Benedetta Montevecchi

Il gusto di Francesco Maria II Della Rovere per le pietre dure


benedetta.montevecchi@gmail.com
DOI: 10.7431/RIV25022022

In questi ultimi anni è stato ampiamente studiato l’ambiente artistico della corte roveresca al tempo dell’ultimo duca, Francesco Maria II 1. Fine intellettuale, curioso e amante della ricerca, il duca Della Rovere non era interessato alle sole valenze estetiche delle opere d’arte, ma anche alla loro esecuzione e alle curiosità tecnologiche, come si evince da alcuni dei testi raccolti nella sua ricchissima Libraria dove, secondo l’originale ordinamento da lui stesso proposto, la sezione n. 50, intitolata Artes variae, comprendeva argomenti quali: “…Delle Monete…Delli Gioie et Pietre Pretiosi, De Metalli…” 2. Ancor più significativa era la diretta collaborazione con gli artisti e gli artigiani attivi nei laboratori detti ‘botteghini’, collocati nei sotterranei del Palazzo Ducale di Pesaro. Tali ‘botteghini’ erano stati fondati sull’esempio delle ‘officinelle’ del Casino di San Marco, promosse da Francesco I de’ Medici 3, che il duca di Urbino poteva avere conosciuto durante un viaggio a Firenze, alla fine degli anni ’70. Nei laboratori pesaresi lavoravano artefici italiani e stranieri per realizzare le più svariate ‘arti rare’, come nel ‘700 le aveva definite lo storico Annibale Degli Abati Olivieri 4. La Nota di spese autografa di Francesco Maria II 5 fornisce una preziosa documentazione di ciò che veniva realizzato sotto la diretta supervisione del duca e dell’oneroso impegno economico sostenuto per “il servizio suo et per fare di quei regali che con magnificenza di Principe suo pari faceva” 6. Le fonti documentarie, gli inventari e le vicende familiari attestano peraltro l’aggiornamento dei Della Rovere sulla grande produzione artistica contemporanea, come risulta dalle committenze ai massimi pittori e scultori del tempo 7, ma anche il gusto per le arti decorative e per i materiali di pregio, dall’avorio alla madreperla, dal corallo alle pietre dure. Gli inventari dei beni di Casteldurante (l’attuale Urbania), ultima residenza di Francesco Maria II, redatti subito dopo la sua morte (1631) 8, ricordano più di trecento oggetti d’oro e d’argento realizzati a Pesaro tra il 1580 e il 1620, un tesoro il cui ingente quantitativo era stato definito dall’ambasciatore estense a Firenze, Ippolito Bellincini, “…di molto maggiore quantità che non sono li argenti del medesimo Gran Duca” 9. Una cinquantina erano i manufatti ornati con pietre dure, materiali che, a fine Cinquecento, comparivano in importanti trattati come la celebre Istoria delle pietre del domenicano fiorentino Agostino Del Riccio (1597) o Le 12 pietre pretiose… (1587) del naturalista fermano Andrea Bacci, volume, quest’ultimo, presente anche nella Libraria ducale. Le voci inventariali elencano, tra l’altro, un tavolino “miniato d’oro […] con pietre preziose incastrate, cioè agate, lapislazoli, diaspri et altre simili”, un elaborato “studioletto […] ornato con diverse agate, corgnole, lapislazoli, madreperle et altri ornamenti”, calamai in cristallo di rocca e gemme, reliquiari e manufatti in ebano, argento, cristallo di rocca, corallo e pietre dure 10. Ricorre con frequenza il diaspro, pregiata pietra semipreziosa di vari colori, ma impiegata soprattutto nelle varietà rossa o verde con inclusioni rosse, che si prestavano per la realizzazione di manufatti con evidenti implicazioni simboliche 11. In questo materiale erano realizzati la croce col Crocifisso d’oro, accompagnata da due candelieri, per i quali, tra 1592 e 1593, viene pagato Giovanni Bandini, il grande scultore fiorentino che risulta al servizio del duca dal 1582 al 1595, impegnato anche a fornire modelli in cera per suppellettili preziose, come la lampada d’oro per la Santa Casa di Loreto (1588) e sette statue di santi in argento (1592) 12. E ancora in diaspro erano una pace con la Madonna col Bambino e cherubini d’oro 13, due rilievi con il Battesimo di Cristo e la Crocifissione 14, un calice “legato in oro, col piede di diaspro e con la sua patena d’oro” 15. Quest’ultimo oggetto è forse da mettere in relazione con una commissione del 1605 per la quale esisteva un disegno con le prescrizioni di Francesco Maria II che richiedeva “diaspro orientale ben macchiato di sangue”, mentre nella parte inferiore del piede dovevano esservi “due rametti di quercia avviticchiati” 16. Tale dettaglio è accostabile al decoro della “Pietra lunga ovata, ligata in oro smaltato di più sorte di smalti, con fogliami da capo et da piedi” 17, identificabile nella piccola maschera di turchese (‘Pietra Turchina’ è definita nei documenti fiorentini), con occhi di schegge di diamante, racchiusa tra le fronde di un alberello di quercia di argento dorato che posa su una base circondata da smalti bianchi e rosa, oggi conservata a Firenze, nel Museo degli Argenti di Palazzo Pitti (Fig. 1). La forma ‘parlante’ della montatura è indicativa del gusto per la decorazione araldica a rami e foglie di quercia che i Della Rovere predilessero in modo quasi maniacale, presente, in versioni più o meno elaborate, in buona parte delle opere d’arte decorativa di loro committenza. Particolarmente interessante è l’impiego del turchese, forse di provenienza messicana, la cui particolarità morfologica – come avveniva soprattutto per le perle scaramazze – viene sfruttata dall’anonimo intagliatore per realizzare un volto sorridente poi affidato, per la montatura, ad uno degli orafi attivi nei ‘botteghini’ pesaresi, forse un artefice d’Oltralpe per la straordinaria raffinatezza e il particolare virtuosismo esecutivo degli smalti 18.

   Ad oggi solo questo originale gioiello risulta essersi salvato dalla dispersione delle oreficerie commissionate e/o possedute dai Della Rovere, mentre nulla sussiste del citato, immenso patrimonio di argenti, di cui restano alcuni progetti grafici nel codice Urbinate latino 1763 della Biblioteca Apostolica Vaticana 19. Nello stesso codice si conserva un dettagliato disegno ricordato nel catalogo dei manoscritti vaticani di Cosimo Stornajolo come: “Ornamentum vasis ad recipiendam aquam benedictam20 che rappresenta, infatti, una sontuosa edicola, con una piccola acquasantiera al centro della base 21 (Fig. 2). Realizzato a penna e acquerello, il progetto è corredato da numerose annotazioni relative alle scelte da sottoporre al committente a cominciare dalle due diverse soluzioni decorative della struttura: quella a sinistra, geometrica, basata sull’alternanza delle placchette in pietre dure, quella a destra figurata, con l’inserimento di microsculture d’argento. La consuetudine di richiedere al duca la preventiva approvazione per i lavori in corso d’opera, già ricordata per il citato calice col piede di diaspro, è attestata anche da un altro disegno del codice vaticano che raffigura un arazzo con una scena di caccia al cervo circondata da una cornice con tre diverse ‘prove’ decorative, due a grottesche e una a festoni vegetali, quest’ultima quella prescelta 22. Numerose, dunque, le piccole scritte, in parte lacunose o illeggibili, presenti anche sul progetto dell’edicola a iniziare dall’alto dove, a proposito della decorazione sommitale, si legge: “Qui su in cima si farà / […] che piacesse / A.S[ua].A.[ltezza] S.[erenissima]”. Il timpano classicheggiante, impreziosito da inserti in lapislazzuli, diaspro sanguigno e corniole, presenta infatti a sinistra un obelisco in lapislazzuli sormontato da un’araldica ghianda, a destra un angioletto che sarà “Dargento” [sic], come il doppio festone vegetale che pende al centro dell’arco, mentre in “Cristalo” [sic], cioè in cristallo di rocca, saranno le placchette incastonate sopra il capitello delle colonnine che verranno realizzate “De cristalo ouer dargento”, come quelle inserite ai lati della base, sotto la coppia di volute ornate da “cornioli”. “Dargento” si legge anche lungo il bordo della piccola acquasantiera e a lato della figurina allegorica in piedi, sulla destra, con specchio e serpente (la Prudenza?). Non è indicato il materiale con cui realizzare l’intera struttura, mentre sono ben identificabili le diverse pietre dure meticolosamente rese ad acquerello, dalle luminose peculiarità cromatiche del lapislazzuli alle minute inclusioni rosse che punteggiano il verde del diaspro orientale, all’intenso rosso aranciato delle corniole. In basso, in un lungo appunto – di non agevole lettura – il progettista segnala la difficoltà di reperire le pietre e il loro costo: i cristalli di rocca, si legge, “si troverano ma con fatica”, “le corniole non si trovano de misura”, le altre pietre “son care […] et non fa riuscita”, e infine “de lapislazuli e diaspri orientali si troveranno a nostro […]”. Nessun accenno all’immagine che sarebbe stata inserita nell’edicola, un’iconografia sacra verosimilmente dipinta o sbalzata in argento, come si vede negli altaroli fiorentini di primo ‘600 in ebano, argento, cristallo di rocca e pietre dure 23 tra i quali eccelle, quale vertice della produzione glittica delle botteghe granducali, la celebre edicola con Cristo e la samaritana in commesso di pietre dure (Vienna, Kunsthistorisches Museum). Tornando al disegno vaticano, andrà sottolineato come l’elegante struttura, di gusto prettamente classico, proponga una decorazione molto contenuta, rispetto ai contemporanei esempi fiorentini, sia per quanto riguarda le microsculture, sia per quanto attiene ai geometrici inserti in pietre dure. Tali caratteristiche permettono di accostare il progetto roveresco ad un’edicola in ebano, pietre dure e argento (Roma, Palazzo Pallavicini) che Alvar González-Palacios ritiene di ambito romano 24 sottolineando l’impiego delle pietre dure semplicemente tagliate e accuratamente lucidate, tipico della glittica romana. Se per il progetto roveresco è pertanto possibile ipotizzare un disegno elaborato da un orafo di cultura romana, andrà ricordato che lavori di questo tipo vedevano comunque la compartecipazione di artefici diversi e di diversa provenienza, dall’ebanista per la realizzazione della struttura, all’orefice per la fusione e lo sbalzo delle microsculture d’argento, all’intagliatore delle gemme: proprio per uno di questi artefici, nel 1588, è documentato l’acquisto di utensili e polvere di diamante utile per la rifinitura e lucidatura delle pietre 25.

   Non si sa se questo lavoro sia stato mai eseguito e in quale occasione: secondo Stornajolo 26, era il progetto per la preziosa acquasantiera offerta dal duca a Clemente VIII, di passaggio nei territori rovereschi nel 1598, che il 6 aprile dell’anno successivo avrebbe concesso la dispensa per le nozze di Francesco Maria II con la giovanissima Livia, figlia del cugino Ippolito. Il dono del duca al papa è ricordato anche da Pietro Bellori nella vita di Federico Barocci, a proposito di un Gesù Bambino benedicente, dipinto su lamina d’oro, che completava un “vaso d’oro da tenervi l’acqua santa eccellentemente lavorato” 27. La succinta citazione non coincide col disegno vaticano, ma si riferisce tuttavia ad un’altra preziosa committenza roveresca, anch’essa perduta, forse ugualmente creata dagli artefici dei ‘botteghini’ ducali con i quali Federico Barocci, il grande pittore urbinate prediletto da Francesco Maria II, si trova a collaborare realizzando un’immagine nella rarissima e delicata tecnica della pittura su lamina d’oro.

  1. Si veda, in particolare, R. Morselli, In the service of Francesco Maria II della Rovere in Pesaro and Urbino, in The Court Artist in Seventeenth Century Italy, a cura di R. Morselli, E. Fumagalli, Roma 2014, pp. 49-93.[]
  2. A. Serrai, La Biblioteca di Francesco Maria II a Casteldurante, in La Libraria di Francesco Maria II Della Rovere, a cura di M. Mei, F. Paoli, Comune di Urbania 2008, p.39; F. Sabba, Artes (Arti liberali – Scansia 50), Urbino 2012; La galleria del diletto: alla corte del duca di Urbino, mostra bibliografica e documentaria (Biblioteca Universitaria Alessandrina, 18 ottobre 2012-31 gennaio 2013), Roma 2012, consultabile on line: https://www.movio.beniculturali.it/bua/lagalleriadeldiletto/it/9/catalogo. La biblioteca di Francesco Maria II, trasferita a Roma per volontà di Alessandro VII dopo la morte del duca e l’annessione del ducato di Urbino allo Stato Pontificio, è il fondo costitutivo della Biblioteca Alessandrina della “Sapienza” Università di Roma.[]
  3. Sull’attività dei ‘botteghini’ e sugli artisti attivi alle dipendenze di Francesco Maria II, cfr. G. Semenza, Dalla corte roveresca alla Firenze medicea. Un panorama inedito del collezionismo artistico di Francesco Maria II Della Rovere, tesi di dottorato, Università di Roma Sapienza, a.a. 2008-2009; R. Morselli, In the service of Francesco Maria II…, 2014, pp. 50-53.[]
  4. B. Montevecchi, “Arti rare” alla corte di Francesco Maria II in Pesaro nell’età dei Della Rovere, vol. III, 2, Venezia 2001, pp. 323-334.[]
  5. Archivio di Stato di Firenze, Fondo Urbinate, cl. III, div. B, filza XXIII; cfr. Morselli, In the service of Francesco Maria II della Rovere…, 2014, p. 52.[]
  6. Cfr. nota 4, p. 323.[]
  7. I Della Rovere. Piero della Francesca, Raffaello, Tiziano, a cura di P. Dal Poggetto, catalogo della mostra (Senigallia, Urbino, Pesaro, Urbania 2004), Milano 2004.[]
  8. T. Biganti, L’eredità dei Della Rovere. Inventari dei beni in Casteldurante (1631), Urbino 2005.[]
  9. G. Semenza, Per le stanze del Palazzo. Alcune considerazioni sulle opere d’arte roveresche prima del trasferimento a Firenze, in Francesco Maria I Della Rovere di Tiziano, a cura di F. Paoli, J. T. Spike, Urbino 2019, pp. 141-151 (p.144).[]
  10. T. Biganti, L’eredità dei Della Rovere…, 2005, nn.3224, 3225, 3227, 3229 ,3230, 3237, pp.417-419.[]
  11. Il tipo di diaspro richiesto dal duca – più propriamente definibile eliotropio – ricorda quello “verde e macchiato di gocciole rosse” nel quale Vasari scrive che l’intagliatore di pietre dure veronese Matteo del Massaro intagliò “…un Deposto di croce con tanta diligenza che fece venir le piaghe in quelle parti del diaspro che erano macchiate di sangue il che fece essere quell’opera rarissima”: Vasari-Milanesi, III, p. 639; cfr. C. Conforti, Vasari: le parole delle pietre, in Giorgio Vasari tra parola e immagine, Atti delle giornate di studio (Firenze, 2010; Roma, 2011), a cura di A. Masi, Roma 2013, pp.11-16.[]
  12. E.D. Schmidt, Giovanni Bandini tra Marche e Toscana, in “Nuovi studi. Rivista di arte antica e moderna”, 6, anno III, 1998. pp. 57.-103; L. Principi, Giovanni Bandini’s bronze Crucifix and candlesticks made for the Urbino Cathedral, in “The Burlington Magazine”, november 2016, CLVIII, pp..870-878 (870); V. Mezzolani, La politica dei ritratti scolpiti. Attorno al busto di Francesco Maria II Della Rovere di Giovanni Bandini, in Francesco Maria I Della Rovere…, 2019, pp. 131-139.[]
  13. T. Biganti, L’eredità dei Della Rovere…, 2005, nn.1116, 1117, 1118, p.247.[]
  14. T. Biganti, L’eredità dei Della Rovere…, 2005, n. 2523, p.383.[]
  15. T. Biganti, L’eredità dei Della Rovere…, 2005, n.404, p.180.[]
  16. G. Semenza, La quadreria roveresca da Casteldurante a Firenze. L’ultima dimora della collezione di Francesco Maria II, in T. Biganti, L’eredità dei Della Rovere…, 2005, pp. 69-137 (p.135).[]
  17. G. Barucca, Maschera ‘di Pietra Turchina’, in Gli ultimi Della Rovere. Il crepuscolo del Ducato di Urbino, a cura di P. Dal Poggetto, B. Montevecchi, Urbino 2000, pp.77-79; T. Biganti, L’eredità dei Della Rovere…, 2005, n. 427, p. 181.[]
  18. G. Barucca, Maschera ‘di Pietra Turchina’…, 2000, p. 79.[]
  19. Il codice consiste in un album di notevoli dimensioni (mm 408 x 534), rilegato in pergamena, contenente disegni applicati su fogli di sostegno; cfr. C. Stornajolo, I ritratti e le gesta dei Duchi d’Urbino nelle miniature dei codici vaticano-urbinati, Roma 1913, pp.10-11; B. Montevecchi, Arti rare…, 2001, pp.323-334; G. Pezzini Bernini, Simboli rovereschi in disegni per argenterie, in Venezia, le Marche e la civiltà adriatica per festeggiare i 90 anni di Pietro Zampetti, ARTE/Documento,17, 18, 19, a cura di I. Chiappini di Sorio, L. De Rossi, Padova 2003, pp. 367-371.[]
  20. C. Stornajolo, Bibliothecae Apostolicae Vaticanae. Codices Urbinates Latini, III, nn. 1001-1779, Romae 1921, p. 685.[]
  21. Il disegno (mm 435 x 732) è ripiegato e applicato al foglio di sostegno 44.[]
  22. Cfr. B. Montevecchi, Arti rare…, 2001, pp. 332-333.[]
  23. Si vedano, per esempio, gli altaroli in Sacri splendori. Il Tesoro della ‘Cappella delle Reliquie’ in Palazzo Pitti, catalogo della mostra (Firenze 2014), a cura di R. Gennaioli, M. Sframeli, Livorno 2014, pp. 169, 213.[]
  24. A. González-Palacios, Edicola reliquiario, in Fasto romano, dipinti, sculture, arredi dai Palazzi di Roma, catalogo della mostra (Roma 1991), a cura di A. González-Palacios, Roma 1991, p.150, tav. XXXIII.[]
  25. R. Morselli, In the service of Francesco Maria II della Rovere…, 2014, p. 78.[]
  26. C. Stornajolo, I ritratti e le gesta…, 1913, p. 11.[]
  27. G.P. Bellori, Le vite de’ pittori, scultori, architetti moderni, Roma 1672, ed. a cura di E. Borea, Torino 1976, p.196; del dipinto del Barocci, perduto, esiste una copia di bottega: cfr. H. Olsen, Federico Barocci, Copenhagen 1962, p. 199.[]