Flora Ferrara

Pegni d’amore negli eleganti ritratti al femminile di Casa Boncompagni

flora.ferrara@cultura.gov.it
DOI: 10.7431/RIV27102023

Ancora oggi l’immagine di Alice Blanceflor Bildt Boncompagni Ludovisi accoglie i visitatori all’ingresso del Salone delle Vedute del villino Boncompagni. L’opera di Philip de László è affiancata da un altro ritratto di una giovane donna, Alexandra Keiller, madre di Alice, opera del pittore norvegese Christian Meyer Ross 1.

Essendo stato a lungo una “forma d’arte principalmente elitaria” 2 il ritratto e la sua committenza erano spesso direttamente legati a eventi dall’alto valore sociale come il matrimonio, anche se non necessariamente veniva rappresentato in maniera esplicita negli aspetti cerimoniali. Nel caso di questi due ritratti gli indizi visivi che ne segnalano il contesto matrimoniale sono specificamente i gioielli indossati dai due soggetti: un anello (“solitario”) con diamante nel ritratto di Alice Blanceflor, e una spilla di diamanti a forma di luna crescente in quello di Alexandra Keiller. Il gioiello è un oggetto altamente simbolico, nonché decorativo e funzionale: oltre ad adornare il corpo, può essere utile per tenere un vestito allacciato o comunicare qualcosa del carattere, del ruolo, della personalità della persona che lo indossa, come lo status sociale e civile, l’appartenenza a un gruppo, il gusto personale 3. Ha una posizione di “centralità decentrata” 4 per la capacità di definire l’identità di una persona anche solo come elemento accessorio. Nel ritratto questo potere simbolico può essere ancora più forte perché si è scelto di renderlo non più aggiuntivo ma parte integrante e fissa dell’immagine.

Per il suo ritratto (Fig. 1) Alexandra Keiller (1864-1948) si rivolse a Christian Meyer Ross (Flekkefjord, 1843 – Roma, 1904), artista norvegese stabilitosi in Italia nel 1879 5. Questi poneva una cura quasi maniacale nei dettagli di abiti e tessuti ed è proprio tale attenzione ai dettagli sartoriali e tessili che lo rese un ritrattista alla moda e fece coniare in Norvegia l’espressione la “seta di Ross” 6. Il ritratto come opera d’arte certamente esprimeva il talento dell’artista e il gusto di un’epoca ma anche la mondanità delle effigiate che ostentavano il dipinto agli ospiti del proprio salotto 7. Questa esigenza di immagine presupponeva un’attenta scelta dell’abito da indossare e rappresentare nel dipinto per esaltarne la finezza della foggia e dei tessuti: altrettanta attenzione meritavano gli accessori.

L’opera non è datata ma con tutta probabilità fu commissionata in occasione del matrimonio tra Alexandra e Carl Bildt (Stoccolma, 1850 – Roma, 1931), nobile diplomatico, politico e storico. Un confronto di date e l’analisi dell’abbigliamento di Alexandra Keiller suggeriscono una datazione abbastanza precisa e confermano il contesto in cui fu eseguito il ritratto. Poco prima di ricevere un incarico a Roma, nel 1889 Carl Bildt conobbe Alexandra sull’isola di Särö, luogo di villeggiatura della famiglia reale e di altri esponenti dell’alta società svedese 8. Si sposarono un anno dopo, il 15 settembre 1890, probabilmente a Roma 9. Nel 1893, il ritratto apparve in un articolo sulla vita romana degli sposi dal settimanale svedese Idun 10, estendendo così a un pubblico molto ampio l’effetto dell’opera d’arte 11. Si può dunque presumere che l’esecuzione del dipinto fosse avvenuta all’arrivo della coppia nella capitale, dove entrarono in contatto con Ross.

L’immagine di Alexandra conferma che il ritratto sia stato dipinto per celebrare questa unione: il suo abbigliamento aderisce alle convenzioni sartoriali, legate a un ideale morale di purezza che la moda aveva codificato e commercializzato per le spose fino a quel momento 12. Ciò che più dimostra come Alexandra si tenesse al veloce passo della moda – emulando forse la figura della Parisienne 13 – è la spilla di diamanti a forma di luna crescente appuntata sul corpino dell’abito. È proprio tra gli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento infatti che varie tipologie di gioielli di diamanti a falce di luna crescente (spille, spilloni per capelli, pendenti) diventarono di moda e pervasero la produzione artistica e la stampa 14. Ad esempio nei ritratti raffiguranti Madame X (1884) di Sargent, Madame Edgar Stern (1889) di Carolus-Duran, e Madame M. F. (1891) di Petiet, le Parisiennes raffigurate presentano un gioiello quasi identico a quello indossato da Alexandra Keiller, appuntato però tra i capelli rafforzando le allusioni all’iconografia classica della dea Diana. Erano così in voga che qualche anno dopo si potevano trovare anche d’imitazione e raggiungere altre fasce di consumatrici 15. La falce poteva essere accompagnata anche da altri motivi, quali fiori, iniziali o stelle, montati con altre pietre preziose: questo tipo di spilla veniva chiamata significativamente “luna di miele” per l’uso di donarla alle spose come simbolo di un nuovo inizio, di una potente femminilità e di purezza 16.

Il ritratto di Alice Blanceflor (Siena, 1891 – Roma, 1972) fu iniziato a Roma quando era fidanzata con il principe Andrea Boncompagni Ludovisi, che sposò nel dicembre del 1924, e fu completato a Londra nel 1925 (Fig. 2). Rispetto al ritratto di Ross, l’opera di de László è meno dettagliata e precisa nella rappresentazione della moda e del lusso del tempo. Il pittore prediligeva una stesura più vibrante e in linea con il mutamento del gusto dalla fine dell’Ottocento. La posa sicura della modella e le dimensioni del dipinto dimostrano però la raffinata fierezza di Blanceflor. La colonna è parallela alla sua figura, che vi posa fiduciosa il gomito e appare statuaria e al tempo stesso gentile fasciata dal vestito aderente. Questa immagine certamente simboleggia uno status sociale e un potere economico inscalfibili, ma sottolinea soprattutto un forte legame personale con la cultura e l’arte classica che conferiscono maggiore significato alla tenacia con cui ottenne il trionfo sentimentale 17. Non a caso l’elemento che riassume e celebra l’unione tra i due sposi è l’anello con diamante all’anulare sinistro, unico gioiello raffigurato nel dipinto. Esso ha un assoluto rilievo, indossato alla mano sinistra che sporge dalla parte più in ombra della composizione. In quel periodo, donare alla promessa sposa un anello di fidanzamento con diamante non era scontato: fino all’inizio del XX secolo, in Europa il diamante era solo una delle tante opzioni 18. La scoperta di nuove miniere diamantifere in diverse parti del mondo, che crearono una grande disponibilità di offerta, aveva portato verso la seconda metà dell’Ottocento alla diffusione di questa usanza soprattutto negli Stati Uniti e, negli anni Quaranta, alla creazione di un rito moderno grazie alle acute strategie di marketing della società De Beers, che diffuse lo slogan “Un diamante è per sempre” 19. Ѐ probabile che Andrea Boncompagni Ludovisi, sicuramente a contatto con la cultura e i costumi statunitensi per via del precedente matrimonio, avesse ceduto al fascino romantico che una comunicazione pubblicitaria assai pervasiva stava costruendo attorno al prezioso minerale.

 Il solitario acquista ancora più rilevanza se si considera che è l’unico elemento presente nel ritratto effettivamente appartenuto a Blanceflor, quindi quasi esulando la sua natura di accessorio. L’abito di Blanceflor infatti fu creato da de László direttamente sulla tela. Il pittore si recò in via del tutto eccezionale (solitamente riceveva i clienti nel suo studio di Londra) presso il villino Boncompagni per iniziare il dipinto 20. Si presentò con dieci metri di stoffa color pervinca che drappeggiò in pochi minuti sul corpo di Alice Blanceflor, creando l’abito che vediamo raffigurato 21. Seguiva spesso questo procedimento perché aveva idee molto precise sul tipo di abito che i suoi modelli dovevano indossare ai fini della composizione del ritratto 22. L’abito non presenta le caratteristiche della moda del tempo: un modello simile, aderente e senza spalline, sarebbe diventato di uso comune solo verso la seconda metà degli anni Trenta; prima di allora poteva vedersi solo nel mondo dello spettacolo come costume e stravaganza artistica, non certo tra i membri dell’alta società romana 23. Questo anacronismo nell’abbigliamento, vagamente ispirato ai chitoni classici, concorre alla generale atemporalità del ritratto che viene però stemperata dal dettaglio dell’acconciatura. Il caschetto leggermente mosso e spettinato indica come la trentatreenne Blanceflor stesse seguendo la moda giovane e sbarazzina, nata qualche anno prima nel mondo dello spettacolo e divulgata dalle stelle del cinema muto, che aveva rivoluzionato per le donne il modo di approcciarsi alla propria immagine 24. Evidentemente Blanceflor voleva appropriarsi nella quotidianità ma soprattutto sulla tela – dove la lunghezza sarebbe rimasta tale – dell’allure che era stata creata attorno al taglio corto, e che il suo ritratto conferma, quella di una donna in controllo delle proprie azioni e dei propri piaceri 25.

 

  1. I due dipinti, insieme al villino, facevano parte della donazione allo Stato che Alice Blanceflor fece nel 1972. Per approfondimenti sulla storia del villino, si veda Museo Boncompagni Ludovisi per le arti decorative, il costume e la moda dei secoli XIX e XX. Guida breve, a cura di M. Amaturo, Roma 2018.[]
  2. S. West, Portraiture, Oxford 2004, pp. 136-137.[]
  3. C. Giorcelli, “Introduction” in Accessorizing the body: habits of being I, Minneapolis 2011, p. 4.[]
  4. Ibidem.[]
  5. L. Albrektsen, “Christian Meyer Ross” in Norsk kunstnerleksikon, I–IV, Oslo 1982–86.[]
  6. Ibidem.  L’espressione “Ross-silke”, non solo sottolineava la sua bravura ma denigrava anche la sua dedizione alla pittura ritrattistica, tradizionalmente considerata genere minore.[]
  7. L’opera d’arte stessa o l’abito confezionato con stoffe pregiate e seguendo l’ultima moda era una spesa considerevole e non esplicitamente funzionale da considerarsi come beni di lusso facenti parte del consumo ostentativo delle classi agiate teorizzato dal sociologo Thorstein Veblen nel 1899, T. Veblen, The theory of the leisure class, New York 1994, pp. 129-130.[]
  8. Alexandra era figlia di un imprenditore di origini scozzesi arrivato in Svezia nella prima metà dell’Ottocento. Carl Bildt proveniva da una illustre famiglia di diplomatici e politici svedesi. Alexandras dagbok. En vecka med Kungen i Marstrand 1889, a cura di Barbro Mekhs Vaccaro, Stoccolma 2007, e G. Jacobson, “Carl ND Bildt”, Svenskt biografiskt lexikon IV, Stoccolma 1924, p. 330.[]
  9. G. Jacobson, Svenskt biografiskt lexikon, 1924, p. 330.[]
  10. D. Fallström, “Alexandra Bildt, född Keiller”, Idun XXI, n. 284, 1893.[]
  11. L’inserimento di riproduzioni fotografiche di ritratti (pittorici e non) di personalità di spicco inizia proprio negli anni Novanta dell’Ottocento su riviste settimanali indirizzate a un pubblico femminile, S.E. Slattery, “Performing Portraiture: Picturing the Upper-Class English Woman in an Age of Change, 1890–1914”, tesi di dottorato, Toronto 2019, p. 36.[]
  12. L’abito bianco ormai era diventato una “nuova tradizione” per le spose già da qualche decennio, dopo la variegata e temporalmente estesa copertura mediatica del matrimonio della Regina Vittoria d’Inghilterra nel 1840, D. A. Baxter, “Weddings and funerals.” in A Cultural history of dress and fashion in the age of the Empire, Londra e New York 2017, p. 87.[]
  13. La figura della Parisienne veniva descritta come una donna bella, distinta e sofisticata, elegante e alla moda che poteva trascendere le classi sociali e le età, anche se spesso apparteneva all’alta borghesia o all’aristocrazia, A. Rocamora, “La Parisienne” in Fashioning the city. Paris, fashion and the media, Londra 2009, pp. 86-92.[]
  14. Si trovano raffigurati e menzionati in ritratti pittorici e fotografici, articoli di cronaca mondana, pubblicità in riviste di moda (europee e americane), E. L. Block, “Virginie Amélie Avegno Gautreau: Living Statue”, Nineteenth-century art worldwide. A journal of nineteenth-century visual culture XVII, n. 2, 2018, p. 105. Sono numerosissimi gli esemplari coevi possono essere ancora trovati presso gli antiquari.[]
  15. D. Bennett, D. Mascetti, Understanding Jewelry, Woodbridge 2000, pp. 218-220.[]
  16. Ibidem. []
  17. Nata e cresciuta in Italia, figlia di uno storico specializzato in storia svedese legata all’Italia e a Roma, e risoluta nella sua decisione di aspettare dieci anni il divorzio di Andrea Boncompagni Ludovisi, erede di una famiglia legata al ricordo dell’incredibile Villa Ludovisia. Per volere della famiglia, a causa della grave crisi finanziaria che portò anche alla lottizzazione della grande villa Ludovisia, Andrea Boncompagni Ludovisi sposò nel 1916 la ricca ereditiera americana Margaret Preston a condizione che se non avessero avuto figli dopo dieci anni avrebbero potuto sciogliere il matrimonio, vedi Museo Boncompagni Ludovisi …, Roma 2018.[]
  18. V. Howard, “Rings” in Brides, Inc., Philadelphia 2006, p. 48.[]
  19. Ibidem, and D. Charles, “Luxury Goods De Beers” in A Dictionary of Marketing, Oxford 2011, p. 409 and S. Press, “Riches” in Blood and Diamonds, Cambridge 2021, p. 45.[]
  20. L’artista si trovava a Roma nell’autunno del 1924 per ritrarre Papa Pio XI, C. Corbeau-Parsons, “110907 Princess Andrea Boncompagni-Ludovisi, née Alice Blanceflor Bildt”, scheda di catalogo online, De László Catalogue Raisonné, 2008.[]
  21. Ibidem, usò la stessa stoffa anche per altri dipinti, come si può constatare nel Catalogue Raisonné.[]
  22. Ibidem. []
  23. Bare witness (Metropolitan Museum of Art, 2 aprile 1996 – 8 agosto 1996), catalogo della mostra a cura di R. Martin-H. Koda, New York 1996, pp. 6-32, e K. Chrisman Campbell, “The strapless dress. Women on the brink” in Skirts. Fashioning Modern Femininity in the Twentieth Century, New York 2022, e-book.[]
  24. A. Beard, “Fashion and Adornment” in A Cultural History of Hair in the Modern Age 6, London 2019, p. 59.[]
  25. Ibidem. []