Fabio Francesco Grippaldi

Paolo Rossi: l’argentiere acese che interpreta il Neoclassico

fabiofgrippaldi@gmail.com
DOI: 10.7431/RIV27072023

L’ultimo scorcio del Settecento vede il progressivo affievolimento dei capricci Rococò i quali cedono garbatamente alle più eleganti e modulari soluzioni decorative  neoclassiche.
Ad alimentare questo movimento artistico fu il fervore creatosi già dalla metà del secolo, grazie ad alcuni ritrovamenti archeologici, che spinsero la colta aristocrazia ad interessarsi delle opere classiche. Rapita dalla bellezza delle opere greche e romane, la nobiltà iniziò a collezionare reperti, monete e statue. In Sicilia furono diversi gli esponenti di facoltose famiglie che occuparono la scena del collezionismo di reperti archeologici come, ad esempio, a Catania, il principe Biscari, che si distinse per la sua notevole collezione di antichità 1. Ad Acireale, invece, fu Pasquale Pennisi Cagnone a fondare, nell’ultimo scorcio del XVIII secolo, il famoso gabinetto numismatico, che accoglieva una delle più importanti collezioni di monete al mondo 2. Questo pullulare di collezioni, capace di infiammare il dibattito culturale dell’epoca, influì in maniera incisiva nell’affermazione degli stilemi neoclassici in tutte le branche dell’arte: dalla pittura alla scultura, dall’intaglio alle oreficerie. A partire dagli anni settanta del Settecento si assistette, dunque, ad un progressivo, lento, mutare dello stile. In modo particolare, nelle arti decorative, la trasformazione fu caratterizzata da una iniziale fusione tra le parti, che presentava, sul finire del XVIII secolo, ancora una maggiore presenza di caratteri dinamici e fantasiosi tipici del barocchetto. Col passare degli anni tali decori sono stati soppiantati dai severi elementi classici. Le argenterie, soprattutto quelle destinate al culto, testimoniano più di tutte questo passaggio graduale ma continuo verso il neoclassicismo, con espressioni eclettiche originate dalla coesistenza di elementi di stili diversi, frutto anche di resistenze da parte della committenza, ancorata alla tradizione. Nell’ultimo ventennio del XVIII secolo, dunque, si abbandonarono le torsioni del fusto dei calici o degli ostensori per lasciare spazio a composizioni più lineari caratterizzate da un repertorio decorativo sempre più tendente all’arte classica 3. Tali considerazioni trovano applicazione in alcune opere come, ad esempio, sull’ostensorio realizzato da Giuseppe Vella nel 1778, per la basilica di San Francesco d’Assisi a Palermo 4. L’opera seppur evidenzi un preponderante impianto architettonico classicista, mostra chiari elementi decorativi tipici della temperie culturale precedente. Questi ultimi si palesano nella raggiera ancora fortemente baroccheggiante o nella sinuosa posa dell’angelo all’apice del fusto 5. Anche il calice realizzato nel 1783 da un argentiere palermitano per la chiesa di Santa Maria della Pietà mostra un evidente tendenza verso spiccate linearità neoclassiciste pur in presenza di motivi rocaille 6. Del 1787 sono due calici della cappella Palatina di Palermo i quali, analogamente ai precedenti manufatti, «presentano una più lineare scansione spaziale nell’impianto strutturale di matrice architettonica e un repertorio decorativo orientato verso forme più classiche» 7, senza abbandonare totalmente gli elementi rococò. Anche gli argentieri acesi seppero farsi interpreti di tali mutamenti, realizzando opere che, a differenza di quelle prodotte nel resto dell’Isola, palesano un linguaggio autonomo 8. Seppur capaci di evidenziare il cambiamento stilistico in atto, le maestranze utilizzarono elementi decorativi afferenti a stili diversi. Tali soluzioni, magistralmente combinate tra loro, danno origine ad un risultato eclettico, armonizzato e modulare, che caratterizza i manufatti neoclassici acesi. Tra gli argentieri della maestranza di Acireale, l’artista che più di tutti seppe interpretare la fase di passaggio è certamente Alfio Strano 9, le cui opere sono in maniera evidente caratterizzate da una compresenza di stilemi che attingono al repertorio decorativo del barocchetto e del neoclassico. Tale gradevole convivenza può, come ha intuito Maria Accascina, presentare composizioni non esenti da ingenuità decorativa 10. Un esempio mirabile di questa originale sovrapposizione di stili è l’ostensorio che Alfio Strano realizzò nel 1793, per la chiesa di Santa Maria Odigitria ad Acireale (Fig. 1). L’opera è definita da un impianto architettonico ancora pienamente settecentesco, ma con un ornato che, come evidenzia Maurizio Vitella, colloca l’opera «entro la corrente neoclassica: accettati i precipui registri decorativi quali le volute a greca, i fardelli e i festoni» 11. L’opera più emblematica di Strano è sicuramente la pisside della Cattedrale di Acireale (Fig. 2), datata 1802, che «si caratterizza per una compresenza di stilemi neoclassici e rocaille, in una sorta di simbolico passaggio di testimone tra uno stile e l’altro» 12. Un altro artista che conquistò la committenza acese dei primi anni dell’Ottocento, diventando uno degli artefici più prolifici della storia del Consolato di Acireale, fu Paolo Rossi 13, figlio di Salvatore, console per l’argento nella seconda metà del Settecento. È dunque ipotizzabile che il figlio si formò presso la bottega paterna e in essa acquisì quell’’abilità che nel primo ventennio del XIX secolo, lo qualificò come uno degli argentieri più richiesti da ordini religiosi, confraternite e cappellanie per la realizzazione di manufatti neoclassici. Tra le poche opere censite e assegnabili a Rossi, vi è una coperta di libro liturgico della basilica San Sebastiano di Acireale (Fig. 3), realizzata nel 1807, in cui è ancora possibile notare la presenza di elementi di ornato ridondante. Sul dorso, al centro, sono, infatti, cesellati gli attributi iconografici del santo martire titolare, costituiti da una corona, composta da volute e girali, entro cui, in posizione decussata, sono collocate la palma e la freccia. Lungo il perimetro, invece, è cesellata una fascia decorativa che presenta un motivo a catena contornato esternamente da una cornice a perline, intervallata dalle tipiche soluzioni floreali acesi, utilizzate abbondantemente già da Alfio Strano. Lo stesso motivi fitomorfo caratterizza il decoro del sottocoppa di un calice custodito nel Museo Diocesano di Caltanissetta (Fig. 4) e proveniente dal convento domenicano nisseno, realizzato dallo stesso Rossi nel 1788 14. L’opera, seppur realizzata nell’ultimo scorcio del XVIII secolo, sembra non avere nostalgie degli stilemi che ancora prepotentemente cercavano di resistere alla nuova temperie, palesando, invece, un elegante decoro neoclassico. È soprattutto nel fusto che Paolo Rossi inserisce un elemento architettonico di forte impatto estetico, costituito da quattro colonnine entro cui è collocato un vaso con anse alla greca, da cui fuoriesce un bouquet di fiori. Tale soluzione, forse messa in atto originariamente dallo stesso Rossi, dona levità all’intera architettura senza rinunciare all’imponenza tipica dello stile. Questo decoro sarà utilizzato su numerosi calici e ostensori del XIX secolo. Repliche quasi identiche del calice nisseno sono individuabili nelle due chiese acesi dedicate ai SS. Apostoli Pietro e Paolo (Fig. 5) e a Maria SS. Annunziata. I manufatti, ancora inediti, sono datati rispettivamente al 1816 e 1817, e presentano la stessa tipologia decorativa e compositiva, tranne che per le scanalature lungo il basamento del piede che conferiscono ai due calici maggiore aderenza agli stilemi classici. Le stesse rigature solcate sono ravvisabili nella cornice della base dell’ostensorio custodito nella chiesa acese di Santa Maria degli Angeli, realizzato dal Rossi nel 1822 15 (Fig. 6). Il linguaggio neoclassico qui raggiunge una delle massime espressioni. Infatti, alle già espedite greche, che caratterizzano le volute, e il fusto con le colonnine corinzie, si aggiungono decori che sono quasi esclusivamente di natura fitomorfa, come i lunghi fardelli e i festoni che pendono tra le volute. Le scanalature sono ancora presenti in tutte le cornici che scandiscono i diversi registri architettonici, mentre la base del fusto e la circonferenza della teca sono contornati da una cornice perlinata. L’ostensorio ha il suo prodromo in quello custodito nella basilica di san Sebastiano 16 (Fig. 7), che risulta essere quasi uguale se non fosse per un apparato decorativo semplificato. Il ricco ornato dell’ostensorio di Santa Maria degli Angeli è invece ancora ravvisabile in altre opere mature di Paolo Rossi, accomunate dallo stesso impianto architettonico costituito da base tripartita e caratterizzata da altrettante volute alla greca e dal nodo vasiforme che può presentare elementi di decoro differente. Questi si individuano ad esempio, nel piede del reliquiario di san Sebastiano dell’eponima basilica acese 17 e nell’altra base di reliquiario dello stesso edificio 18, entrambi realizzati nel primo decennio dell’Ottocento, o ancora nell’elegante coppia di calici 19 (Fig. 8), sempre nella stessa chiesa, ove è visibile il punzone con la data 1811. La formale eleganza neoclassica è altrettanto ravvisabile nell’inedito fermaglio di piviale della già citata chiesa acese di santa Maria Odigitria (Fig. 9). Il manufatto deve la sua forma prevalentemente al movimento di un sinuoso nastro con decoro a catena, intrecciato con altre fasce semplici e all’inserimento di alcuni elementi fitomorfi. Al centro, all’interno di un clipeo con doppia cornice a foglie lanceolate e a perline, è posto il monogramma della Madonna costituito da tralci acantiformi e sormontato da una corona. Il fermaglio potrebbe datarsi al 1817, come  suggerisce l’incompleto punzone del console, MBGC…, riferibile forse a Mariano Bottino il maggiore, che ipoteticamente dovrebbe essere indicato con la G di “giuniore”, termine locale sostitutivo di senior. Tra le opere della maturità di Rossi, è l’inedita porta del tabernacolo, realizzata negli ultimi anni di operatività del consolato, dell’altare principale della basilica dei SS. Pietro e Paolo di Acireale (Fig. 10). La lamina, inserita all’interno di una cornice lignea con motivo decorativo fitomorfo, presenta un impianto semplicissimo, in cui spicca al centro l’Agnello immolato disteso sopra il libro con i sette sigilli e adagiato su un gruppo di nuvole con un’ampia raggiera retrostante. Nella parte bassa è posta una composizione simmetrica di tralci di uva e spighe di grano, sostenute al centro da un fiocco, mentre nella zona sommitale è un altro gruppo di nuvole. L’opera si inserisce appieno tra quelle che appartengono formalmente al Neoclassico ma che, ad Acireale, si compone di elementi di stile diverso, accostando, ad esempio, i tralci in basso di tendenza classicista con le nuvole dove è posto l’Agnello, i cui girali spiraliformi richiamano il gusto baroccheggiante. L’analisi necessita di un maggiore approfondimento in quanto ad oggi il Consolato degli argentieri di Acireale e quanto prodotto dai suoi maestri è per lo più sconosciuto. Come annotava acutamente Maria Accascina «Tali opere tra le molte custodite amorosamente nelle varie chiese di Acireale testimoniano l’artigianato illustre di Acireale sul quale una più approfondita indagine guidata dalla lettura dei marchi, dalla conoscenza dei vari argentieri che lavoravano nel Settecento e nell’Ottocento rivelata dai preziosi libri delle maestranze… può metterne in evidenza il posto e il valore nell’ambito della oreficeria di Sicilia» 20. A quanto già auspicato dall’Accascina e da altri studiosi, si potrebbe aggiungere una meticolosa ricerca tra gli archivi storici e parrocchiali che consentirebbe di ricostruire la storia del Consolato e l’elenco degli argentieri. Tale studio, corredato dalle opere dei maestri, metterebbe in risalto l’operosità di autori come Paolo Rossi, Alfio Strano, i Bottino, Monforte, Calì, Di Bella ai quali si devono opere di straordinaria bellezza ancora utilizzate durante le funzioni religiosi nelle chiese acesi.

  1. Cfr. S. Pafumi, Museum Biscarianum. Materiali per lo studio delle collezioni di Ignazio Paternò Castello di Biscari (1716-1786), Catania 2006.[]
  2. S. Bella, La famiglia Pennisi di Floristella nell’Acireale dell’Ottocento, in Accademia di Scienze Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici, Memorie e Rendiconti, serie VI – vol. III, Acireale 2017-2018, pp. 339-345.[]
  3. Cfr. S. Grasso – M.C. Gulisano, Dal Rococò al Neoclassicismo, in Argenti e Cultura Rococò nella Sicilia centro-occidentale 1735-1789, catalogo della mostra (Lubecca, 21 ottbre2007-6 gennaio 2008), a cura di S. Grasso – M.C. Gulisano, Palermo 2008, pp. 395-398.[]
  4. Ibidem.[]
  5. Cfr. M. De Luca, scheda n. 105, in Argenti e Cultura …,2008, p. 418.[]
  6. Cfr. R. Civiletto, scheda n. 114, in Argenti e Cultura…, 2008, p. 423.[]
  7. Cfr. S. Grasso – M.C. Gulisano, Dal Rococò …, 2008, p. 398.[]
  8. La maestranza degli argentieri di Acireale, seppur già documentata ampiamente sin dagli inizi del XVIII secolo, ottenne il riconoscimento del consolato autonomo nel 1738, anno in cui vennero eletti i primi consoli. Lo statuto consta di ben diciassette capitoli e contiene le norme per la lavorazione, la punzonatura e la vendita dei manufatti preziosi. I consoli, solitamente erano eletti a gennaio, ma considerato lo stato attuale delle ricerche, non è possibile redigere un elenco completo e chiaro per tutti gli anni che vanno dalla istituzione fino al 1781. La punzonatura era costituita, così come per gli altri consolati isolani, da tre punzoni: quello della sede del Consolato, corrispondente allo stemma civico di Acireale e cioè il castello con i tre faraglioni e le lettere AG, (Aci e Galatea), seguito dal punzone con le iniziali del console e le cifre dell’anno in corso e l’ultimo con l’acronimo dell’autore. Cfr. A. Blanco, Il Consolato degli Argentieri e Orafi della città di Acireale, in Il Tesoro dell’Isola. Capolavori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII secolo, catalogo della mostra (Praga, Maneggio di Palazzo Wellestein, 19 ottobre – 21 novembre 2004), a cura di S. Rizzo, 2 voll., Catania 2008, II, pp. 1155-1165.[]
  9. Cfr. R. Pace, ad vocem, in Arti decorative in Sicilia. Dizionario biografico, a cura di M.C. Di Natale, 2 voll., Palermo 2014, II, pp. 578-579.[]
  10. Cfr. M. Accascina, Oreficeria di Sicilia, Palermo 1974, p. 430.[]
  11. M. Vitella, scheda n. 205, in Il Tesoro dell’Isola…, 2008, II, pp. 995-996.[]
  12. S. Intorre, Suppellettili liturgiche in argento tra rococò e neoclassicismo nella produzione di Alfio Strano, in Arredare il Sacro. Artisti, opere e committenti in Sicilia dal Medioevo al Contemporaneo, a cura di M.C. Di Natale e M. Vitella, Milano 2015, pp. 121-124.[]
  13. Cfr. P. Li Pani, ad vocem, in  Arti decorative…, 2014, II, p. 533.[]
  14. Catalogo delle Opere del Museo Diocesano “Giovanni Speciale” di Caltanissetta, a cura di F. Fiandaca, Caltanissetta 2013, p. 202.[]
  15. C. Cosentini, Acireale, Acireale 1984, pp. 230-231.[]
  16. T. Catania – A. Fichera, scheda n. 73, in Arte e devozione. Argenti e arredi sacri, Giarre 2004, p. 66.[]
  17. T. Catania – A. Fichera, scheda n. 35, in Arte e…, 2004, p. 42.[]
  18. T. Catania – A. Fichera, scheda n. 70, in Arte e…, 2004, p. 64.[]
  19. T. Catania – A. Fichera, scheda n. 23, in Arte e…, 2004, p. 32.[]
  20. M. Accascina, Oreficeria…, 1974, p. 433.[]