi a 1,50 franco, 84 franchi – 11 casse foderate per tutto il servizio da tavola 4250 franchi – Da riportare 342175,50 franchi”.

Il “surtout in vermiglio” (ossia in vermeil) per centrotavola fu invece periziato separatamente, insieme alle casse e addirittura ai mazzetti di fiori artificiali destinati ad abbellire le coppe:

“Valore del peso e controllo 2647 marcs 4 onces 7 ½ gros, 146619 franchi – Indoratura totale a 36 f. il marco 95314,50 franchi – Fazione di 108 rami di girandole attorno a pezzi di 24 f. 2592 – 15 casse foderate per tutto 5950 franchi – Mazzetti di fiori artificiali 565 franchi – Da dedursi 7 febbrajo 1820 ricevuti in conto f. 100.000 – 15 marzo d° 100.000 – 2 maggio d° 100.000 – 15 giugno d° 100.0001 agosto d° 94,000 – 15 settembre d° 75.000     569.000 – Mancano per saldo f. 89514”.

Completavano l’ordinazione un “Servizio di Cristallo brillantato corrispondente al sopra descritto Servizio di Argento” 11, con bicchieri per trentadue persone, al quale si aggiungevano “le caraffe per le acetiere” d’argento di Odiot e gli altri pezzi di cristallo dei piatti montati su basi d’argento, dei tripodi e delle compostiere che arricchivano la tavola, per un totale di 16.112 franchi. Essi furono forniti dai fratelli Chagot, proprietari della Manufacture Royale de Moncenis in Saône-et-Loire e venduti il 24 marzo 1822 “al Signor Barone Lentini Controlloro di Sua Maestà”. Questi cristalli erano stati comprati attraverso il negozio parigino della manifattura, “seul dépôt des cristaux de la Manufacture Royale de Moncenis, Boulevard Poissonnière” che ricevette una medaglia d’oro all’Exposition des produits de l’industrie del 1823 per un paio di candelabri in cristallo e bronzo dorato, comprati da Luigi XVIII e oggi al Mobilier National12.

Dopo la stesura dell’inventario di tutti gli oggetti eseguiti per il Re, le casse vennero finalmente imbarcate il 27 novembre 1821 e l’incaricato del portafoglio del ministero degli esteri rimetteva “per le provvidenze convenienti, una polizza di Carico in testa sua, per una Cassetta, che S.A.R. la Duchessa d’Orleans invia a V.M., che è stata imbarcata in Parigi, sopra il Brick Francese, nominato Li tre Amici, del Capitano Rance”13. Purtroppo gli argenti soffrirono del viaggio se in un successivo documento si legge che “ in vista della rappresentanza del Maggiordomo Maggiore de 30 del decorso marzo, il Re aveva ordinato, che dalla tesoreria della Real Casa si pagasse al sigr Grenon, custode degli argenti da tavola della maestà sua, la somma di Ducati ottantotto e […] corrispondente a franchi trecent’ottantacinque, per le spese da lui fatte nel decorso mese di Febbrajo per la ristaurazione, e fornitura di oro occorsa per varj pezzi degli argenti, trovati rotti, allorché vennero da Francia…”14. Così solo nel marzo del 1822 Ferdinando I poté vedere il suo servizio completamente restaurato e per il quale aveva già espresso la sua soddisfazione facendo scrivere alla figlia la seguente lettera a Odiot, accompagnata da una medaglia:

« Le roi, mon père, a beaucoup admiré, monsieur, le beau service d’argenterie que vous avez si parfaitement exécuté pour lui ; il en est si satisfait que, pour vous le témoigner plus particulièrement, il m’a chargé de vous remettre la médaille ci-jointe. C’est la marque de distinction et d’encouragement que Sa Majesté accorde aux artistes les plus distingués ; à ce titre elle vous était bien due, et ce m’est un plaisir d’être chargé par le roi, mon père, de vous l’offrir.

Soyez persuadé, Monsieur, de mes sentiments pour vous.

Votre affectionnée.

MARIE AMELIE»15

Mentre Odiot rispose al sovrano per ringraziarlo della medaglia d’oro che gli era stata assegnata dal sovrano:Sire, Je viens de recevoir de S.A.R. Madame la Duchesse d’Orléans, votre auguste fille, avec toute la bienveillance dont elle daigne m’honorer, la Médaille d’or que Votre Majesté a eû [sic.] la bonté de lui adresser pour moi […] ODIOT16.

L’archivio di Stato di Napoli custodisce due inventari degli argenti stilati dall’orafo il 23 gennaio 182117, prima della consegna al guardarobiere del duca di Orléans. Redatti sia in francese sia in italiano, questi documenti furono entrambi firmati nello stesso giorno da Odiot18. Questi possono essere utilmente raffrontati con l’inventario redatto a Napoli nel 1827 dal “custode degli argenti di Francia19. A questi inventari si aggiungono le ricevute per i restauri ai pezzi danneggiati nel 1822 e nel 183020. Inoltre, il Musée des Arts Décoratifs di Parigi custodisce una preziosa raccolta di modelli in ottone donati dall’orafo stesso, alcuni riconducibili al servizio napoletano21, nonché una raccolta di centosettantasei isegni della maison Odiot con modelli ripresi per forgiare l’argenteria di Ferdinando I, acquistati nel 200922. Un disegno oggi purtroppo perduto faceva parte della donazione di Odiot e raffigurava, oltre alla toletta di Maria Luigia, alla culla del re di Roma e ad alcuni pezzi del servizio di Madame Mère, vari elementi del servizio di Ferdinando I23. Attualmente, pochi sono i pezzi che compongono il servizio ad essere stati identificati: tra questi possono essere citati i piatti da portata e le campane del Museum für Angewandte Kunst (MAK) insieme ai dodici piatti da tavola, ai due “tripodi compostiere con cristalli” e ai quattro “piatti montati a tre ordini con cristalli” venduti all’asta nel 2011 e nel 201524. Fortunatamente le parti superstiti dei servizi Demidoff e Branicka ci consentono di riconoscere molti dei modelli elencati negli inventari borbonici.

Diverse pubblicazioni edite in occasione delle citate mostre dei Produits de l’industrie tenutesi al Louvre nel 1819 e nel 182325, e corredate da incisioni, evidenziano l’importanza degli argenti commissionati nel 1817 dal conte Demidoff come fonte di ispirazione per il servizio napoletano ultimato nel 1821. L’elaborazione degli argenti Demidoff fu relativamente lunga forse perché Odiot stava sperimentando nuove forme appositamente per questa ordinazione. Dalla contabilità dell’orafo si evince inoltre che il servizio russo era quasi interamente in vermeil. Ne è testimonianza il permesso chiesto da Anatole Demidoff di esportare le opere d’arte appena ereditate dal padre da palazzo Serristori a Firenze in Russia nel dicembre 1828, dove vi è allegata la descrizione degli oggetti, tra i quali è menzionato appunto un servizio da tavola d’argento dorato di Odiot26. Sappiamo che quest’ultimo gruppo fu in parte disegnato da Adrien-Louis-Marie Cavelier (1785-1867), già autore dei progetti della psiche e della toletta dell’imperatrice Maria Luigia nel 1810, il quale per questo lavoro ricevette un primo pagamento il 18 ottobre 1816, seguito da un altro di 100 franchi il 19 aprile 1817 e dal saldo di 170 franchi il 28 maggio27. Architetto e disegnatore, Cavelier collaborava sia con Odiot sia con il bronzista Thomire ideando ornati spesso simili per entrambi i suoi committenti, e figure mitologiche a tutto tondo quali Bacco, Vertumno e Cerere per i supporti delle imponenti zuppiere; Leda per le oliere e vittorie alate inginocchiate per le coupes d’entrée, seguendo in ciò la grammatica stilistica propugnata dagli architetti Percier e Fontaine nei loro celebri repertori di decorazione di interni. L’insieme, costituito di almeno duecento diciannove pezzi per una spesa totale di 84.879 franchi (e non di 130.000 franchi come spesso indicato), fu venduto da Odiot all’aristocratico russo il 5 dicembre 1817. A questa consegna si aggiunsero altri centotrentasette pezzi per 10.075 franchi il 12 novembre 1818. Alcuni furono presentatati alla mostra parigina del maggio 1819, con commenti entusiastici della giuria e una valutazione del prezzo errata: «ce qui passait tout le reste en magnificence, scrisse la giuria, c’est le riche service en vermeil commandé par M. Demidoff, dont le prix est porté à 130.000 francs. Le service est composé de soixante pièces ornées de bas-reliefs d’un goût exquis, représentant des bacchanales et autres scènes analogues à la joie des festins »28. Alla stessa mostra erano stati presentati diversi arredi, per un ammontare di seicentocinquantatre pezzi29, che – come si è detto – furono acquistati dalla contessa Branicka, per 277.688 franchi. Colpisce il fatto che questi ultimi argenti sono perlopiù delle repliche con varianti del servizio Demidoff30: per esempio coppe sono pressoché identiche, tranne alcune varianti per le basi e le prese a forma di serpenti eseguite per il servizio Demidoff, mentre per quello della contessa polacca si preferì utilizzare il motivo dei cigni. Le poche differenze stilistiche presenti nei due insiemi si spiegano in parte con i metodi di fabbricazione di Odiot, il quale agli inizi dell’Ottocento non saldava più gli ornati al mercurio, secondo le tecniche tradizionali settecentesche, ma li applicava a freddo sul corpo traforato dell’argento mediante delle viti. Le parti scultoree diventavano quindi altrettanti moduli replicati e spesso associati in maniera identica: ciò avveniva anche nel caso di committenze prestigiose, come come quella della corte partenopea. È noto che alcuni nuovi disegni furono comunque forniti “pour [le] service du roi de Naples” da Hédouin per 240 franchi l’11 marzo 1820 e da Cavelier per 580 franchi il 13 marzo 1820, ma purtroppo senza ulteriori chiarimenti circa i modelli31. Per le “420 arme in rilievo aggiustate sull’argenteria” (Fig. 2), infine, fu mandata a Odiot da Napoli un’incisione raffigurante le “armes de Naples” con la spiegazione degli ordini equestri raffigurati32.

Analisi delle opere che componevano il servizio per la corte di Napoli

Nei primi anni della Restaurazione per i pranzi di gala si seguivano le regole del cosiddetto “servizio alla francese” dove tutte le pietanze erano imbandite sulla tavola. Tale usanza, già in auge nei banchetti dell’Ancien Régime33 fu ripristinata dalle corti napoleoniche e nel corso degli anni si trasformò progressivamente, diventando “alla russa” 34 e cioè con le portate presentate una alla volta ad ogni commensale. L’asse centrale della tavola era decorato da un centrotavola, detto anche “sourtout”, come testimoniano ancora oggi le collezioni del Palazzo Reale di Napoli, dove si conserva un surtout in bronzo dorato, forse realizzato dal bronzista Thomire e così descritto negli inventari: “un plateau di bronzo venuto da Parigi per 36, da poter servire per 48, composto da tre guantiere con specchio, ognuna a dodici lumi, Due dette tonde, ognuna a sei lumi; un canestro per centro a dodici lumi, due altri per i laterali, a sei lumi ognuno…”35.

Proprio in virtù di questa tradizione, ispirata ai banchetti settecenteschi dove ogni portata corrispondeva ad un “servizio”, il nostro “servizio d’argento di Parigi” è menzionato nella vasella di Palazzo Reale secondo una sequenza di tre servizi: “1° servizio”, “2° servizio” e “Desert”.

Il primo servizio della corte partenopea, quello delle minestre e degli hors-d’oeuvres, comportava due pots-à-oille, anche descritti come “2 zuppiere tonde a tre figure” 36, secondo un modello realizzato anche per Demidoff37 e per la contessa Branicka38 (Fig. 3).

Le figure delle zuppiere Demidoff rappresentavano Bacco e Cerere (o Pomona), mentre quelle Branicka, leggermente diverse, come probabilmente quelle napoletane, recavano Zefiro, Flora e Pomona. I pots-à-oille erano accompagnati da sei zuppiere ovali di due dimensioni: due grandi “terrine” ovali e quattro piccole “terrine” ovali. Tali elementi erano secondo ogni probabilità ornati da “2 femmes ailées à genoux”, seguendo il modello dei due grandi servizi di Odiot appena citati. A queste terrines si aggiungevano otto coupes d’entrées, anche dette “coppe d’entrata”. Meno capienti delle zuppiere, le coupes d’entrée erano destinate agli antipasti. Tra gli oggetti del primo servizio furono anche commissionati dodici rinfrescatoi per le bottiglie. A quelli napoletani erano associati otto “vetriere”, dette anche “sciacqua-bicchieri” o semplicemente verrières in francese. Queste erano delle vasche riempite di ghiaccio e di acqua fresca nelle quali si poggiavano i bicchieri dei convitati. Il primo servizio annoverava anche trentasei piatti da portata, di varie dimensioni: quattro grandissimi, lunghi ben trentadue pollici, otto “à hors d’oeuvres” ornati con delfini, due “… d’entrata con scalda vivanda, e campane” di tredici pollici, forse con i piedi a forma di chimere come quelli realizzati per Demidoff, sei “grandi piatti d’entrata” rotondi di dodici pollici con le loro campane (Fig. 4), due altri di sedici pollici senza campane e quattordici di undici pollici con campane.

Questi piatti erano ornati di un sobrio fregio a fogliami e recavano inciso lo stemma borbonico, mentre le relative campane, conservate al Museum für Angewandte Kunst (MAK), sono decorate nella parte bassa con tralci di uva, e in quella superiore con foglie d’edera stilizzate e altri fogliami stilizzati. Ad un attento esame stilistico questi piatti da portata risultano simili a quelli del Servizio Branicka, ma con una decorazione più semplificata.

Il secondo servizio, quello degli arrosti, comprendeva otto coupes o casseroles à entremets. Più piccole delle coupes d’entrée, le coupes à entremets anche dette casseroles à entremets o “cassaruole, sono dotate di un recipiente a fondo piatto. Nell’inventario in lingua italiana del servizio napoletano consegnato da Odiot alla duchessa d’Orléans il 23 gennaio 1821 sono menzionate “8 coppe d’entremets, donne in piedi”. Delle coppe analoghe sostenute da donne in piedi furono vendute nel 1806 a Madame Mère. Questa forma riscontrò un discreto successo, se fu ancora ripresa per il servizio della corte del Brasile, commissionato a Charles-Nicolas Odiot nel 1827-1828.

Le salsiere associate al secondo servizio erano quattro, “coll’interno ed i cucchiai dorati” così come le otto mostardiere parzialmente dorate. Queste mostardiere erano di due modelli diversi: il primo modello corrispondeva forse alla forma del vaso Medici con l’aggiunta di un coperchio secondo una tipologia che si ritrova spesso illustrata nei libri giornali dell’orefice e visibile oggi nella mostardiera conservata al Montreal Museum of Fine Arts39. L’altro modello, descritto insieme al centrotavola, raffigurava delle donne inginocchiate che sorreggevano “piccoli vasi etruschi”. Le trentadue saliere, “sostenute da donne all’impiedi coll’interno ed i cucchiai dorati”, citate col nome “bouts de table(inv.1 nota), derivavano da un modello inventato da Jean-Alexandre Moreau e disegnato da Auguste Garneray40. Questo prototipo di saliera fu accolto favorevolmente dalla critica all’Exposition des produits de l’industrie del 1819 : « c’est un morceau superbe et unique »41 scrisse Moléon, mentre Louise Charlotte Soyer, qualche anno dopo, decantava la loro composizione annotando che «Cette salière se recommande par l’originalité de l’invention, la pose naturelle des figures, la sagesse qui a présidée au choix comme à la distribution des ornemens. La noble simplicité de cette jolie composition et sa parfaite exécution font honneur à l’artiste qui en a fourni le dessin et à celui qui l’a exécuté »42.  L’orafo ne consegnò altre simili a Madame Mère l’11 novembre 1806, al conte de La Châtre l’11 novembre 1815, alla contessa Branicka nel 1819 e alla corte brasiliana nel 1827-183143 (Fig. 5).

Le quattro oliere, anche dette acetiere, che accompagnavano le saliere recano nell’asse centrale una figura d’argento che rappresenta Leda (Fig. 6). Secondo il libro giornale di Odiot, il disegno di queste oliere era stato ideato da Cavelier nel 1816 e consegnato al conte Demidoff il 5 dicembre 1817. La contessa Branicka comprò anch’essa «2 huiliers Léda, enfans, frise cygnes, suppo[or]ts chimères »44.

I piatti da portata tondi e ovali del secondo servizio erano quaranta, con trenta campane: quattro piatti di ventisei pollici, quattro rotondi di quattordici pollici, otto “piatti d’entremets” di diciotto pollici con campane, sedici piatti ovali di quindici pollici e mezzo con campane, dodici rotondi di nove pollici e mezzo con campane, due vassoi anche detti “guantiere” o “piattelli ricchi per recipienti da crema” con piedi. Su questi vassoi si appoggiavano otto “coppini…de’ quali 4 più piccoli” per la crema o i sorbetti.

Ai piatti da portata si aggiungevano settanta sottobottiglie e centoquaranta sottobicchieri “colla bordura a foglie”. I commensali erano serviti in duecento quaranta “tondini” o piatti da tavola, ache loro “colla bordura a foglie”, del modello già citato assieme agli argenti di Ferdinando I conservati al Museum für Angewandte Kunst di Colonia (Fig. 7). Completavano i piatti per la tavola un’imponente serie di duecentoquaranta “posate complete [da intendersi con la forchetta e il cucchiaio] con i corrispondenti coltelli”. Alle posate si aggiungevano ventiquattro hatelets o “spiedini di differenti forme”, ventiquattro “etichette per vino”, otto cuillers à oilles o cucchiaioni, quattro “palette forate per pesce”, quattro “forchettoni, e corrispondenti coltelli per trinciare”, ventiquattro “cucchiai d’entrate e d’entremets” e quattro cucchiai per la salsa, probabilmente destinate alle salsiere.

Per il terzo servizio, ossia per il dessert (scritto “desert” nei documenti), i piatti erano di porcellana, mentre le posate erano di vermeil.

Nell’inventario degli argenti per il dessert sono elencati numerosi candelabri, alcuni a più bracci sono denominati “girandole”, ed erano disposti sulla tavola durante il pranzo. È da rilevare che nel servizio d’argenteria di Ferdinando I mancavano i flambeaux ossia candelabri semplici ad una fiamma. Di solito, nei libri giornali di Odiot i servizi completi ne comprendevano fino a dodici paia. Secondo i nostri calcoli, l’argenteria borbonica comportava almeno ventisei “girandole”, una quantità, per quanto ne sappiamo, senza eguali45. Dalle descrizioni inventariali risulta impossibile identificare con certezza quali siano i bracci per le candele (citati col termine francese di “girandole”) fissati su di differenti supporti spesso menzionati immediatamente dopo le sculture: ad esempio nella cassa n° 17, 1 2, si descrivono dei “Grouppes [sic.] à 3 figures” che precedono le “girandoles des dits”, è dunque impossibile determinare se i bracci siano stati pensati per essere inseriti nelle figure d’argento o se poggiassero su delle basi indipendenti.

Al centro della tavola figurava un «grand milieu à trois figures”. In assenza di una descrizione più dettagliata, si può soltanto ipotizzare che queste tre figure riprendessero quelle che sorreggevano i “pots-à-oille”già elencati: Vertumno, Bacco, Cerere (o Pomona, o forse Zefiro) e Flora. Le dimensioni di questo centro tavola dovevano essere imponenti, se consideriamo che pesava kg 45,76 circa (“187 marcs 1 once 5 gros”), quasi il triplo dei pots-à-oille. Notiamo d’altronde che il prezzo di 4000 franchi è il più considerevole per un singolo oggetto del servito di Ferdinando I.  I servizi Branicka e Demidoff non hanno un “grand milieu”: le grandi zuppiere, “pots-à-oille” e “coupes à entremets”, erano state considerate come sufficienti per imbandire le tavole sontuose di due privati, a differenza di quella dei reali napoletani.

Continuando la disamina dell’Inventario in lingua italiana consegnato alla duchessa d’Orléans il 23 gennaio 1821, sono anche elencate due coppe a cestino ocorbeglie ognuna portata da due Donne, di un modello a volte denominato dall’orefice “milieu de surtout46. Tali oggetti potrebbero derivare la loro forma dalle zuccheriere commissionate il 13 maggio 1819 dalla contessa Branicka47, che raffigurano due cariatidi dalle braccia alzate e vestite con una tunica all’antica che sorreggono una coppa ovale; caratteristiche compositive che sono presenti in due disegni che illustrano una “corbeille deux femmes debout”. Il modello delle cariatidi è quello dei candelabri della toeletta disegnta da Prud’hon e consegnata all’imperatrice Maria Luigia da Odiot insieme al bronzista Thomire nel 181048.

Completavano i gruppi di vermeil quattro grandi tripodi con cestini e “girandole” ornati di “Chimères”, lo stesso animale mitologico raffigurato sulle basi delle oliere dette «Léda» menzionate negli inventari borbonici. I tripodi (anche chiamati “trépieds”) a forma di sfingi terminanti con zampe di leone, molto diffusi nell’arte neoclassica, derivavano invece il loro modello da un analogo esemplare rinvenuto a Pompei ed allora conservato nella reggia di Portici. Inciso sin dal 1759 dal conte de Caylus nel suo Recueil des Antiquités e successivamente da Piranesi, il prezioso arredo archeologico, in realtà una composizione settecentesca con elementi antichi assemblati, fu replicato numerose volte, sia da Luigi Righetti per la corte di Napoli sia da Luigi e Antonio Manfredini a Milano49. Il 29 gennaio 1816, Charles-André Pozzo di Borgo, ambasciatore di Russia a Parigi, comprò per la sua tavola un tripode simile sormontato da una corbeille per 5.266 franchi e così descritto: “deux côtés id. (de surtout) supporté par 3 g(ran)des chimères50 ; mentre il Musée des Arts décoratifs di Parigi custodisce il disegno acquarellato per un cestino sorretto da un tripode con protomi leonine alate51 seguito da un altro esemplare raffigurante un cestino con delle sfingi alate52, mentre  in una collezione privata  si conservano altri due disegni, raffiguranti rispettivamente tre protomi con con testa e zampa di leone alato uniti da tre code stilizzate sul modello dell’esemplare antico di Portici53. È probabile che i fiori di stoffa consegnati da Odiot assieme all’ argenteria fossero distribuiti in questi cestini sorretti da chimere.

Si segnala, a questo punto, un altro insieme di oggetti formato da due serie di “piatti montati”, detti anche “tambours” (ossia alzate a più ripiani): uno composto da dodici esemplari e l’altro da sei pezzi. Queste alzate erano costituite da una base a gradini su cui era montato un supporto centrale per sorreggere i tre piatti di cristallo contornato da tre figure di Bacco fanciullo tenenti in mano un grappolo d’uva. Soggetto questo ripetuto anche sulla sommità delle alzate54 (Fig. 8).

Queste alzate erano accompagnate da dodici “tripodi compostiere” con cigni e piano di cristallo. Sulla loro base triangolare decorata dallo stemma del Regno delle Due Sicilie poggiavano su treppiedi terminati con piedi di leone e sormontati da cigni55. (Fig. 9).  Erano anche presenti dodici “corbeglie analoghe ovali con cristalli”, realizzate in argento dorato e cristallo. Nel nostro servizio erano forse ornate dagli stessi cigni presenti sulle compostiere a forma di tripodi e verosimilmente con ceste di un modello particolarmente ricco, tenendo conto del loro prezzo assai elevato (1.100 franchi l’una).

Per completare la tavola reale non poteva mancare un sontuoso centrotavola formato da vasi di diverse forme di cui quattro “grandi” erano accompagnati da altrettante girandole, mentre altri dieci, più piccoli, di forma “etrusca” dovevano essere “piazzati a misurate distanze sulla tavola”. Dall’inventario del 1827, si evince la presenza di ben “24 figure” con “piccoli vasi etruschi” (Fig. 10), i quali potevano forse anche fungere da mostardiere, come già accennato. I vasi delle mostardiere conosciute hanno la forma di crateri ornati da scanalature al collo e sopra il piede mentre la pancia ha un fregio di tralci di vite. Alcune mostardiere di questo modello furono presentate all’Exposition des produits de l’industrie del 1819 e un paio di questi oggetti sono apparsi sul mercato antiquario56.

Il sontuoso dessert poggiava su tredici vassoi di forme diverse, detti anche morceaux de surtout,composti da una base di specchi delimitata da una piccola ringhiera in vermeil della quale non si conosce purtroppo il modello. Il Musée des Arts décoratifs conserva un disegno a matita e inchiostro di una Galerie de surtout con le figure scultoree di una baccante e di Cerere integrate alla cornice, con uno specchio centrale destinato a sorreggere vasi, coppe e girandole57. Per arredare il tutto, Odiot forniva il 30 gennaio 1821 “treize bouquets de fleurs artificielles de différentes grandeurs, et dix autres bouquets id plus petits pour l’usage du surtout de table58 per un importo di 565 franchi59. Si nota, come è stato detto, l’assenza di piatti da dessert d’argento: probabilmente venivano utilizzati dei piatti di porcellana, come d’altronde si usava sulla tavola dell’imperatore Napoleone anche nelle circostanze solenni60.

Per custodire l’argenteria del primo e del secondo servizio, che pesava “3752 marcs 4 onces”61,  pari a circa 874 chili, furono consegnate undici casse foderate, mentre il “surtout in vermiglio”, che pesava “2647 marcs 4 onces 7 ½ gros”, ossia approssimativamente 654 chili, furono approntate altre quindici casse. Questi dati attestano il carattere del tutto straordinario del gran servizio napoletano. La quantità di pezzi e la spesa furono davvero eccezionali, soprattutto se paragonate ai due servizi creati poco prima per i Demidoff (per la cifra complessiva di 89.879 franchi) e per la contessa Branicka che spese 277.688 franchi contro i 658.514 franchi del re di Napoli.

Il servizio restò a disposizione della Corte fino al 6 settembre 1860, quando, fuggendo all’avanzata dell’esercito meridionale di Giuseppe Garibaldi, il re Francesco II lasciò Napoli, portando con sé, oltre agli “oggetti di devozione” e ai “ricordi famigliari”, anche quell’intero servizio di Francia per sessanta coperti62. Ciò è testimoniato anche da Raffaele De Cesare che, in un’appendice alla sua storia sulla fine del regno di Napoli, ne pubblicò l’inventario, così trascritto63:

“Dall’officio del credenziere. – L’intiero servizio di argento di Francia per sessanta, con due scopette. – Tutto il servizio di argento da viaggio per trentasei persone. – Trentacinque zuppiere assortite. Diciannove anime di zuppiere, ed i due coverchi di anime di zuppiere. – Centotrentasei piatti diversi, tra quelli per zuppiere, per terrine, per portate e per fiammenghine. – Cinquantasei campane. – Seicentosettantotto piattini. – Settanta saline. – Otto salsiere complete. – Una moletta per asparagi. – Sessantacinque tra coppini e cucchiai da ragù, e ceppinette per zucchero. – Millecentoquattordici cucchiai. – Millecentocinque forchette. – Millecentoventitre coltelli. – Centoquaranta posatine complete. – Otto palette dorate per gelati. – Sessanta cocciole dorate per buffet. – Ventiquattro ovaroli con quattro piedistalli. – Dodici surtout – Otto recipienti per surtout. – Dugentotto sotto bicchieri. – Centoquattro sotto bottiglie. – Cento postiglioni. – Dodici lavabicchieri. – Dodici rinfrescatoi. – Otto caffettiere. – Cinque zuccheriere. – Ventisei mollette e altre tre di plaquet dorato- – Millequindici cucchiarini da caffè. – Nove vasi dorati. – Undici guantiere. – Nove casseruole. – Due palette. – Settantuno spiedini. – Sette dejeuner. – Una vivandiera completa. – Cinque cassettini in pelle, contenete ognuno dodici forchette per le ostriche. – Diciassette pezzi di piatto che dalla Salsiera di Caserta furono portati in Napoli”.

Lo storico precisava ancora che “Fin dalla mattinata del 6 settembre si era sparsa la voce che il Re partiva. Dal palazzo reale uscivano numerosi carri di bagagli e di casse, che, scortati da militari, prendevano la via di Capua. Altra roba si caricava a bordo del Messaggero e del Delfino, che ormeggiavano nel porto militare, presso la banchina d’imbarco. Gli oggetti di uso trasportati furono molti; e di preziosi, anche molti […] N.B. Il servizio d’argento di Francia sopra indicato fu piazzato in ventisei casse, quelle stesse che vennero da Parigi unitamente al suddetto servizio, e gli altri argenti poi furono piazzati in altre casse e baulli [sic.], che esistevano nell’Officio del Credenziere, ed il tutto imbarcato e trasportato in Gaeta dagli Aiutanti dell’Officio Ferri, Naschet e Loffredo, i quali han rilasciato al capo tre notamenti da essi firmati di tutti i su menzionati oggetti che dagli impiegati dello Officio del Ragioniere e Pagatore Generale si sono tenuti presenti nel riscontro eseguitosi del 25 agosto ultimo”.

  1. P. Colletta, Storia del reame di Napoli, Napoli 2013 (ristampa anastatica), p. 399.[]
  2. Lady Morgan, L’Italie, edizione francese, III, Parigi 1821, pp. 142-146. Per l’allestimento delle regge napoletane durante il periodo murattiano, si veda E. Colle, Il mobile Impero in Italia, Milano 1998, più particolarmente pp. 27-72, con bibliografia precedente nello stesso volume.[]
  3. P. Colletta, Storia del reame di Napoli…, 2013 (ristampa anastatica), p. 399.[]
  4. A. Castello, “Gli argenti. Dalla committenza reale a quella borghese”, in Civiltà dell’Ottocento. Le arti figurative, cat. mostra Napoli, Museo di Capodimonte, Caserta, Palazzo Reale, 25 ottobre 1997-26 aprile 1998, Napoli 1997, p. 211.[]
  5. Archivio di Stato di Napoli, d’ora in poi: A.S.N., Maggiordomia Maggiore, Archivio amministrativo. Terzo inventario, Segreteria Casa Reale 199.[]
  6. O. Gaube De Gers, J.M. Pinçon, Odiot l’orfèvre, Parigi 1990, p. 129 e A. Dion Tenenbaum, Orfèvrerie française du XIXème siècle: la collection du musée du Louvre, Parigi 2011, p. 206.[]
  7. A.S.N., Real Contadoria Principale, Registro delle Liberanze, Napoli 13 giugno 1821.[]
  8. A.S.N., Maggiordomia Maggiore e Soprintendenza di Casa Reale, Tesoreria della Real Casa, 13, Dalli 22 Maggio per li 30 Giugno 1821. I pagamenti furono così scaglionati: 100.000 franchi il 7 febbraio 1820, 100.000 franchi il 15 marzo, 100.000 franchi il 2 maggio, 100.000 franchi il 15 giugno, 94.000 franchi il 10 agosto, 75.000 franchi il 15 settembre 1820. Mancavano per saldo il 23 gennaio 1821 89.514 franchi.[]
  9. Cfr. G. Sarrut, S. Edme, Biographie des hommes du jour, Parigi 1838, t IV, seconda parte, pp. 85-88, biografia di Odiot, dove gli autori menzionano “un magnifique service pour le roi de Naples, Ferdinand Ier, du prix de 800,000 francs ». La giuria dell’Exposition des produits de l’industrie scrisse : « faisaient, en outre, partie de l’exposition d’après Bosio, un riche service du prix de 800 000 francs, appartenant au roi de Naples, Ferdinand Ier » ; L-E-F. Héricart De Thury E Migneron, Exposition de 1823. Rapport sur les produits de l’industrie française présenté au nom du jury central, Parigi 1824, p. 275.[]
  10. A.S.N., Maggiordomia Maggiore e Soprintendenza di Casa Reale, Archivio amministrativo. Terzo inventario. Inventari 33, Fornito a S.A.R. la Duchessa di Orléans per S.M. il Re delle Due Sicilie, Parigi 23 gennaio 1821).[]
  11. A.S.N., Maggiordomia Maggiore, inventario 33.[]
  12. inv. GML 1291/1 et 2.[]
  13. A.S.N., Maggiordomia Maggiore, Archivio amministrativo. Terzo inventario, segreteria Casa Reale, 185.[]
  14. A.S.N., Casa Reale, Contadoria Principale della Real Casa, 58, pagamento del 2 aprile 1822. Qualche anno più tardi si procede a nuovi restauri: il 16 giugno 1830 il “custode degli argenti di Francia Gio.Battista Grenon” è pagato tredici ducati “per i restauri fatti a ventisei girandole della Real Tappezzeria”.[]
  15. G. Sarrut, S. Edme, Biographie des hommes du jour, Parigi 1838, t IV, seconda parte, pp. 85-88, pp. 85-88, biografia « Odiot ».[]
  16. A.S.N., Archivio Riservato di Casa Reale, 281, Corrispondenze diverse, lettera 78, Jean-Baptiste-Claude Odiot a Ferdinando I, Parigi il 2 febbraio 1822.[]
  17. A.S.N., Maggiordomia Maggiore e Soprintendenza di Casa Reale, Archivio amministrativo. Terzo inventario. Inventario 33, Fornito a S.A.R. la Duchessa di Orléans per S.M. il Re delle Due Sicilie, Parigi 23 gennaio 1821.[]
  18. A.S.N., Maggiordomia Maggiore e Soprintendenza di Casa Reale, Archivio amministrativo. Terzo inventario, Inventario 34, Etat général de l’argenterie de Sa Majesté le Roi de Naples, suivant la distribution des coffres, firmato : Paris le 23 janvier 1821 Odiot.[]
  19. A.S.N., Maggiordomia Maggiore e Soprintendenza di Casa Reale, Archivio amministrativo. Terzo inventario. Inventario 34, Servizio d’argento di Parigi esistente presso il custode Grenon, datato a matita sulla prima pagina in alto “1827”.[]
  20. A.S.N., Maggiordomia Maggiore e Soprintendenza di Casa Reale, Contadoria Principale della Real Casa, 58.[]
  21. Per la storia di questa raccolta, vedasi J. TROUSSARD, “De bronze, d’argent et d’or…”, in Odiot, un atelier d’orfèvrerie…, catalogo della mostra (Parigi, musée des Arts Décoratifs, 8 marzo-7 maggio 2017 a cura di A. Gay Mazuel, J. Troussard, Parigi 2017, p. 26). Per le fonti antiche riguardo alla donazione, cfr. L-E-F. Héricart De Thury, Rapport du jury d’admission des produits de l’Industrie au département de la Seine, Paris 1819 e L-E-F. Héricart De Thury, Rapport sur les produits de l’industrie présenté au nom du jury central…, Parigi 1825).[]
  22. Christie’s Londra, il 29 ottobre 2009.[]
  23. La notizia è riportata in un documento conservato agli Archives Nationales AN, 20144785/19.[]
  24. Sotheby’s Parigi, 5 novembre 2015, lotto 74 : “important surtout en vermeil…”.[]
  25. Vedasi più particolarmente : L-C Soyer, Modèles d’orfèvrerie choisis à l’Exposition des produits de l’industrie française au Louvre en 1819, Parigi, Bance, 1822 e L-E-F Héricart De Thury, Rapport du jury d’admission des produits de l’industrie du Département de la Seine, Parigi, C. Ballard, 1819 e Rapport du jury d’admission des produits de l’industrie du Département de la Seine à l’exposition du Louvre en 1823, Parigi 1825.[]
  26. A. Dion Tenenbaum, Orfèvrerie française…, 2011, p. 210.[]
  27. A. Dion Tenenbaum, Orfèvrerie française…, 2011, pp. 208-209 e Registre des frais extraordinaires d’Odiot, riprodotto da A Philipps, J. Sloane, Antiquity revisited. English and french silver-gilt from the collection of Audrey Love, Londra, Christie’s 1997.[]
  28. E. Jouy, Etat actuel de l’industrie française ou Coup d’œil sur l’exposition de ses produits dans les salles du Louvre en 1819, Paris 1821, p. 130, in Dion Tenenbaum, Orfèvrerie française…, 2011, p. 131.[]
  29. A. Gay Mazuel, in Odiot, un atelier d’orfèvrerie…, Parigi 2017, p. 41. Il servizio contava addirittura settecento cinquantasette elementi con i cristalli.[]
  30. M. ZUKOWSKA, “The collection of french silverware in Wilanów collection”, in Studia Wilanowskie, Varsavia 1985, p. 72.[]
  31. Una pagina delle “spese straordinarie” della maison Odiot è riprodotta in A. Phillips e J. Sloane, Antiquity revisited. English and French Silver-Gilt from the collection of Audrey Love, Londra 1997.[]
  32. Incisione raffigurante lo stemma del regno delle Due Sicilie circondato da sei collari con la didascalia seguente: “1. R.l. Ordine di San Gennaro – 2. R.l. Ordine S. Ferdinando del Merito – 3. R.l. Ordine Constantiniano di S. Giorgio – 4. Ordine della Toson d’Oro – 5. R.l. Ordine del Santo Spirito – 6. R.l. Ordine della Concezione – Ferdinando I Regno delle Due Sicilie – Approvato Napoli li 26 Dicembre 1816 – Firmato Ferdinando – Certificato conforme Il Segretario di Stato Ministro Cancelliere – firmato – Marchese di Circello”. Scritto all’inchiostro in basso “armes de Naples” e timbro in basso a destra “Collection Ch. Odiot 232”.[]
  33. Tra gli studi sui tavoli reali all’epoca della Restaurazione, si rimanda al catalogo della mostra Versailles et les tables royales en Europe (Versailles, Musée national des châteaux de Versailles et de Trianon, novembre 1993- febbraio 1994), a cura di J.P. Babelon et al., Parigi 1994; E. Colle, Tra Rivoluzione e Restaurazione: la nuova tavola borghese, in Conviti e Banchetti, cat. mostra a cura di E. Colle e M. Becattini, Museo Stibbert, 2018, Firenze 2018.[]
  34. Per l’evoluzione progressiva del servizio alla francese in quello detto alla russa sotto la Restaurazione e negli anni successivi, vedasi, tra altri studi su questo tema, B. de Royere, Un servizio d’argenteria di Charles Nicolas Odiot per Carlo Alberto di Savoia, in “Bollettino d’Arte”, tomo 47-48, luglio-dicembre 2020, pp. 219-242. []
  35. Inventario di tutti gli oggetti presenti nel Real Ufficio di Vasella di Napoli nel 1865 (A.S.N., Casa reale, Amm.va, III, Inventari, fs. 182). Per una descrizione e una fotografia parziale di questo surtout, vedasi Annalisa Porzio in Civiltà dell’Ottocento. Le arti figurative, cat. mostra Napoli, Museo di Capodimonte, Caserta, Palazzo Reale, 25 ottobbre 1997-26 aprile 1998), Napoli, 1997, pp. 158-159, cat. 6.21. Cfr anche A. Porzio, A tavola con Napoleone, 25 gennaio 1996 (pieghevole) (riedito in “Bollettino d’informazione della Soprintendenza per Beni Ambientali e Architettonici di Napoli e Provincia”, 1997, 1 /VI), p. 169.[]
  36. 2 pots à oille ronds” (inv. 1), descritti come “2 zuppiere tonde a tre figure” nel 1827.[]
  37. “3 femmes debout comme dessin”.[]
  38. Una di queste zuppiere fu esposta a Parigi nel 1819, come si vede in L.C. Soyer, Modèles choisis d’orfèvrerie choisis à l’Exposition des produits de l’industrie française au Louvre en 1819, Parigi 1822, p. 14.[]
  39. Montreal Museum of Fine Arts, mostardiera, argento e vermeil, inv. 2010.768.1-3. Tuttavia, il peso di kg 0,614 è inferiore a quello delle mostardiere napoletane.[]
  40. A. Gay Mazuel, in Odiot, un atelier d’orfèvrerie…, Parigi 2017, p. 76 e p. 206, Salière double “femmes ailés”. Il disegno è firmato: “C. Moreau inv.” e anche “AG del.” (per Auguste Garneray). Parigi musée des Arts décortatifs, Inv.2009.174.77.[]
  41. L.S. Normand, J.G.V. De Moleon, Annales de l’industrie, 1820, p. 278.[]
  42. L.C. Soyer, Modèles d’orfèvrerie choisis à l’Exposition des produits de l’industrie française, Paris 1839, p. 15[]
  43. A. Gay Mazuel, Odiot, un atelier d’orfèvrerie…, 2017, p. 76.[]
  44. A. Gay Mazuel, Odiot, un atelier d’orfèvrerie…, 2017, p. 98.[]
  45. Siamo riusciti a censire ventidue candelabri negli inventari precitati ma erano più probabilmente almeno ventisei, secondo un mandato di pagamento dell’ASN, Maggiordomia Maggiore, 16 giugno 1830: “per aver autorizzato il Contador Principale della Real Casa a disporre che dalla Tesoreria di Casa Reale si paghino al custode degli argenti di Francia Gio. Battista Grenon ducati tredici (…) per i restauri fatti a ventisei girandole della Real Tappezzeria”.[]
  46. un milieu de surtout corbeille 2 f(em)mes debout” è acquistato per 2416 franchi il 29 luglio 1817 dal duca de La Châtre, cfr. A. Gay Mazuel, Odiot, un atelier d’orfèvrerie…, 2017, p. 112.[]
  47. Una di queste zuccheriere proveniente dalla collezione di David David-Weill è stata venduta da Christie’s New York, 19 aprile 2002, lotto 79.[]
  48. Per una bibliografia relativa ai candelabri ornati da cariatidi sul modello di Prud’hon cfr. A. GAY MAZUEL, Odiot, un atelier d’orfèvrerie. 2017, p. 112.[]
  49. E. Colle, A. Griseri, R. Valeriani, Bronzi decorativi in Italia, Milano 2001, p. 290; cfr. anche, precedentemente, A. Gonzáles-Palacios, Il tempio del gusto, 1986, p. 257, figg. 564-566.[]
  50. A. Gay Mauzel, Odiot, un atelier d’orfèvrerie…, 2017, p. 112.[]
  51. Parigi, Musée des Arts décoratifs, inv. 2009.174.137.[]
  52. Parigi, Musée des Arts décoratifs, inv. 2009.174.140.[]
  53. Collezione privata, già Fondo Odiot, n°318 e 362.[]
  54. Sotheby’s Parigi, 5 novembre 2015, lot 74 a (tre tambours a tre ordini di piatti).[]
  55. Sotheby’s Parigi, 5 novembre 2015, lot 74 b (due tripodi compostiere).[]
  56. Christie’s Londra, 2011, lotto 30j.[]
  57. Parigi, Musée des Arts décoratifs, inv. 2009.174.46), ripr. in A. GAY MAZUEL, Odiot, un atelier d’orfèvrerie…, 2017, p.110, e cat.89 p. 212.[]
  58. A.S.N., Maggiordomia Maggiore e Soprintendenza di Casa Reale, Archivio amministrativo. Terzo inventario. Inventari 34, Etat général de l’argenterie de Sa Majesté le Roi de Naples, suivant la distribution des coffres.[]
  59. A.S.N., Maggiordomia Maggiore e Soprintendenza di Casa Reale, Archivio amministrativo. Terzo inventario. Inventari 34, Etat général de l’argenterie de Sa Majesté le Roi de Naples, suivant la distribution des coffres, “mazzetti di fiori artificiali 565 franchi”.[]
  60. J.-P. Samoyault, La table impériale, in Versailles et les tables…, 1994, p. 203.[]
  61. Il marc era l’unità di misura francese per pesare i metalli preziosi prima della riforma metrica, ancora in corso all’epoca della Restaurazione; dal 1812 al 1839 si applicava la cosiddetta unità metrica “usale” (1 marc valeva 244, 733 grammi, 1 once 31,25 grammi, 1 gros 3, 906 grammi).[]
  62. Ciò contrariamente a quanto asserito da Harold Acton Gli ultimi Borboni di Napoli (1825-1861), Milano 1964, p. 558 e successivamente da A. Archi, Gli ultimi Asburgo e gli ultimi Borbone in Italia (1814-1860), Bologna 1965, p. 376.[]
  63. Notamento della mobilia, quadri, oggetti di argento ed altro portato da Francesco II, allorché lasciò Napoli nel 6 settembre 1860: documento intimo procuratomi dal mio amico Giovanni Beltrani, in R. De Cesare, La fine di un regno, Città di Castello, 1895. Abbiamo consultato la ristampa anastatica del 2016, p. 429. Purtroppo l’inventario originale si è perso, forse durante i bombardamenti dell’Archivio di Stato di settembre 1943.[]