Maria Barbara Guerrieri Borsoi

Mosaici di soggetto religioso di Costantino Rinaldi al tempo di Pio IX e Leone XIII


mariabarbaraguerrieri@gmail.com
DOI: 10.7431/RIV25092022

La produzione di mosaici a Roma ottenne grande notorietà nel Settecento grazie allo Studio vaticano del mosaico che realizzò la straordinaria trasposizione musiva delle pale d’altare della basilica di S. Pietro e, naturalmente, favorì l’affermarsi di una produzione collaterale, a destinazione privata, usata per doni preziosi e spesso acquisita con particolare interesse dai grands touristes 1.

Nell’Ottocento si mantennero gli standard qualitativi molto elevati del periodo precedente e Roma continuò ad avere un ruolo privilegiato nella produzione musiva che nella capitale della cristianità assolveva anche a scopi istituzionali. Si pensi, ad esempio, alla necessità di procedere ai restauri sui molti mosaici presenti nelle chiese, dall’epoca paleocristiana in poi, o su quelli antichi via via riscoperti, interventi che potevano essere realizzati solo da maestranze particolarmente qualificate. Né si deve dimenticare che lo Studio vaticano di mosaico fu oggetto di cure attente da parte dei pontefici ed era incaricato anche di importanti nuove creazioni, tra le quali vanno menzionate in particolare quelle per S. Paolo fuori le mura 2.

I mosaicisti erano quasi sempre collegati allo Studio vaticano pur esercitando anche attività in proprio, talora con importanti risvolti commerciali.

Uno fra i più significativi, per l’importanza di alcuni dei manufatti realizzati e per gli apprezzamenti espressi sul suo conto dalla stampa del tempo, fu Costantino Rinaldi, del quale si esamineranno in questa sede alcuni lavori di soggetto religioso che certamente furono fondamentali per la sua fama 3. Alla notorietà nell’Ottocento non ha fatto riscontro l’attenzione della critica moderna che lo ha trascurato o citato marginalmente negli studi dedicati in generale al mosaico romano.

Costantino (c. 1806-1898) fu figlio del mosaicista Gioacchino e di Annunziata Neri 4. Il padre è citato in varie pubblicazioni romane sin dall’inizio dell’Ottocento e si sa che ebbe un negozio al numero 125 di Via del Babuino, successivamente ereditato dal figlio 5. È interessante ricordare che nel 1830 erano censiti ben cinquantadue esercizi commerciali di questo tipo, tutti ubicati nelle strade del centro più amate dai turisti 6.

Verosimilmente Costantino deve essere nato intorno al 1806, come si ricava dall’età che gli fu attribuita anni dopo negli Stati delle anime 7. Ancor molto giovane, nel 1823 ebbe una menzione nei concorsi scolastici dell’Accademia di S. Luca, per un disegno copiato dal Torso del Belvedere, ed era considerato allievo di Minardi 8. Queste notizie fanno pensare che abbia avuto una formazione come pittore, anche se poi esercitò l’attività paterna, e d’altro canto si riteneva che un buon mosaicista dovesse saper disegnare e colorire con perizia.

Nel 1835 si sposò con Mariangela Sibilio, figlia di Francesco, un artigiano specializzato nella lavorazione e commercio delle pietre di qualità, che lo sostenne economicamente nell’attività mercantile e probabilmente possedette sue opere 9.

Almeno nel 1841 il negozio di Via del Babuino, dove si vendevano mosaici «in grande e in piccolo» era a nome di Costantino e gli rimase sino alla fine del 1874 quando ne fu dichiarato il fallimento, ma non conosciamo le cause di questo insuccesso commerciale 10. Certamente Rinaldi cercò di sfruttare il successo ottenuto dal padre, del quale era noto soprattutto un mosaico di grandi dimensioni raffigurante una Veduta di Paestum con i tre celebri templi antichi, capolavoro costato anni di lavoro ove, nella sola resa del cielo sarebbero state usate oltre sessanta diverse sfumature di azzurro 11. Questo soggetto, firmato, è conservato nella collezione Gilmartin, ma ne sono state segnalate altre versioni 12, ora da valutare con attenzione ricordando che anche Costantino eseguì questo tema, come attesta l’esistenza di un mosaico con lo stesso soggetto, appena variato nelle figure e di dimensioni molto simili, e una menzione del 1858 13. Per la produzione con temi richiesti dal grande pubblico, si possono ricordare anche piccoli quadretti con una Caccia al cervo, esposto a Dublino nel 1865, mentre in anni recenti è passata sul mercato antiquario una Caccia al cinghiale, firmata «C. Rinaldi F. in Roma». Si conosce anche una Veduta del tempio della Sibilla a Tivoli, firmata e datata 1870, che corrisponde perfettamente con altra priva di indicazioni 14. Inoltre sappiamo che creò vedute dei monumenti più noti di Roma come il Colosseo e la Piazza di S. Pietro, quest’ultima ricordata nel 1870, insieme a due soggetti religiosi, un Salvatore ed una Immacolata 15.

Nell’arco di soli tre anni (1853-55) la Fabbrica di S. Pietro comprò da lui molti mosaici da regalare a illustri visitatori, ad esempio una «partenza di Agar col suo figlio Ismaele dalla casa di Abramo» (del valore di 416 scudi) 16, ma anche un tavolino con nove vedute (per 300 scudi) 17.

Gli arredi di questo tipo erano richiesti e Rinaldi lavorava in un campo molto concorrenziale dove, almeno attualmente, appare dominante la personalità di Michelangelo Barberi. Rinaldi fece certamente un tavolino particolarmente rilevante per il duca Scotti di Milano, ed effettivamente nel 1850 si ricordava una «magnifica tavola in mosaico uscita dalle officine di Roma» di proprietà di questo nobiluomo che va identificato, visto in contesto, con Tommaso Gallarati Scotti (1819-1905), mecenate delle arti 18.

Nel 1843 Rinaldi fu consultato per il restauro dei mosaici all’interno del ninfeo del Bergantino a Castel Gandolfo 19, ma è ancor più interessante che sia stato chiamato ad intervenire su un grande mosaico antico trovato nel 1830 ad Autun rappresentante Bellerofonte su Pegaso uccide la Chimera (Fig. 1). A questo scopo, nel 1848 andò in Francia e l’intervento consistette in una estesa integrazione dei lacerti antichi, sulla base di un progetto attribuito al pittore Raimond Balze, allievo di Ingres, con scelte discutibili dal punto di vista iconografico. Ulteriori interventi furono eseguiti anche successivamente, cosicché l’opera è considerata praticamente moderna, ma quel che conta in questo contesto è l’evidente stima della quale godeva Rinaldi 20. Dopo essere stato lungamente al Louvre, il grande mosaico è esposto dal 1985 presso il Museo Rolin di Autun.

È probabile che l’attività come restauratore fosse abbastanza ricorrente, poiché abbiamo notizia di un suo intervento su mosaici antichi della famiglia Orsini, dopo il 1869, e sui pavimenti musivi ritrovati nella villa di Baccano, oggi conservati nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo. In quest’ultimo caso, nel 1872, il «valente musaicista» ebbe «per la staccatura, incassatura e riparazione a nuovo dei mosaici» 3.800 lire, cifra assai rilevante se si calcola che i manufatti furono acquistati dallo stato per 20.000 lire complessive e fra essi si trovavano quelli molto fini e stimati raffiguranti gli aurighi delle fazioni del circo 21.

Il prestigio di Rinaldi raggiunse livelli decisamente elevati nel sesto decennio del secolo e nel 1856 già si sapeva che avrebbe eseguito mosaici all’altezza della sua fama per un’opera di grande importanza da inviare a Boulogne sul Mer 22.

Si tratta di un grandioso altare che il principe Alessandro Torlonia aveva deciso di erigere per adempiere ad un voto espresso dal fratello Carlo.

L’altare fu una manifestazione di sfarzo straordinaria, adeguata alla fama del suo committente, che ne affidò la progettazione all’architetto Carlo Nicola Carnevali, coadiuvandolo con i suoi consigli, e risultò opera particolarmente ricca per la mole e i materiali utilizzati. È ovvio pensare che il principe abbia scelto anche gli altri artefici, in particolare il Rinaldi. La biografia anonima già citata afferma che il mosaicista avrebbe lavorato per Alessandro Torlonia anche «nella villa e nel palazzo, in Roma», la prima da identificare con la dimora sulla Nomentana mentre più problematico rimane il riferimento al secondo, poiché la famiglia ne aveva più d’uno, sebbene il principale fosse quello a piazza Venezia, poi demolito. Questo e la villa furono decorati nei primi decenni del secolo con vari mosaici pavimentali e forse il mecenate ebbe modo di utilizzare Rinaldi in quei contesti, sebbene ciò non sia documentato. L’unico mosaicista attivo nella villa che si conosce attualmente è Carlo Seni, ma la mole delle realizzazioni lascia aperta la possibilità che ve ne fossero anche altri 23.

L’altare per la Francia era in lavorazione a Roma nel 1858, allorché si stimava che sarebbe costato almeno 30.000 scudi 24, cifra in verità assolutamente straordinaria, e nel 1862 si trovava ancora in città, ove lo vide nel palazzo Torlonia vicino a S. Pietro il gesuita Antonio Bresciani, che, prima della repentina scomparsa (14 marzo 1862), fece a tempo a redigerne la descrizione pubblicata in un lussuoso volume l’anno dopo 25. Inizialmente (1856) i cartoni preliminari avrebbero dovuto essere realizzati da Federico Pagini, considerato un promettente allievo di Pietro Gagliardi 26, ma successivamente i modelli furono eseguiti da pittori ritenuti più accreditati, quali Catalani [Vincenzo?] e [Domenico] Bartolini, nonché Gagliardi stesso, del quale Bresciani esalta in particolar modo il bel San Giovanni.

Essendo la chiesa intitolata alla Vergine, sul lato dell’altare volto verso la navata trovarono posto la Madonna con il Bambino, e i Dottori della Chiesa (Figg. 23) mentre su quello visibile dal coro il Redentore e gli Evangelisti. I fianchi ospitarono invece stemmi e iscrizioni commemorative che esaltavano il committente romano.

Rinaldi seppe emulare con ogni precisione la resa pittorica degli originali, dai quali, a detta dei commentatori, i mosaici non si potevano distinguere se non per il lucore delle superfici.

La scelta del mosaico per decorare un altare in questo modo non è certo consueta e va vista nel contesto del pontificato allora in corso di Pio IX Mastai. Certamente il pregio principale del mosaico è la sua resistenza, ma l’adozione di questa tecnica appare come un voluto richiamo a Roma, all’epoca paleocristiana, alla chiesa delle origini che, proprio in quanto tale, era santa. Commentatori del tempo evidenziarono che l’altare era notevole «principalmente pe’ musaici, essendo essi i primi che si vedranno in una chiesa di Francia» 27.

Si trattava quindi di un’operazione ben meditata in cui Roma si proponeva come la città depositaria della tradizione religiosa più autorevole così come della tradizione artistica più raffinata.

Probabilmente anche per favorirne la conoscenza fu stampato il ricco volume ricordato che contiene tutte le notizie sull’opera e addirittura cinque tavole illustrative (Fig. 4), relative alla pianta e ai quattro lati, incise da Gaetano Cottafavi 28.

Il lavoro per la Francia era appena finito quando Rinaldi fu coinvolto in un’altra opera emblematica di questi anni.

Nel 1862 George Alexandre-Franҫois, conte de Nedonchel (1813-1901) venne a Roma per esprimere la sua devozione alla tomba degli apostoli e aiutare il papa, da poco privato di parte dei suoi stati. Ebbe modo di vedere la reliquia del capo di san Lorenzo, allora conservata nel palazzo del Quirinale, priva di un adeguato contenitore e propose di farlo realizzare a sue spese. Inoltre, l’amico conte Vittorio Huyttens de Teerbeeg pagò la ricca pubblicazione di accompagnamento, scritta da Xavier Barbier de Montault, che fornisce ogni possibile informazione sul prezioso oggetto ed è addirittura corredata da una illustrazione in cromolitografia (Fig. 5), tecnica recente e introdotta a Roma proprio per volere di Pio IX 29. Tutta la stampa cattolica parlò diffusamente del dono, esposto in S. Lorenzo in Damaso affinché potesse essere apprezzato da un largo pubblico, persino traducendo brani del libro precedente 30.

Il reliquiario di bronzo dorato, alto 125 cm, fu disegnato da Luigi Poletti, fuso da Pietro Chiapparelli e impreziosito con innumerevoli pietre pregiate. Ebbe forma goticheggiante, forse per ricordare l’origine nordica del benefattore, ma anche in linea con il diffuso gusto neogotico nell’architettura contemporanea. Su una base circolare poggiano le sei colonne poste a sorreggere il primo ripiano, coronate da altrettante sculture con figure sedute. La vera e propria teca esagonale presenta archetti trilobi su colonnine tortili e contiene il cranio visibile da tutti i lati. La parte superiore è quella più ornata, con cuspidi triangolari separate da angeli cantori mentre sulla sommità della guglia è raffigurato san Lorenzo.

Le statuette che lo impreziosiscono derivarono da modelli di Pietro Tenerani, le pitture all’interno della cupoletta furono eseguite da Francesco Grandi e la decorazione esterna a mosaico fu opera di Rinaldi, che sembrerebbe essere stato scelto da Poletti, perché appena messosi in luce con l’altare di Boulogne. Barbier de Montault insiste su questo aspetto proponendo quasi un parallelismo tra la Francia arricchita da un’opera romana e Roma ripagata con il reliquiario donato da un francese.

Rinaldi realizzò gli stemmi del donatore, di Pio IX e del Sacrista (il conservatore delle reliquie) monsignor Francesco Marinelli, ma soprattutto i delicati motivi di ispirazione paleocristiana disposti sugli spioventi della guglia, il Crismon, la colomba, l’ancora, la palma, la corona e l’agnello, nonché racemi e cornici geometriche. Il bronzista e il mosaicista ebbero anche l’onore singolare di essere espressamente ricordati con una iscrizione sul reliquiario e ricevettero in dono una medaglia dal pontefice 31. Certamente, in questo caso, il lavoro di Rinaldi non fu di particolare ampiezza o complessità, ma l’esecuzione è di impressionante raffinatezza, con tessere minime e serratissime, percepibili solo a distanza molto ravvicinata. Essere stato chiamato a collaborare ad un oggetto sacro tanto prestigioso amplifica il valore del suo intervento.

Naturalmente Rinaldi realizzò anche lavori di minor risonanza, ma comunque rappresentative del gusto del tempo. Si può ricordare lo sportello del ciborio del nuovo altare nella chiesa di Galloro (Fig. 6), realizzato nel 1867 grazie all’intervento di benefattori, in particolar modo il cardinale Giacomo Antonelli e il duca Pio Grazioli. Tutti gli artigiani che intervennero sono minuziosamente ricordati in una preziosa fonte del tempo, nella quale si legge: «La porticina offre l’immagine del Salvatore in atto di porgere a chi gli sta innanzi il pane e di benedirlo con la formula Hoc est corpus meum; la quale si legge in un fascione di lumachella dorata di Astracan tra i capitelli. Questo concetto fu espresso mirabilmente dal ch. Prof. Pietro Gagliardi; ed il rinomato mosaicista Costantino Rinaldi tolse il carico di tradurlo in mosaico a stile bizantino» 32. In realtà, lo stile bizantino del manufatto non è per nulla evidente, mentre è encomiabile la qualità esecutiva con tessere veramente di minime dimensioni e gradazioni cromatiche molto curate.

La stessa fonte aggiunge «I lavori poi in marmo furono eseguiti, con rara diligenza e con esquisito senso del bello, da Filippo Leonardi, che, succeduto a Giuseppe suo padre, spento di fresco, ne ereditò la insigne perizia nell’arte, e la uguale probità cristiana», notizia che risulta utile in relazione all’opera qui di seguito presentata.

Il conte di Nedonchel si era sposato nel 1839 a Parigi con Antoinette-Marie-Louise di Choiseul, dalla quale ebbe due figlie, e la famiglia viveva tra il Belgio e la Francia. La ragazza più giovane, Matilde (Marie-Mathilde-Josephine, 1842-1867), palesò una profonda religiosità con particolare dedizione alla venerazione del Sacro cuore di Gesù, al quale si consacrò. La fanciulla venne a Roma nel 1867 dove, dopo pochi giorni di soggiorno, morì improvvisamente e fu sepolta nella chiesa di S. Maria in Aquiro in una tomba terragna davanti all’altare del Sacro Cuore nella cappella del Crocifisso 33.

La Serva di Dio fu però celebrata anche con un monumento addossato al pilastro della chiesa prossimo alla sepoltura (Fig. 7), che fu progettato dall’architetto Pietro Bencivenga e realizzato da Filippo Leonardi 34. Quest’ultimo, come abbiamo visto, più che un vero scultore era un artigiano specializzato nella lavorazione dei marmi, ricordato in varie pubblicazioni del tempo tra gli scalpellini e i marmisti 35.

Alla base del cenotafio vi è una cassa sporgente dal piano di fondo con la lunga iscrizione, sormontata da un coperchio arcuato, terminante in due volute, decorato con una corona e due fiaccole. La parte retrostante, appoggiata al pilastro, formata con varie pietre pregiate, presenta pilastri che sostengono un architrave sopra il quale si innesta il timpano semicircolare decorato con lo stemma di famiglia. La sensazione è quella di trovarsi quasi di fronte ad un altare, piuttosto che ad un’opera commemorativa.

Essa va qui ricordata perché Rinaldi fu autore della estesa decorazione a mosaico, in primo luogo il riquadro centrale che rappresenta Matilde Nedonchel in preghiera davanti alla statua di Gesù Cristo che indica il suo sacro cuore (Fig. 8), nonché piccoli pannelli con fiori, girali, simboli cristiani (Fig. 9) 36.

La presenza su un monumento funerario di una scena, e non di un ritratto, non rientra nelle consuetudini tradizionali ed è anche molto raro l’utilizzo del mosaico, certamente qui adottato dal conte Nedonchel sulla base delle considerazioni già riferite e poiché conosceva l’artista coinvolto. Nella scelta della chiesa per la sepoltura forse influì anche il fatto che ne fosse stato fatto eseguire il restauro per volontà di Pio IX, completato nel 1866, e risulta evidente che nell’estesa decorazione pittorica moderna spesso gli sfondi simulano mosaici, a dimostrazione di un interesse per questa tecnica diffuso a largo raggio nelle arti del periodo.

Non è noto chi sia stato l’autore del prototipo del mosaico raffigurante Matilde, ma l’attenzione dell’osservatore si disperde sui particolari dell’arredo – la tappezzeria della parete e della sedia, il tappeto, gli intagli dell’inginocchiatoio – e sul lussuoso abbigliamento, tanto che il dipinto ha un tono quasi mondano, in contrasto con l’atmosfera sacra del luogo e la religiosità dell’effigiata. Certamente Rinaldi espresse qui, con grande virtuosismo, la sua perizia, ad esempio nella resa dei riflessi luminosi sulla veste o nelle ombre delicate dell’incarnato. Le tessere piccolissime e di forma variata creano le forme sfruttando al massimo le sottili diversità cromatiche per ottenere un autentico effetto pittorico.

Il pontificato di Pio IX fu seguito da quello di Leone XIII Pecci, molto lungo e complesso poiché la Chiesa dovette ineludibilmente confrontarsi con la crescente laicizzazione della società e con i grandi cambiamenti della modernità.

Per quanto qui interessa si deve ricordare la decisione presa dal papa di far ricostruire l’abside della basilica di S. Giovanni in Laterano 37. Come è ben noto, essa era decorata da un prezioso mosaico eseguito da Jacopo Torriti che si pensava di poter salvare con una delicata operazione di distacco. Prima di procedere in questo senso si effettuarono studi dell’opera con disegni e addirittura copie per ricalco di alcune porzioni, rivelatisi molto utili poiché, alla fine delle operazioni, il risultato fu una fondamentale distruzione dell’originale medioevale, salvo alcune piccole parti 38.

Naturalmente il rifacimento richiese l’intervento dei mosaicisti dello Studio vaticano che, tra il 1881 ed il 1886, provvidero a copiare la creazione originaria e tra essi, secondo la biografia del 1886, lavorò anche Rinaldi: «ultimamente poi fe’ risplendere il suo genio artistico in quelli che eseguì nell’abside nuovo di S. Giovanni in Laterano». La notizia poteva destare perplessità, poiché il mosaicista era molto anziano, ma ha trovato esatta conferma, mostrando così l’affidabilità dello sconosciuto biografo.

Sin dal 1881 lo Studio vaticano del mosaico assunse l’incarico dell’esecuzione di questi lavori e il direttore Nicola Consoni indicò le parti che dovevano essere eseguite dai mosaicisti Pietro Bornia, Ettore Vannutelli, Alessandro Agricola, Gioacchino De Angelis, Felice Muzio, Costanzo Maldura. Due anni più tardi il Segretario ed economo della Fabbrica fu lasciato libero di scegliere quanti e quali mosaicisti ritenesse opportuno per completare l’opera entro il 20 febbraio 1884, obiettivo che non fu possibile raggiungere. Proprio dall’inizio del 1883 e sino al maggio 1886 risulta regolarmente pagato Rinaldi, secondo il tariffario stabilito per l’opera, che variava a seconda della difficoltà della parte da eseguire e del fatto che essa fosse lavorata in studio o in situ. Senza poter qui entrare in dettaglio è comunque interessante notare che in quell’anno erano all’opera molti artefici, ad esempio, sedici nel mese di giugno 39.

Nel 1886 Rinaldi stava finendo di realizzare anche una coppia di quadretti con S. Pietro e S. Paolo a figura intera, che si auspicava potessero essere donati al pontefice in occasione del venticinquennale della sua consacrazione sacerdotale 40, ed è questa l’ultima notizia nota relativa al suo lavoro sebbene il mosaicista si sia spento vari anni dopo, nel 1898 41.

  1. La bibliografia è estremamente vasta, si rimanda perciò ai testi in seguito citati e al recentissimo Il mosaico a San Pietro: tra revival e sperimentazioni, a cura di C. Seccaroni, “Kermes. Restauro, Conservazione e Tutela del Patrimonio culturale”, XXXIII, 119-120, 2020 [2021] e al sito di M.G. Branchetti www.romadelmicromosaico.it.[]
  2. Sulla produzione ottocentesca sono importanti gli studi di S. Turriziani, Lo studio del mosaico vaticano durante il pontificato di papa Gregorio XVI nei documenti dell’archivio storico generale della Fabbrica di San Pietro in Vaticano (1831-1846), in Gregorio XVI promotore delle arti e della cultura, a cura di F. Longo, C. Zaccagnini, F. Fabrini, atti del convegno (Roma Pontificio Ateneo “Antonianum”, 22-24 marzo 2006), Ospedaletto (Pisa) 2008, pp. 385-404; M.G. Branchetti, San Paolo fuori le Mura. Guida ai mosaici dall’età paleocristiana a oggi, Roma 2011; M.G. Branchetti, Il mosaico nella Roma di Leone XII: il ruolo centrale nel cerimoniale diplomatico, nel commercio cittadino, nella politica di tutela del patrimonio artistico, in Il pontificato di Leone XII. Restaurazione e riforme nel Governo della Chiesa e dello Stato, atti del convegno (Genga 1 ottobre 2011), a cura di G. Piccinini, Quaderni del Consiglio regionale delle Marche, Ancona 2012, pp. 246-255. Si veda inoltre G. Cornini, La collezione vaticana di mosaici minuti. Note introduttive, in Arte e artigianati nella Roma di Belli, a cura di L. Biancini-F. Onorati (atti del convegno, 28 novembre 1997), Roma 1998, pp. 136-157.[]
  3. Non è stata indagata l’eventuale attività in S. Pietro in Vaticano poiché è in preparazione un’opera su tutti gli artefici coinvolti nella realizzazione dei mosaici vaticani a cura delle dottoresse Simona Turriziani e Assunta De Sante dell’Archivio della Reverenda Fabbrica di S. Pietro, che ringrazio per l’aiuto fornitomi durante la ricerca.[]
  4. [senza autore], Prof. Costantino Rinaldi, in “Annali degli avvocati di San Pietro”, VIII, serie II, anno III, 1 settembre 1886, n. 17, pp. 270-272.[]
  5. Per il negozio di Gioacchino cfr., ad esempio, Diario di Roma, 1830, n. 18, p. 4. M.G. Branchetti, Mosaicisti con studio a Roma registrati negli indirizzari delle guide, cataloghi e annuari della prima metà dell’Ottocento, in C. Stefani (a cura di), Ricordi in micromosaico: vedute e paesaggi per i viaggiatori del Grand Tour, catalogo della mostra (Roma, Museo Mario Praz, 16 dicembre 2011- 10 giugno 2012), Roma 2011, pp. 98-114, p. 109.
    K. E. Werner (Die Sammlung Antiker Mosaiken in den Vatikanischen Museen, Città del Vaticano 1998, p. 202) ha supposto che Gioacchino Rinaldi abbia restaurato un mosaico proveniente dalla casa di Numisia Procula, sulla base di una citazione di L. Biondi (Monumenti amaranziani, in A, Nibby, Il Museo Chiaramonti aggiunto al Pio Clementino, vol. 3, Roma 1843, p. 40) che però cita solo il cognome del mosaicista, e quindi potrebbe anche trattarsi di Costantino. Werner (Die Sammlung Antiker …, 1998, p. 109) ricorda anche uno sconosciuto Francesco Rinaldi.[]
  6. M.G. Branchetti, Il mosaico nella Roma di Leone XII …, 2012, p. 226.[]
  7. Roma, Archivio Storico del Vicariato, S. Giacomo in Augusta, Stati delle anime 1850, f. 139.[]
  8. Diario di Roma 1823, n. 87, p. 2; E. Ovidi, Tommaso Minardi e la sua scuola, Roma 1902, p. 104. Ebbe anche modo di studiare letteratura, notizia che attesta un discreto tenore di vita nella casa paterna: Prof. Costantino Rinaldi …, 1886, p. 270.[]
  9. S. Ciranna, Francesco Sibilio un pietrajo dell’Ottocento. La bottega, la casa, l’eredità e l’inventario del 1859, in “Antologia di Belle Arti”, n.s., 67-70, 2004, pp. 146-167, p. 135.[]
  10. “Almanacco letterario, scientifico, giudiziario, commerciale […]”, Roma 1841, p. 326; “Gazzetta ufficiale del regno d’Italia”, 1875, 2, in data 4 gennaio, p. 31: “Fallimento di Rinaldi Costantino negoziante di belle arti in Roma, via del Babuino n. 125”.[]
  11. A. Errera, Del mosaico nelle sue attinenze coll’arte e colla religione; notizie e considerazioni, in “Il politecnico repertorio mensile di studj applicati alla prosperità e coltura sociale”, XXII, 1864, pp. 312-331, p. 326.[]
  12. Del mosaico paterno si conoscono più versioni, una firmata (G. V. Rinaldi) ora al Victoria & Albert Museum di Londra: J. Hanisee Gabriel, The Gilbert Collection-Micromosaics, London 2000, pp. 90-91 n. 36, p. 289.[]
  13. “Revue de l’art chrétien”, 2, 1858, p. 522 (nella sezione Cronache, in un testo non firmato sui mosaici minuti): all’esposizione di Londra del 1851 si vide una Veduta dei Templi di Pestum di Costantino Rinaldi; R. Grieco, A. Gambino, Roman mosaic: l’arte del micro mosaico tra ‘700 e ‘800, Milano 2001, p. 143 (firmato).[]
  14. Elenco generale degli oggetti spediti dagli esponenti pontifici alla esposizione internazionale di Dublino pel 9 maggio 1865, Roma 1865, p. 41; Asta Christie’s, live auction 14227, close 16 novembre 2017, lot 466.[]
  15. Per il Colosseo (firmato) si veda R. Grieco, A. Gambino, Roman mosaic …, 2001, p. 158. Catalogo degli oggetti ammessi alla esposizione romana del 1870 relativa all’arte cristiana e al culto cattolico nel chiostro di S. Maria degli Angeli ordinata dalla Santità di Nostro Signore Papa Pio IX felicemente regnante, Roma 1870, p. 92.[]
  16. M.G. Branchetti, Indice biografico dei mosaicisti attivi in Roma dal 1727, data della costituzione ufficiale dello Studio Vaticano del Mosaico, al 1870, in D. Petocchi, M. Alfieri, M.G. Branchetti, I mosaici minuti romani nei secoli XVIII e XIX, Roma 1981, pp. 43-78, p. 68 (dal documento citato nella nota seguente).[]
  17. Questi acquisti e lavori sono ricordati in Archivio della Fabbrica di S. Pietro ( = AFSP), I piano, serie Armadi, vol. 539 (Saldaconti dall’anno 1849 all’anno 1855), ff. 129, 154, 157, 174, 183 (S. Ciranna Francesco Sibilio …, 2004, p. 135 cita da altro documento analogo).[]
  18. Per la citazione del tavolo: Prof. Costantino Rinaldi …, 1886, p. 271 (questa fonte afferma genericamente anche che opere di Rinaldi furono inviate nelle corti di Spagna, Austria e Russia). I. Cantù, Una giusta lode, in Album Esposizioni di belle arti in Milano ed in altre città d’Italia dedicato al signor Gian Giacomo Poldi Pezzoli, Milano 1850, pp. 119-120.[]
  19. G. Lugli, Lo scavo fatto nel 1841 nel ninfeo detto Bergantino sulla riva del lago Albano, in “Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma”, XLI, 1913, pp. 89-143, p. 133 (il restauro non fu eseguito e i mosaici andarono persi).[]
  20. R. Engelmann, Bellerofonte e Pegaso, in “Annali dell’Instituto di corrispondenza archeologica”, 46, 1874, pp. 5-37, p. 22: “Antico è il capo dell’uomo, ed il capo, il collo, le punte delle ali e pezzetti delle gambe del cavallo; della chimera soltanto la testa ed un pezzettino della coda”. C. Lemaître, La mosaïque du Bellérophon d’Autun: une source pour l’histoire de la restauration au XIXe siecle, in “Revue des musées de France, Revue de Louvre”, 56, 2006, 5, pp. 24-29.[]
  21. I. Della Giovampaola, La cd. villa di Clodio tra il XIII e il XIV miglio della via Appia: la cartografia storica e la documentazione d’archivio, in “Studi Romani”, LVI, 2008, 1-4 pp. 24-63, p. 56; G. Becatti (a cura di), Mosaici antichi in Italia: regione settima. Baccano: villa romana, Roma 1970, p. 2 con rimando ad un faldone d’archivio mal indicato, la cui esatta collocazione, da me rivista, è Archivio Centrale dello Stato, Direzione generale delle antichità e belle arti, ID 2543, busta 136, fasc. 251, ff. n.n.. Su questi pavimenti lavorarono anche altri mosaicisti.[]
  22. G. Lefevre, Nuova cattedrale di Boulogne sur Mer, in “L’Album”, XXIII, 1856, 16 agosto, pp. 201-204, p. 204; D. Haigneré, Histoire de Notre-Dame de Boulogne, Boulogne 1857, p. 356: Rinaldi è definito il più celebre mosaicista del tempo.[]
  23. A. Campitelli, I cicli musivi di villa Torlonia a Roma: il recupero ottocentesco di una tradizione, in I mosaici. Cultura. Tecnologia, Conservazione, a cura di G. Biscontin, G. Driussi, atti del convegno (Bressanone, 2-5 luglio 2002), Venezia 2005, pp. 1-7.[]
  24. “Cronaca: giornale di scienze, lettere, arti, economia e industria”, pubblicato da I. Cantù, 4, 1858, I semestre p. 573. Questa fonte ricorda molti lavori eseguiti nelle chiese di Roma nei dieci anni precedenti, spesso con i loro costi.[]
  25. A. Bresciani, Descrizione dell’altare consacrato a Nostra Signora dal principe romano Don Alessandro Torlonia, nel tempio novellamente riedificato di Boulogne sur Mer di Francia preceduta da una breve storia di quel santuario, Roma 1863.[]
  26. G. Lefevre, Nuova cattedrale…, 1856, p. 204.[]
  27. Ibidem.[]
  28. A. Bresciani, Descrizione dell’altare…, 1863.[]
  29. X. Barbier de Montault, Etude archéologique sur le reliquaire du chef de S. Laurent diacre et martyr, Rome, H. Sinimgerghi 1864. La pubblicazione fu tirata in soli 500 esemplari, tutti donati.[]
  30. “Periodico la Verità”, Bologna, 20 agosto 1864, p. 336: si ammira in S. Lorenzo in Damaso; “Civiltà cattolica” 1864, p. 512, con traduzione dal volume di Barbier de Montault; “La scienza e la fede”, 53-54, 1864, pp. 148-149.[]
  31. “Constantinus Rinaldi opere musivo excoluit”. Il reliquiario, dopo essere stato nel palazzo del Quirinale, fu a lungo conservato nella Cappella Matilde nel Palazzo Vaticano (oggi denominata Redemptoris Mater), quindi spostato nell’adiacente piccola Cappella comune detta anche di S. Lorenzo, ove si trova attualmente. Ringrazio il dottor Guido Cornini per avermi aiutato a vedere l’opera e la Prefettura della Casa Pontificia che ha autorizzato il sopralluogo.[]
  32. P. Codronchi, Belle Arti, in “Il Veridico foglio popolare”, V, n. 22, 1 giugno 1867, p. 86.[]
  33. https://www.guardofhonor-usa.org/marie-mathilde-josephine-de-nedonchel (con bibliografia) consultato il 18 marzo 2021.[]
  34. M. D’Onofrio-C. Strinati, S. Maria in Aquiro, Roma 1972, p. 63; sulla lesena in basso a sinistra: “P. Bencivenga arch. / Ph Leonardi sc.”.[]
  35. Guida-Monaci guida commerciale di Roma e provincia, Roma 1890, p. 770, nella categoria Scalpellini Marmisti e ornatisti. Il padre Giuseppe aveva lavorato per l’altare di Boulogne sur Mer.[]
  36. Firmato in basso a destra “C. Rinaldi”.[]
  37. La bibliografia sull’argomento è molto vasta, con vari scritti del tempo, e si rimanda sinteticamente a M. Morbidelli, L’abside di S. Giovanni in Laterano: una questione controversa, Roma 2010.[]
  38. A. Tomei, Iacobus Torriti pictor: una vicenda figurativa del tardo Duecento romano, Roma 1990.[]
  39. AFSP, Arm. 84 A 5, fasc. 65A per gli accordi generali; Arm. 84 A 4, fasc. 65 per i pagamenti.[]
  40. Prof. Costantino Rinaldi …, 1886, p. 271, mosaici di cm. 64×32, non rintracciati.[]
  41. https://www.antenati.san.beniculturali.it  Il decesso di Rinaldi Costantino fu Gioacchino risulta dall’Indice decennale dei morti di Roma 1892-1901, Q-Z, con rimando alla serie e parte 284 B, che sembra mancante. Nonostante sia stato impossibile fare questo riscontro l’indicazione del padre rende la proposta attendibile. Ringrazio il dottor Alexis Gauvain per avermi indicato questo sito aiutandomi a farvi la ricerca.[]