Rita Pellegrini

Orecchini palermitani ottocenteschi nei monti altolariani


ritapellegrini@alice.it
DOI: 10.7431/RIV25082022

L’emigrazione che ebbe luogo verso Palermo dal XV al XIX secolo dalle cosiddette Tre Pievi Superiori della diocesi di Como (Dongo, Gravedona e Sorico), ovvero dalle sponde e dai monti dell’Alto Lario Occidentale 1, comportò il trasferimento in patria dalla Sicilia di opere in metallo prezioso di destinazione sia sacra che profana. Quanto alle prime, la ricerca è stata finora abbastanza consistente 2. Rispetto ai gioielli portati nelle famiglie o donati come ex voto alle chiese, e specialmente alle statue mariane, rimangono alcuni accenni in pubblicazioni storiche che considerano i monili soprattutto in relazione al costume ed evocano, sulla base della tradizione orale, la provenienza di alcuni di essi dalla Sicilia attraverso l’emigrazione 3, mentre solo qualche lavoro più recente ha affrontato il tema in modo scientifico 4. Tra questi due estremi, si pongono gli studi di Mariuccia Zecchinelli che negli anni ’50 del XX secolo, rifacendosi alle precedenti ricerche e sulla scorta dei suoi pioneristici ritrovamenti in loco, lasciò qualche appunto negli scritti da lei pubblicati 5, benché nel suo archivio, reso recentemente fruibile, siano disponibili poche tracce fotografiche utili a un approfondimento 6.

In questo studio si intendono prendere in considerazione gli orecchini che gli emigrati a Palermo portarono alle proprie famiglie in Alto Lario nel XIX secolo. Si tratta di manufatti di oreficeria popolare per i quali, come ben si sa, la creatività degli orafi si è manifestata in linea generale in svariate forme 7, che verranno qui raggruppate in due ambiti: quello degli orecchini a pendente e quello degli orecchini ad anello. I monili presentati sono stati reperiti sul territorio dei monti dell’Alto Lario Occidentale presso case private o presso alcune chiese, ove si conservano come ex voto e, più generalmente, quali addobbi per decorare le statue della Madonna in occasione della relativa festa locale. Dell’uso di adornare gli affreschi mariani nelle località che qui si trattano, si è già parlato su queste pagine 8. Ciò vale anche per le statue, sia, in modo semplificato, nella loro conservazione ordinaria 9, sia, in modo sfarzoso, durante la festa.

Fra gli orecchini a pendente, alcuni sono stati reperiti nella località di Vercana, posta nei monti di Domaso e nell’antica pieve di Gravedona.  Un primo esempio è dato da un paio caratterizzato da fiocchetto lavorato a filo perlinato e pendente a goccia. Si tratta di un modello in oro rosa 18 carati con punzonatura costituita dall’Aquila palermitana e da un marchio consolare di cui è leggibile solo la cifra finale, corrispondente al numero 4 (Fig. 1). Il sistema di marcatura adottato è dunque quello che era entrato in vigore nel 1758 e che perdurò sino al 1812, estendendosi anche cronologicamente oltre 10. Gli orecchini possono essere ascritti a una fase iniziale dell’Ottocento, forse al 1804. Di simile concezione è un esemplare rinvenuto nel paese di Livo (Fig. 2), posto in valle adiacente a quella di Vercana e fortemente caratterizzato in passato da una emigrazione verso Palermo. In questo caso il fiocco è lavorato a lamina piatta. Si può supporre una identica provenienza geografica nonostante la mancanza di marchi di Stato, motivabile dal basso titolo dell’oro, pari a circa 14 carati. La legge del 1758 non ammetteva infatti che a Palermo si lavorasse una lega più bassa di 17 carati e mezzo, titolo al di sotto del quale un manufatto non sarebbe stato passibile di punzonatura 11. Il tema del fiocco in questo genere di monile è una reminiscenza del XVIII secolo 12, come si vede in esemplari di buon livello qualitativo di quel secolo, e rimane anche nella produzione ottocentesca 13.

Altro tipo a pendente ritrovato in territorio di Vercana è costituito da un paio di orecchini con struttura di base in oro rosa 18 carati e corallo rosso (Fig. 3). Ogni orecchino è formato da un bottone da applicare al lobo e da un pendente asportabile. Ciascuno è inoltre incorniciato su tutto il perimetro da un bordino a doppio filo ritorto in oro giallo, andato perduto in uno dei due bottoni a lobo. Questi ultimi contengono un cabochon di corallo di forma ovale avente superficie sfaccettata mediante lavorazione a losanghe. Il pendente in corallo è lavorato geometricamente. Gli orecchini recano il punzone dell’Aquila palermitana e il marchio consolare SG11, corrispondente a quello utilizzato nel 1811 dall’orafo Salvatore Gerardi 14. Il modello di orecchino in corallo con pendente a goccia avente lavorazione più o meno elaborata si trova ben rappresentato nella oreficeria ottocentesca trapanese 15, ma era tipico anche della produzione lombarda dell’epoca. Un caso di convergenza con gli orecchini di Vercana, per quanto riguarda la lavorazione sfaccettata a losanghe del corallo, si ha in un esemplare di orecchini in oro giallo di provenienza comasca (Fig. 4). Il modello è ascrivibile a produzione lombarda dei primissimi anni dell’Ottocento non presentando il punzone della Spada, che venne introdotto con il Decreto Beauharnais del 1810 ed entrò in vigore nel 1812 16. Di fatto gli inventari comaschi allegati agli atti notarili dell’epoca riportano spesso gioielli in oro e corallo, fra i quali orecchini con pendente 17. Si trattava dunque di un bene apprezzato anche localmente.

Tornando agli orecchini palermitani, un curioso esemplare rinvenuto a Vercana (Fig. 5) è fabbricato in oro rosa 18 carati e presenta il marchio dell’Aquila palermitana e il bollo (AA06) del console degli orafi Andrea Annardi, in carica nel 1806 18. Il bottone da lobo di forma ovale è lavorato a sbalzo e decorato con un semplice motivetto a filigrana. Lo stesso tipo di lavorazione caratterizza il pendente, di maggiori dimensioni e di forma circolare. Le due parti sono unite da un sistema a fili d’oro conformato secondo il disegno di una lira, tipico motivo decorativo di ambito neoclassico 19 che caratterizza la creazione inserendola nel gusto del suo tempo.

Altri orecchini palermitani di gusto neoclassico sono stati rinvenuti a Trezzone, in pieve di Sorico, area dalla quale l’emigrazione verso la Sicilia fu intensa, così come il trasporto nei paesi d’origine di doni in argento per le chiese 20. Un paio, realizzato in oro rosa 18 carati, presenta bottone ellittico con parte centrale lavorata a sbalzo e bordo in filigrana. Il pendente a goccia è costruito secondo il medesimo schema e nella parte superiore è arricchito da due piccole emisfere oscillanti (Fig. 6). Punzonato con l’Aquila palermitana, l’esemplare reca un marchio consolare illeggibile, ma è databile ai primi anni dell’Ottocento. Un paio di orecchini molto simili, provenienti dalla raccolta Loria di Caltagirone, si ritrova presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma 21. Quest’ultimo modello è sostanzialmente riproposto, per quanto in lunghezza decisamente maggiore (115 mm circa vs 60 mm), in un esemplare trapanese di inizio XIX secolo del Tesoro della Madonna di Trapani 22 e in uno del secondo quarto del XIX secolo del Tesoro della chiesa madre di Maria SS. del Soccorso di Castellammare del Golfo 23. Si può ritenere che tutti questi monili derivino da modelli più raffinati aventi simile impostazione generale ma arricchiti da gemme, come ad esempio quello di collezione privata di Catania con pietre rosse e perline, datato a fine XVIII secolo 24.

Sempre a Trezzone, si sono ritrovati un paio di orecchini in oro rosa 18 carati sui quali la punzonatura dell’Aquila di Palermo è ripetuta per ben otto volte in ognuno dei due elementi. Il marchio consolare (AA06) corrisponde a quello già considerato di Andrea Annardi 25. Di gusto spiccatamente neoclassico, gli orecchini sono realizzati in oro rosa 18 carati e presentano un pendente caratterizzato da un’ampia cornice a filo perlinato entro cui è contenuta una decorazione ad anfora in filigrana dalla quale pendono motivetti a goccia in lamina sfaccettata a sbalzo (Fig. 7). Sono noti orecchini di identica concezione realizzati da orafi siciliani e appartenenti a svariate collezioni private, spesso caratterizzati anche dalla presenza di perle o coralli o gemme e con decorazione centrale del pendente vasiforme 26. Esemplari siciliani di gusto analogo, provenienti da Caltagirone e da Piana degli Albanesi, si conservano presso il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma 27.

Mentre in Alto Lario gli orecchini storici a pendente presentano nel complesso scarsa diffusione, anche nelle forme di produzione lombarda, assai comuni si sono rivelati gli orecchini ad anello, il cui abbinamento al costume popolare di quest’area geografica venne sottolineato già da alcuni scriitti ottocenteschi. Di tale modo di vestire e ingioiellarsi si erano occupate le inchieste napoleoniche sui costumi del Regno d’Italia del 1811, quando un ricercatore, la cui identità è rimasta ignota, rilevò, essendo stato inviato come osservatore in loco, che nel lontano passato le donne dei monti di Gravedona e di Dongo, paesi costieri del lago di Como, essendo state liberate dalla pestilenza per intercessione di Santa Rosalia, conosciuta grazie alla emigrazione dei loro mariti, avevano fatto voto «da indi in poi di vestire ad imitazione della Vergine, il che costantemente osservarono». Il costume delle donne aveva come base una tunica di panno color castagna, che veniva arricchita da alcuni particolari decorativi, il più prezioso dei quali, secondo tali inchieste, era una fibbia in argento o in oro 28 (Fig. 8). In effetti Carlo Amoretti, in un viaggio compiuto già a fine Settecento, aveva annotato, a proposito del saio indossato da quelle donne, che «in quel dimesso abito però non lascia di spiccare la bellezza delle forme, e l’avvenenza de’ volti; e il lusso ha pur trovato il modo d’introdurvi l’oro, e i merletti» 29. Fu Giansevero Uberti a declinare nel 1890 il tipo di gioielli che queste montanare indossavano, anche perché, assai probabilmente, proprio nel corso dell’Ottocento vi fu un incremento di questi beni. Vediamo dunque che cosa annotò l’Uberti, dopo aver descritto il costume delle donne dei monti altolariani: «Sfoggiano merletti, spille ed altri preziosi ornamenti, cingono al collo fili di grosso corallo, o collane di oro, e le più ricche anche bei fili di perle portate dai loro mariti o fidanzati, i più dei quali vanno a Napoli od a Palermo […]». L’autore non fa cenno agli orecchini che tuttavia di fatto, come in parte abbiamo già considerato e come si vedrà specialmente in seguito, vennero portati in terra lombarda soprattutto nell’Ottocento. La sua maggiore attenzione è per le collane e le prime che cita sono quelle in corallo, che risultano oggi quelle effettivamente più conservate dalle famiglie e più donate alle statue mariane. In alcuni paesi della valle di Livo (Livo, Dosso Liro e Peglio) esse vengono ancora caratteristicamente indossate da molte donne. Il tipo più comune è costituito da grani in corallo alternati a partitori in filigrana d’argento (Fig. 9). Può essere significativo sottolineate che i partitori vengono chiamati localmente «spartimént» (Livo) o «patrimént» o «patrimént di curài» (Peglio), denominazioni che ricordano il siciliano «partimento» 30 (Fig. 10). Quest’ultimo termine viene utilizzato anche nei documenti ottocenteschi altolariani per indicare i grani d’argento di separazione dei coralli 31. La chiusura delle collane in corallo era ed è formata da nastri colorati in rosa, rosso o azzurro. È stato documentalmente appurato che gli emigrati portavano con sé le collane dalla Sicilia 32.

Fotografie di fine Ottocento e dei primi anni del Novecento testimoniano che le donne dei monti altolariani indossavano, con le collane di corallo, orecchini ad anello che alcune pubblicazioni affermavano provenire secondo tradizione da Palermo 33 (Fig. 11). In effetti esiste una certa gamma di orecchini ad anello utilizzati nell’area geografica in studio, ma per la verità solo su alcune tipologie si sono rinvenuti i marchi della produzione palermitana. Localmente tali orecchini vengono chiamati in dialetto «anéi» (Livo, pieve di Gravedona) o «anelìn» (Garzeno, pieve di Dongo; Vercana, pieve di Gravedona) o «canulìn» (Germasino, pieve di Dongo) o «bùcul» (Trezzone, pieve di Sorico). Nel Settecento gli «anellini d’oro per li oreggi» o «anellini d’oro per le orecchie» o semplicemente «anellini d’oro» compaiono caratteristicamente nei documenti contenenti gli inventari dei beni delle donne altolariane 34 e in effetti si tratta di un genere di monile diffuso, testimoniato ancora ampiamente negli inventari ottocenteschi 35. Di tale tipologia si è rinvenuto un esemplare palermitano di foggia molto semplice nel paese di Livo: l’orecchino, realizzato in oro giallo 18 carati, reca tre marchi di cui due illeggibili e uno corrispondente all’Aquila palermitana (Fig. 12). Tale punzonatura consente solo di affermare che venne realizzato tra il 1758 e il 1826 36. Nella parte inferiore del cerchio è saldato un occhiello, la cui funzione parrebbe quella di gancio per eventuali pendenti. Vedremo in seguito come tale caratteristica attenga anche ad altri esemplari rinvenuti sul territorio. Tuttavia, in base a un’intervista condotta una decina di anni fa, a memoria d’uomo, almeno fin agli anni ’40 del Novecento non si usava appendere nulla agli occhielli inferiori.

La tipologia di orecchini maggiormente diffusa è costituita da un modello ad anello caratterizzato dalla presenza sull’arco inferiore di cinque occhielli, di cui quelli laterali in asse e quello centrale trasversale al monile. Si riconoscono alcune varietà, distinguibili in base a una differente figurina di fusione applicata. Il tipo più diffuso reca l’immagine di un’aquila coronata bicipite (Fig. 13). I vari esemplari si distinguono l’uno dall’altro per il disegno dell’aquila (ampiezza e sollevamento delle ali, tipo di corona) e per il colore (giallo, rosa o rosso) e titolo dell’oro, variabile dai 12 ai 18 carati. Localmente gli orecchini vengono riconosciuti come «canulìn da l’aquilo a du test» a Germasino (anellini con l’aquila a due teste) o «anelìn da l’aquila» (Vercana), ma nel paese di Livo l’aquila viene equivocata con un gallo e questi monili sono denominati «anéi dal gall». Sono state esaminate varie decine di paia storiche di questi orecchini e sulla quasi totalità di essi si sono rinvenuti i marchi della produzione orafa palermitana successiva al 1826. Risulta infatti sempre ben evidente il bollo di Garanzia costituito dalla Testa di Cerere, mentre non è sempre chiaro il bollo del Saggiatore 37. Su un paio di esemplari si è ritrovato il già nominato punzone milanese della Spada, che restò teoricamente in vigore fino al 1872 38, ma venne di fatto utilizzato soprattutto negli anni precedenti la metà dell’Ottocento. Due le ipotesi. O essi vennero imitati sul territorio di importazione oppure, nel caso in cui qualche orefice se li fosse ritrovati in bottega, fu loro apposto un marchio locale in occasione dell’applicazione dei dettami del decreto Beauharnais, che imponeva di punzonare i preziosi mancanti di bollo 39. Non è comunque peregrina l’idea che possano essere stati fabbricati localmente. Del resto questi orecchini vengono oggi prodotti a stampo da una ditta lombarda in quanto richiesti anche come souvenir. Sul territorio altolariano molte fotografie storiche di fine Ottocento e inizio Novecento ritraggono donne che indossano questi orecchini e collane di corallo (Fig. 14), ma è particolarmente interessante un quadro, custodito nel paese di Vercana, in località Piazzo, e risalente a metà Ottocento, che ritrae i fratelli Filippo e Margherita Torchio. La donna indossa una collanina a bottoni d’oro, monile ritrovato fra quelli ancora conservati nell’area topografica in esame 40, e un paio di orecchini con aquila bicipite (Fig. 15).

Come dalla Sicilia era stato portato in patria l’anello di Santa Rosalia 41, così nell’Ottocento giunsero nelle Tre Pievi gli orecchini della Santuzza, conformati come quelli dell’aquila bicefala ma con l’effigie intera della Santa, vestita con saio, con corona in testa e nelle mani la croce e il bastone del pellegrino. Anche in questo caso i marchi ritrovati sono quelli ottocenteschi che compaiono sugli orecchini con aquila bicipite. Il che vale per un’ultima tipologia, caratterizzata da una figura antropomorfa seduta che localmente viene spesso equivocata per Santa Rosalia, ma che non ha nulla della santa palermitana. Qualcosa di molto simile compare in certuni orecchini siciliani a navicella smaltati e decorati con piccole immagini zoomorfe, antropomorfe o fitomorfe, reperiti sull’isola e tutti accomunati dal marchio della Testa di Cerere col numero 6 42. Nel caso degli orecchini altolariani, si riconoscono tre varianti della figura antropomorfa assisa. Secondo chi scrive, la più comune si adatterebbe bene alla immagine del Genio di Palermo (Fig. 16). Gli orecchini sulla quale è stata ritrovata variano per colore (rosso, rosa o giallo) e titolo (dai 12 ai 18 carati). In diverse paia si è rilevato, oltre al bollo di Garanzia, quello del Saggiatore Matteo Serretta, corrispondente alla Testa di Leone 43. Meno comuni risultano invece altre due immagini. La prima è stata identificata più spesso e appare come la sagoma di un fanciullo con una figura pisciforme, forse un delfino (Fig. 17). Nel paese di Vercana questi orecchini vengono chiamati «anelìn dal papöö», ossia «anellini con il pupo». Se ne ritrovano di punzonati (Testa di Cerere) e di non punzonati. Lo stesso vale per l’ultimo esemplare, che presenta invece una figura muliebre seduta a seno scoperto (Fig. 18).

Il tipo di orecchino ad anello più diffuso nei monti altolariani, e sempre utilizzato in abbinamento alla collana in corallo, è a cerchio allungato con parte inferiore poligonale e decorata con monogramma mariano (Fig. 19). Anche in questo caso il colore dei vari esemplari è variabile da giallo a rosa a rosso, così come il titolo dell’oro può mutare da 12 a 18 carati. Il grado di lavorazione è più o meno accurato e generalmente nella parte inferiore è presente un occhiello. Di solito vengono denominati come orecchini con la emme, secondo le varie inflessioni dialettali. A Livo li si chiama «anéi da l’emme», a Garzeno «anelìn da l’emma». L’esame di varie decine di paia storiche non ha consentito di rilevare la presenza di punzoni. Solo in qualche caso era presente un marchio illeggibile in quanto molto consunto. Secondo la tradizione però, anche tali orecchini proverrebbero dalla Sicilia, così come quelli, anch’essi molto diffusi, caratterizzati da un disegno che viene localmente interpretato come un cestino, tanto che li si denomina con espressioni dialettali che ricordano tale oggetto (Fig. 20). A Livo vengono chiamati «anéi dal cestì», a Germasino «canulìn dal cavagnöö» e a Brenzio «cavagnöö». Le caratteristiche tecniche sono quelle già elencate per gli orecchini con monogramma mariano, compreso l’occhiello terminale. Secondo alcune fonti orali, originariamente questi orecchini erano modellati in forma tridimensionale, come dei veri e propri cestinetti e in seguito vennero prodotti secondo l’attuale struttura. In effetti nel dialetto milanese e comasco il «cavagn» è il paniere 44 e «cavagnöö» è il diminutivo (panierino). Una possibile ipotesi è che potesse trattarsi di orecchini a navicella. Una convergenza strutturale nella forma del cestino si evidenzia con esemplari di Catanzaro e di Foggia del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma 45.

  1. M. Zecchinelli, Le Tre Pievi. Gravedona Dongo Sorico, Milano 1951, pp. 159-163; R. Pellegrini, Dongo. Oltre il conosciuto. Mille anni di storia, Villa Guardia 2012, pp. 28-33, 336-337; M. Longatti, Ricerche e documenti sull’emigrazione dalle Tre Pievi nei secoli XV e XVI, in “Altolariana”, 4, 2014; R. Pellegrini, Emigrazione dall’Alto Lario Occidentale tra XV e XIX secolo. Dati acquisiti, criticità, prospettive, Atti del convegno (Cuggiono, 13-14 novembre 2015) a cura di O. Magni – E. R. Milani – D. Tronelli, Oggiono 2018, pp. 48-82.[]
  2. M. Zecchinelli, Arte e folclore siciliani sui monti dell’Alto Lario nei secoli XVI-XVIII, in “Rivista Archeologica Comense”, 131-132, Como 1951, passim; O. Zastrow, Capolavori di oreficeria sacra nel Comasco, Como 1984, passim; A. M. Boca, Rapporti con la Sicilia di artisti e maestranze delle Valli lombarde, in I Lombardi e la Sicilia, a cura di R. Bossaglia, Pavia 1995, pp. 90-92, 98-99; G. Conca Muschialli-G. Monti, Parole d’argento, Gravedona 2001, passim; L. Viganò, Argenti sul Lario, in “Quaderni della Biblioteca del Convento francescano di Dongo”, 34, 2013; R. Pellegrini, Tra noc e sass. Storia della comunità di Stazzona, Gravedona 2004, pp. 83-84; R. Pellegrini, Gioielli storici dell’Alto Lario. Cultura del prezioso nel periodo dell’emigrazione a Palermo, Como 2009, pp. 38-45; R. Pellegrini, Di alcune suppellettili d’argento donate dagli emigrati, in “Quaderni della Biblioteca del Convento francescano di Dongo”, 70, 2013; P. Albonico Comalini – N. Spelzini, Sulle tracce di antichi “argenti”, dono degli emigranti, in “Altolariana”, 3, 2013; P. Albonico Comalini – N. Spelzini, Altri antichi “argenti”, dono degli emigranti, in “Altolariana”, 4, 2014; R. Pellegrini, Argenti palermitani del XVII E XVIII secolo in Valchiavenna, in “OADI -Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, 13, 2016; R. Pellegrini, Doni d’argento degli emigrati valchiavennaschi tra Sei e Ottocento, in “Clavenna”, LVIII, 2019; R. Pellegrini, Suppellettili sacre palermitane donate dagli emigrati all’antica pieve di Sorico, in “Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, 19, 2019; R. Pellegrini, Le oreficerie palermitane donate dagli emigrati di Stazzona (CO), Atti del convegno “Gli emigranti e i loro regali. L’arte donata in diocesi di Como dal Cinque al Settecento” (Como, 15-16 novembre 2019) a cura di E. Bianchi – G. Virgilio, Milano 2021, pp. 289-306.[]
  3. G. Venini, Il Lario dei nostri antenati. Descrizione storica del Lago di Como, Como 1877, p. 38; G. Uberti, Guida generale ai grandi laghi subalpini, Milano 1890, p. 115; A. Giacosa, Tradizioni e costumi del Lario, Como 1938, pp. 72-74.[]
  4. R. Pellegrini, Gioie d’Alto Lago, in “Annuario Iubilantes 2006”, Como 2006; R. Pellegrini, Quando dal Lario si emigrava a Palermo, in “Kalòs”, 3, Palermo 2008; R. Pellegrini, Gioielli storici…, 2009, passim; R. Pellegrini, Anelli a tavola ottagonale del XVII e XVIII secolo in Alto Lario (CO) ed emigrazione in Sicilia, in “OADI -Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, 17, 2018.[]
  5. «Ai nostri giorni giunsero anche pesanti anelli d’oro con incisa la effige di Santa Rosalia od una croce di Malta a smalto bianco nella placca superiore (Vercana, Gravedona) e collane ricche e varie in cui alle filigrane d’argento, a volte dorate, son alternati i coralli lavorati a faccette che aumentano di grossezza fino al prisma centrale in lamina d’oro (Stazzona), oppure s’alternano con altri di tinta più chiara o con granuli di madreperla, mentre la molletta d’oro a prisma poligonale alterna, sulle facce in tre tonalità di smalto azzurro, un rametto di rose e la leggenda “amour pour amour” (Gravedona). Tutti questi gioielli si dicono importati da Palermo». M. Zecchinelli, Arte e folclore…, 1951, p. 67. In effetti un anello con punzone palermitano ante 1872 con l’iscrizione amour è riportato in R. Cruciata, Anello “sentimentale”, in Il Museo d’Arte Sacra della Basilica Santa Maria Assunta di Alcamo, a cura di M. Vitella, Trapani 2011, p. 130.[]
  6. Nell’archivio della studiosa sono conservate solo due fotografie di monili. Una riporta una collana in corallo con globetti in filigrana d’argento e un paio di orecchini con aquila bicipite. L’altra un anello con croce di Malta in smalto nero. Archivio Belloni-Zecchinelli, Serie 1, 50, 12.[]
  7. A. Buttitta, Oreficeria popolare, in Enciclopedia universale dell’arte, Firenze 1963, X, p. 170.[]
  8. R. Pellegrini, Suppellettili sacre palermitane…, 2019, pp. 108-110.[]
  9. A fine Settecento la signora Anna Maria Oreggia lasciò alla statua della Madonna del Carmine della chiesa di San Sebastiano di Càino quattro fili di corallo e un paio di orecchini con il patto che rimanessero in perpetuo sul simulacro. R. Pellegrini, Gioielli storici…, 2009, p. 115.[]
  10. S. Barraja, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo, saggio introduttivo di M.C. Di Natale, Milano 1996, pp. 50-52.[]
  11. S. Barraja, I marchi…, 1996, pp. 48-49. In altre città, come a Messina, si ammetteva la lavorazione di un titolo più basso. In alternativa si può ipotizzare una produzione lombarda degli orecchini su modello importato.[]
  12. L. Ajovalasit, Orecchini, in  Ori e Argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della Mostra (Trapani, Museo Regionale Pepoli, 1 luglio – 30 ottobre 1989) a cura di M. C. Di Natale, Milano 1989, pp. 121-123; M. C. Di Natale, Orecchini, in Ori e Argenti…, pp. 122-123; M. C. Di Natale, Orecchini, in Il tesoro nascosto. Gioie e Argenti per la Madonna di Trapani, catalogo della Mostra (Trapani, Museo Regionale Pepoli, 2 dicembre 1995 – 3 marzo 1996) a cura di M. C. Di Natale – V. Abbate, Palermo 1995, pp. 121-122.[]
  13. R. Cruciata, Quattro coppie di orecchini – Orecchini, in Il Museo d’Arte Sacra…, 2011, pp. 135-136; R. Cruciata, Aurea Jugalia. Gli ori della Madonna del Soccorso di Castellammare del Golfo, Palermo 2011, p. 55.[]
  14. S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 84.[]
  15. R. Cruciata, Aurea Jugalia…, 2011, pp. 56-57.[]
  16. V. Donaver – R. Dabbene, Punzoni degli argentieri milanesi dell’800, Milano 1985, p. 24.[]
  17. Si riporta qualche esempio significativo tratto dagli atti del notaio di Como Giuseppe Caldara. Il 21 gennaio 1811 viene redatto l’inventario dei beni del defunto Giuseppe Consonni fu Marco, già bottigliere e pasticciere in Como, e come preziosi si annoverano: una collana in corallo da 6.90 lire, due «perini» in corallo legati in oro da 11.50 lire, due fili di perle da collo con mollette d’oro e due orecchini d’oro per 237.94 lire, due anellini da orecchio e uno da dito per 8. 44 lire, 3 anelli da dito per 15.35 lire, 2 spille per 1.50 lire, una vera con cinque diamanti da 78 lire. Quello di «perini» era il nome riservato agli orecchini a pendente piriforme. Il 6 agosto 1812 seguirono le convenzioni matrimoniali tra Marta Monti fu Tommaso e Antonio Monti di Francesco, entrambi abitanti a Como in borgo S. Bartolomeo. Il corredo dotale della sposa comprendeva un ditale d’argento da 2.10 lire, un filo di granati e bottoni d’oro da 7.60 lire, due fili di granati a olivette da 3.50 lire, un filo di «malgarittini con moletta d’oro» da 6.10 lire, un paio di orecchini d’oro con pietra da 11.70 lire, un anello d’oro con gemma da 7.60 lire, un paio di orecchini in corallo da 11 lire, un filo di coralli rossi da 9.20 lire. Il 23 novembre 1814 seguirono le convenzioni matrimoniali tra Giuseppe Brunati di Pietro e Maria Orsola Casartelli fu Pasquale, entrambi residenti a Como in parrocchia S. Agata. Il corredo della sposa comprendeva un filo di coralli con «perini» e spilla da 60 lire, una collana di coralli piccoli e due mollette d’oro per 18 lire, una collana d’oro con spilla e «tablò» per 120 lire, due «perini neri ligati in oro» per 25 lire, una collanetta di coralli neri ad olivella da 6 lire, una collanetta con bottoni d’oro e scaglietta da 6 lire, due orecchini d’oro con sei brillanti piccoli ciascuno da 64 lire, due «stellette da orecchio» d’oro da 6 lire. Archivio di Stato di Como (ASCo), Notai, 4545. Si trova anche la variante «peri» e «peretti», come in atto del 23 gennaio 1809 rogato a Dongo. In ASCo, Notai, Giovanni Casati, 5434.[]
  18. S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 83.[]
  19. La lira, strumento apollineo per eccellenza, rappresenta, per il fatto di funzionare a corde, la moderazione, l’armonia e la misura, in contrapposizione all’aulòs e agli strumenti a fiato. A. Alciato, Il libro degli Emblemi secondo le edizioni del 1531 e del 1534, Milano 2015, p. 31, C. Sachs, Storia degli strumenti musicali, Milano 2011, pp. 144-145. Si vedano per tale forma gli orecchini presentati in R. Cruciata, Tre coppie di orecchini, in Il Museo d’Arte Sacra…, 2011, p. 140.[]
  20. Si vedano R. Pellegrini, Di alcune suppellettili…, in “Quaderni”…, 2013, passim; R. Pellegrini, Suppellettili sacre…, in “Rivista”…, 2019, passim.[]
  21. P. Ciambelli (a cura di), L’ornamento prezioso. Una raccolta di oreficeria popolare italiana ai primi del secolo, Roma 1986, Tav. 55, n. 274.[]
  22. M.C. Di Natale, Orecchini, in Il tesoro nascosto…, 1995, p. 176.[]
  23. R. Cruciata, Aurea Jugalia…, 2011, pp. 54-55.[]
  24. L. Ajovalasit, Due paia di orecchini, in Ori e Argenti…, 1989, pp. 121-122.[]
  25. S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 83.[]
  26. Si vedano M. C. Di Natale, Orecchini, in Ori e Argenti…, 1989, pp. 126-129; A. Zanni, Orecchini, in Ori e Argenti…, 1989, pp. 128-129; M. C. Di Natale, Orecchini, in Il tesoro nascosto…, 1995, pp. 175-176.[]
  27. L’ornamento prezioso…, Tav. 49, nn. 244, 245.[]
  28. G. Tassoni, Arti e tradizioni popolari. Le Inchieste Napoleoniche sui costumi e le tradizioni nel Regno Italico, in Arte e Monumenti della Lombardia prealpina, a cura di V. Gilardoni, IX, Bellinzona 1973, pp. 30, 48-49. Delle fibbie si trova notizia in inventari coevi. Per esempio nell’inventario del 13 aprile 1808 della famiglia del defunto Tomaso Peracca di Peglio, si legge di «una fibbia d’argento ed una saraglia d’argento per la corengia ad uso della vedova». Inoltre in una cassa contenente beni della prima moglie del defunto si annoveravano «una corengia con fibbia di ferro, altra corengia con fibbia, e saraglia d’argento». La corengia è la cintura. ASCo, Notai, Melchiorre Del Pero, 5644.[]
  29. C. Amoretti, Viaggio da Milano ai Tre Laghi Maggiore, di Lugano e di Como e ne’ monti che li circondano, Milano 1794, p. 79.[]
  30. Cfr. M.C. Di Natale, Gioielli di Sicilia, Palermo 2000, II ed. 2008, p. 211.[]
  31. Per esempio nel testamento dell’8 giugno 1823 di Margherita Peracca fu Stefano di Peglio, ove leggiamo: «A Malgheritta Caldara altra mia pronipote lascio li miei due fili corallo rosso, col suo partimento in argento. A Maddalena Caldara altra mia pronipote lascio li miei tre fili di corallo rosso senza alcun partimento». ASCo, Notai, Liberale Gentile, 5499.[]
  32. R. Pellegrini, Gioielli storici…, 2009, pp. 97-100.[]
  33. A. Giacosa, Tradizioni e costumi…, 1938, p. 75.[]
  34. R. Pellegrini, Gioielli storici…, 2009, p. 141.[]
  35. «Un paja piccioli anellini per le orecchie, 1 picciol veretta, ed un picciolo anello d’oro, stimati insieme lire 20» in un inventario dei beni del defunto Giovanni Battista Aureggi di Domaso (pieve di Gravedona) del 20 settembre 1810. ASCo, Notai, Melchiorre Del Pero, 5645. Nel testamento del 16 agosto 1822 di Teresa Tommasini fu Gerolamo, domiciliata in Dongo, vengono legati «un pajo d’anellini d’oro per le orecchie»; nel testamento del 25 agosto 1822 di Francesca Rumi fu Stefano di Dongo si nominano «li miei anellini delle orechie d’oro». ASCo, Notai, Liberale Gentile, 5499.[]
  36. S. Barraja, I marchi…, 1996, pp. 47-52.[]
  37. S. Barraja, I marchi…, 1996, pp. 56-57.[]
  38. V. Donaver – R. Dabbene, Punzoni degli argentieri…, 1985, p. 25.[]
  39. R. Pellegrini, Orefici a Como nel XIX secolo: botteghe, marchi, attività, in “Rivista Archeologica dell’Antica Provincia e Diocesi di Como”, 199, 2017, p. 85.[]
  40. Cfr. R. Pellegrini, Gioielli storici…, 2009, p. 126.[]
  41. R. Pellegrini, Anelli a tavola ottagonale…, 2018, pp. 99-100.[]
  42. R. Vadalà, Gioielli dell’Ottocento siciliano a Castelbuono. Tipologie e tecniche fra tradizione e innovazione, in M. C. Di Natale – R. Vadalà, Il tesoro di Sant’Anna nel Museo del Castello dei Ventimiglia a Castelbuono, Palermo 2010, pp. 62-65; R. Cruciata, Tredici coppie di orecchini a navicella, in Il Museo d’Arte Sacra…, 2011, p. 133.[]
  43. S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 56.[]
  44. F. Cherubini, Vocabolario milanese-italiano, Milano 1814, Tomo I, p. 81.[]
  45. P. Ciambelli (a cura di), L’ornamento prezioso…, Tav. 10, nn. 34, 36.[]