Maria Reginella

La sala della ceramica del Museo Diocesano di Palermo. La collezione di vasi di Giacomo Spadaro

mariareginella@libero.it
DOI: 10.7431/RIV27042023

Nel nuovo allestimento del Museo Diocesano di Palermo 1, inaugurato il 10 luglio del 2021, è stata creata una sala dedicata esclusivamente alle opere in maiolica del museo, una piccola ma preziosa raccolta di manufatti che è stata recentemente arricchita da una donazione di vasi ad opera di un collezionista.

L’opera più antica della collezione è un rilievo centinato in terracotta invetriata che raffigura la Vergine in adorazione del Bambino e la figura dell’Eterno Padre 2 (Fig. 1). L’edicola proviene dalla Chiesa di S. Nicolò del Gurgo a Palermo ed era collocata sul lato sinistro del portale della facciata. Attribuita in un primo momento a Luca Della Robbia (Firenze 1400-1482), è stata invece restituita alla produzione del nipote Andrea Della Robbia (Firenze 1435-1525) grazie alle notevoli affinità con due sue opere, esposte al Victoria and Albert Museum a Londra e nella Chiesa di S. Margherita a Saletta (Fiesole), che raffigurano lo stesso tema. Differentemente dalla classica austerità e severità che contraddistingue Luca, l’opera di Andrea è caratterizzata da motivi descrittivi e sentimentali che risultano particolarmente evidenti, ad esempio, nello sguardo affettuoso della Madonna, nella vivacità espressiva del Bambino posto sempre alla destra della Madre, nella morbida abbondanza dei panneggi, nella luminosità del cielo affollato da nubi e cherubini e nell’intervento narrativo con la presenza della Colomba inviata da Dio Padre. Questo esemplare può essere datato agli anni ottanta del Quattrocento per la presenza della corona di Dio Padre che negli anni successivi lascerà il posto ad un’aureola, per poi scomparire completamente, come nell’opera del Victoria and Albert Museum di Londra.

Altra opera di particolare valore è un pannello maiolicato raffigurante San Francesco d’Assisi e Santa Chiara 3 (Fig. 2) all’interno di due cornici gialle sormontate da un cartiglio che invita al silenzio. Questo brano maiolicato, composto da 125 mattoni, è un frammento dell’antico lambris che rivestiva le pareti del refettorio del Monastero francescano di Santa Chiara a Palermo, entrato a far parte dei beni dello stato in virtù alla legge sulla soppressione degli ordini religiosi. Il pannello fu smontato e portato nei depositi del Museo Nazionale dove è rimasto fino al 1950, quando le casse contenenti i mattoni sono state cedute in deposito temporaneo dal direttore dell’epoca alla Curia di Palermo poiché il soggetto veniva considerato “strettamente claustrale” e non “rappresentativo per la collezione siciliana essendo di fabbrica napoletana”. Il manufatto napoletano, infatti, è databile alla seconda metà del XVIII, periodo in cui i nobili siciliani e gli ordini religiosi cominciarono a preferire le “riggiole napoletane” non solo per adeguarsi alla moda della capitale partenopea, in cui aveva sede la corte reale, ma soprattutto per l’ottima qualità.

Nella sala è esposta inoltre una piccola raccolta di mattoni palermitani di censo 4 del XVII e XVIII secolo (Fig. 3). Quest’ultimi venivano murati sulle facciate degli edifici per attestare il numero civico ed individuare la proprietà degli immobili, al fine di determinare l’ammontare dell’imposta annuale. Sono riconoscibili due tipologie, di cui una a carattere religioso, utilizzata dalle parrocchie, dalle congregazioni religiose, dai monasteri e dalle confraternite. Generalmente si riscontrano immagini sacre o stemmi di Ordini religiosi, come ad esempio: il calice sormontato dall’Ostia, simbolo della Congregazione del SS. Sacramento, la Madonna della Consolazione del deserto, venerata nell’Oratorio di San Mercurio, le insegne della Confraternita del SS. Crocifisso all’Albergheria e l’Ecce Homo seduto su un piccolo monte, simbolo del Monte di Pietà. L’altra tipologia, a carattere “laico”, è contraddistinta dalla presenza di stemmi, cosiddetti “parlanti”, di famiglie nobili (i Del Castillo, i De Spuches, Bonanno o i Filangeri, conti di San Marco), di sedi vescovili, ma anche di emblemi appartenenti alle categorie artigiane.

A questo piccolo e prezioso nucleo di opere 5 si è aggiunta la collezione di vasi in maiolica di Giacomo Spadaro, donata al Museo Diocesano di Palermo nel 2014, grazie all’interessamento di Mons. Filippo Sarullo, nuovo direttore del museo. L’avvocato Giacomo Spadaro (Palermo 1912-2019), è stato presidente della Corte d’Appello di Palermo negli anni Ottanta, presidente del Tribunale di Palermo e giudice di Cassazione, amico di Gaetano Costa, il procuratore ucciso dalla mafia nel 1980, si ricorda anche per le numerose iniziative antimafia. Colto e raffinato collezionista, ha nel tempo acquistato oggetti d’arte e tra questi, una collezione di vasi di maiolica, prodotti soprattutto in Sicilia tra il XVII e XVIII secolo.

Le opere sono tutte provenienti dal mercato antiquario ed è stata cura del donatore annotare in cartellini adesivi, posti sotto la base, la provenienza e la data di acquisto, mentre su fogli di carta arrotolati e inseriti all’interno del vaso, ha indicato le notizie storiche e le sue attribuzioni. Si evince così che gli acquisti più numerosi sono stati effettuati nel 1997, mostrando una precisa volontà di costituire una collezione. Inoltre, i vasi da farmacia, albarelli e bocce, tutti di ottima fattura, sono stati scelti proprio con l’intento di documentare il periodo di maggior splendore della produzione ceramica siciliana. I nomi degli antiquari riportati sono palermitani, tra i più conosciuti dai collezionisti e specializzati conoscitori di maioliche: Daneu, Corimbo, Patella, Athena, Seidita e, infine, Squatriti che aveva un negozio a Roma ed era anche un ricercato restauratore di ceramiche. In alcuni casi, ha annotato la provenienza di alcune opere da collezioni storiche che con il passare del tempo si sono disperse, come la Russo-Perez 6, la Bordonaro 7 e quella della Contessa Lemore (?).

Per quanto riguarda le opere donate, gli esemplari palermitani (Fig. 4) 8 sono quasi tutti riconducibili alla bottega di Girolamo Lazzaro 9 e dei suoi fratelli, Paolo e Cono, ceramisti che da Naso (Me) si erano trasferiti a Palermo alla fine del XVI secolo e attivi nella produzione di un raffinato vasellame maiolicato di gusto rinascimentale influenzato da modelli faentini e di Casteldurante. In questi manufatti sono presenti tutti i motivi decorativi della bottega dei Lazzaro: la treccia gialla su fondo blu e i tralci bianchi su fondo arancio; la vivace tonalità dei colori sullo smalto bianco; la decorazione con trofei sul retro dei vasi, in cui si affastellano tamburi, iscrizioni 10 con la sigla senatoriale S.P.Q.P. posta su un cartiglio; ampi medaglioni racchiusi da una robbiana o da una cornice baccellata, entro cui campeggiano su un paesaggio rarefatto figure ieratiche, allegoriche o di santi, caratterizzate da piccole teste, somiglianti fra loro. Alcuni elementi ricorrenti che si ritrovano nel repertorio decorativo di Girolamo, sono due figure zoomorfe, la testa d’aquila e di un cane, simboli di Palermo, città prudens et fidelis e spesso uno scudo antropomorfo posto di profilo (fig. 4, a, c)

Quattro vasi (Fig. 5) 11 sono, invece, realizzati da Andrea Pantaleo, “pictor monrealensis”, che lavorava con i Lazzaro non avendo una propria bottega. Pur aderendo alle direttive stilistiche dell’officina, Pantaleo rivolge la sua attenzione ai raffinati manufatti faentini delle botteghe degli Umili e di Calamelli, dipinti con motivi a quartiere, e giunti in Sicilia in gran quantità nella seconda metà del XVI secolo per arredare le farmacie del tempo. La pittura di Andrea Pantaleo è precisa e ricca di dettagli. I profili maschili e femminili, raffigurati nei medaglioni, hanno caratteri somatici simili (naso appuntito e mento sporgente), mentre nei ritratti frontali Pantaleo disegna figure esili, quasi sempre uomini calvi con piccoli ciuffi di capelli ai lati e uno centrale.

L’ultimo vaso (fig. 4, d) con la raffigurazione di un busto di uomo barbuto con un turbante sormontato da una mezzaluna, tipico abbigliamento di un ottomano, presenta una pittura più rapida e i colori meno intensi, collocando l’opera in un periodo cronologico più tardo, alla metà del XVII secolo, e probabilmente alla produzione della bottega di Filippo Passalacqua

Il nucleo delle ceramiche di Caltagirone (Fig. 6) raccoglie diverse tipologie che rappresentano vari momenti della sua produzione. Il manufatto più antico (fig. 6, a) è un albarello di fine Cinquecento, in monocromia blu su smalto bianco, con una minuta decorazione vegetale che avvolge interamente la superficie. È una testimonianza di come la ceramica spagnola abbia influenzato per molto tempo la cultura artistica calatina a differenza delle città costiere, come Sciacca e Palermo, che risentivano degli influssi dell’arte rinascimentale e utilizzavano una ricca policromia.

Gli altri vasi sono da collocare nell’arco del XVIII secolo, un periodo di grande attività e di rinascita per le botteghe ceramiche distrutte, insieme alla l’intera città di Caltagirone 12, nel 1693 da un violento terremoto. Eventi catastrofici come questo possono talvolta diventare occasione di rinnovamento stimolando una nuova produzione. Infatti, nei laboratori si cominciarono a realizzare opere diverse ed originali. Si elaborano manufatti con una ricca decorazione plastica, in cui il rilievo prende il sopravvento sul colore. Si sperimentano nuovi motivi decorativi, come le fasce di piccoli disegni in blu che simulano il merletto, fondi campiti con spugne imbevute di colore ad imitazione del marmo (fig. 6, b), decorazioni vegetali con grandi fiori e foglie su fondo bianco o blu-celeste (fig. 6, c, d, e). Nella seconda metà del secolo, i ceramisti Antonio e Letterio Lo Nobile elaborano una serie di vasi dipinti in modo personale, riproponendo una elegante decorazione di ispirazione veneta della fine del ‘500 e inizi del ‘600, con foglie di acanto in verde, i frutti in giallo su un fondo blu intenso e, nella parte centrale, un medaglione chiuso da cornice a “rocaille“(fig. 6, f, g) 13.

La collezione del museo comprende anche tre grandi vasi secenteschi di fattura trapanese con stemmi racchiusi in una ghirlanda di foglie e frutti e, sul retro, una decorazione vegetale stilizzata in blu, detta “alla porcellana” (Fig. 7). I primi due vasi (fig. 7, a, b) presentano al centro un grande stemma che indica, in questo caso, l’appartenenza al corredo farmaceutico di un monastero e si collocano nel periodo di maggiore splendore dell’arte figulina trapanese che prediligeva motivi vegetali e geometrici, diversamente dai ceramisti palermitani che utilizzavano la decorazione a trofei. La raffigurazione di stemmi di famiglia, di ordini religiosi, o di ritratti, contornati da ghirlande, richiama alcuni motivi decorativi tipici della produzione napoletana conosciuta in Sicilia probabilmente per il traffico commerciale del corallo 14.

Nel XVIII secolo a Trapani si continua a produrre, sia pure in quantità minore, vasellame da farmacia che conserva la stessa tipologia dei vistosi scudi frontali ma con motivi più leggeri decorati a frascame. Questo è il caso del terzo vaso appartenente alla collezione Spadaro (fig.7 c) che mostra un cartiglio su cui è dipinto il nome del medicamento e lo stemma dell’Ordine domenicano. La decorazione vegetale nella seconda metà del XVIII finirà per prendere il sopravvento rivestendo completamente la superfice (fig. 7 d, e) spesso su smalto celeste 15.

In particolare i due vasi con gli stemmi (fig. 7 a, c) appartengono alla farmacia del Monastero della Badia Nuova di Trapani, il primo del XVII secolo appartiene al nucleo originario del corredo farmaceutico, mentre il secondo è un’integrazione settecentesca. Infatti nell’ottobre del 1906 Antonino Salinas, direttore del museo Nazionale di Palermo, durante un sopralluogo al monastero, scrive al Ministero e riferisce del ritrovamento nella farmacia del monastero di 31 vasi di maiolica di differenti grandezze “dei quali, tolto uno con l’immagine della Madonna e un altro con lo stemma dei Domenicani, tutti gli altri hanno uno scudo con un leone e tre stelle (probabilmente lo stemma di una badessa del monastero)”. Si rammarica inoltre che molti vasi sono stati dispersi e chiede al ministro 16 di destinare i rimanenti al museo di Palermo per arricchire le collezioni. Altri esemplari del corredo farmaceutico della Badia di Trapani si trovano oggi in musei e collezioni private 17.

Il nucleo più numeroso è quello costituito da manufatti realizzati a Burgio 18, tra il XVII e del XVIII secolo, dove si fondono motivi decorativi palermitani e saccensi, come i trofei, la treccia, il medaglione sul verso, con quelli introdotti da alcuni ceramisti calatini come, ad esempio la decorazione a piccolo fogliame blu. Infatti, la storia della ceramica a Burgio ha inizio alla fine del XVI secolo con l’arrivo di alcuni esperti ceramisti di Caltagirone che si trasferirono con le loro famiglie intorno al 1589 per esercitare la loro arte. A questi ultimi non sfuggirono le possibilità che il territorio offriva e aprirono le loro botteghe nel vecchio rione dei figuli detto “nall’arte”, ubicato nelle immediate vicinanze del paese, a ridosso delle cave di argilla e del fiume. La prima produzione burgitana è naturalmente in sintonia con quella calatina, caratterizzata da uno smalto povero di stagno e una decorazione essenzialmente in blu con qualche tocco di colore giallo e verde su smalto bianco.

Nel XVII secolo si intensificarono i rapporti commerciali e di lavoro dei ceramisti di Burgio (Figg. 8910) 19 con i centri ceramici di Sciacca e Palermo, tanto che gli artigiani sentirono la necessità di rinnovare la decorazione di albarelli e “burnie” dei corredi apotecari mescolando i motivi vegetali della tradizione calatina con quella tardo-rinascimentale saccense. È testimonianza di questo gusto di transizione l’albarello con la testa di un soldato (fig.8, a) caratterizzato da una decorazione a trofei con medaglione centrale e due fasce dipinte con fitti motivi vegetali in blu. Spesso tra i trofei vi è uno scudo antropomorfo, simile alla faccia della luna, ulteriore elemento identificativo di questo periodo (fig. 9, a). Inoltre, il motivo del fiordaliso (fig. 8, c, d) e la ricca vegetazione di foglie e frutta (fig. 9, c, d), di origine saccense, sostituiscono spesso i trofei. Molto particolari sono, inoltre, i due albarelli 20 della collezione che insieme sembrano raffigurare l’Annunciazione – nel primo vi è dipinto l’angelo, mentre nel secondo la Vergine che si ritrae (fig.8, b, c) – e i vasi con l’inusuale rappresentazione nel medaglione di San Luigi IX 21 e di Santa Fara riconoscibile dalle spighe in mano. (fig.10, a, b). Tra le opere di Burgio donate al museo, figura solo un albarello settecentesco con una decorazione meno accurata e i tralci affastellati disordinatamente sul retro (fig. 10 e).

Nella collezione Spadaro, vi sono alcuni manufatti del XVII secolo di Sciacca (Fig. 11), uno dei centri ceramici più antichi e rinomati della Sicilia. I vasi prodotti a Sciacca in questo periodo presentano motivi affini a quella palermitana, come il medaglione centrale, la treccia, i trofei d’armi, la sigla senatoriale S.P.Q.S. 22, ma se ne distinguono per la tipica decorazione del fiordaliso con grossi petali sul retro, i fregi dei perfili e per l’uso di una tavolozza cromatica smagliante, dal rosso-mattone e soprattutto dal verde smeraldo, che è presente in maniera preponderante. Tuttavia, un vaso secentesco donato presenta un tema particolarmente originale raffigurante un calice che contiene un cuore da cui nascono dei germogli (fig. 11, a) e una decorazione a margherite sul collo e nella parte inferiore. In un altro vaso della collezione, invece, si ricorre a un motivo decorativo frequentemente usato dai ceramisti saccensi: il doppio medaglione (fig. 11, b) in cui, da una parte, si scorge un ritratto sormontato da un cherubino e, dall’altro, uno stemma. Un albarello e un vaso, conservati a palazzo Abatellis, presentano le stesse caratteristiche e in più, l’iscrizione Maurici, per cui è possibile ipotizzare che questi esemplari appartenessero tutti allo stesso corredo farmaceutico 23, oggi disperso.

Spesso l’accostamento di decori diversi nasce dal fatto che molti ceramisti di Burgio avessero aperto altre botteghe anche a Sciacca, con lavoranti provenienti da altri paesi e con esperienze differenti, rinnovando e mescolando i repertori iconografici. Quindi, molte volte è difficile attribuire con certezza il centro di produzione e infatti i due albarelli 24 (fig.11, e, f), che presentano dei ritratti dentro i medaglioni, sono molto simili a quelli realizzati a Burgio ma la decorazione del corpo del vaso è più vicina alla tradizione saccense.

L’ultimo albarello di Sciacca (fig.11, d) mostra sul recto, sostenuto da due putti, uno stemma raffigurante un braccio che regge un grappolo d’uva. Lo stesso stemma si ritrova da un mattone da censo di fattura palermitana, esposto nella stessa sala 25.

Oltre la produzione locale, la collezione si arricchisce di alcuni manufatti non siciliani (Fig. 12) 26. Sono esposti due piatti da parata spagnoli dipinti con motivi vegetali a lustro e blu cobalto (fig. 12, a, b), prodotti a Muel (Saragozza) tra la fine del XVI e inizi del XVII secolo, da ceramisti aragonesi che si ispiravano alle antiche maioliche di Manises. La caratteristica di questa produzione è l’inserimento nella decorazione di alcuni motivi in negativo 27. Vi sono inoltre due bacili di ambito derutese 28 (fig. 12, c, d): il primo dipinto a lustro e in blu cobalto, della prima metà del XVI secolo, presenta al centro un profilo femminile circondato da una decorazione ad embrici e da elementi vegetali; il secondo è un vassoio da acquereccia (o versatoio), tipologia diffusa a Deruta agli inizi del XVII secolo che deriva dalla forma dei piatti cinquecenteschi, lavorati in argento 29. Il bacile è decorato con motivi a grottesche e, al centro, vi è dipinta la figura della giustizia con la bilancia e la spada in mano.

Infine, i quattro vasi che completano la collezione sono: un albarello a rocchetto, un boccale, – ambedue con un’iscrizione a caratteri gotici, della bottega Manardi di Bassano (fig.12, e, f) attiva tra la fine XVII inizi XVIII 30 secolo – e un albarello di produzione derutese (fig.12, h), della prima metà del XVI secolo 31, con una decorazione vegetale ed un’iscrizione sul verso. L’ultimo vaso (fig.12, g) del XVI secolo è probabilmente di fattura faentina ed è decorato in blu su smalto bianco, con motivi vegetali e un grande cartiglio con l’iscrizione farmaceutica.

  1. Il percorso scientifico è stato curato da Pierfrancesco Palazzotto, vice direttore del museo Diocesano e l’allestimento da Lina Bellanca, allora Soprintendente BBCCAA di Palermo. La creazione di una sala dedicata al tema della ceramica è stata proposta da Mons. Giuseppe Randazzo, allora direttore del Museo Diocesano.[]
  2. M. Reginella, Le collezioni ceramiche nel Museo Diocesano e nel Palazzo Arcivescovile di Palermo, in Arti decorative nel Museo Diocesano di Palermo, a cura di M.C. Di Natale, Palermo 1999, p. 48[]
  3. M. Reginella, Le collezioni ceramiche…, 1999, p.51; M. Reginella, Due pavimenti maiolicati del Museo Diocesano in Museo Diocesano di Palermo. Ambienti e mostre a cantiere aperto, Palermo 2011, pp. 37-39; M. Reginella, Maduni pinti.  Pavimenti e rivestimenti maiolicati in Sicilia, Catania 2003, pp. 242-243.[]
  4. La raccolta proviene dall’ex Museo Nazionale di Palermo, nel dopoguerra una parte fu trasferita ed esposta nel vestibolo dell’aula Capitolare della Cattedrale di Palermo e un’altra parte è oggi custodita nei locali del Museo Diocesano. F. Azzarello, I mattoni di censo murali maiolicati di Palermo, Palermo 1985; M. Reginella, Le collezioni ceramiche…, 1999, pp. 40-44; M. Reginella, Maduni pinti…, 2003, pp. 108-113.[]
  5. Il numero dei vasi e alberelli donati sono 43 e 4 piatti. Si ringrazia Mauro Sebastianelli per aver fornito le foto dei manufatti.[]
  6. Nel 1954 la Regione Sicilia acquistò una parte della sua collezione di maioliche siciliane di Guido Russo-Perez,  oggi esposta presso il Museo regionale della ceramica di Caltagirone e una parte è stata acquisita dalla Fondazione Sicilia ed esposti a Palazzo Branciforte. Si veda: G. Russo Perez, Catalogo ragionato della raccolta Russo Perez di maioliche siciliane di proprietà della Regione siciliana, Palermo 1954.[]
  7. Gabriele Chiaramonte Bordonaro (1834-1913) collezionista-amatore costituì una notevole collezione di dipinti dal trecento all’ottocento insieme a reperti archeologici, sculture, maioliche ispano-moresche e italiane.[]
  8. L’albarello a) e c) sono stati acquistati presso Antichità Squatriti (1997), Roma; l’albarello b) proviene dalla collezione Bordonaro (1997).[]
  9. Si veda: A. Ragona, I Lazzaro. Maiolicari nasitani tra Naso e Palermo, in Maduni di lustro dei maiolicari di Naso, Mostra di maioliche nasitane dal XIV al XX secolo, Palermo 1986, pp. 35-59.[]
  10. Nei cartigli spesso si legge la firma e la data e la sigla senatoriale S.P.Q.P. Senatus Populusque Panormitanus.[]
  11. Foto 5: il vaso: a) è stato acquistato da Corimbo, negozio di antichità e modernariato (1997); b) proviene dalla collezione Russo-Perez (1971); c) presso Antichità Squatriti, Roma (1999); d) presso “Antichità Daneu” 1974.[]
  12. Per un approfondimento sulla ceramica di Caltagirone si veda: A. Ragona, Terracotta – La cultura ceramica a Caltagirone, Catania 1991.[]
  13. Foto 6: il vaso a) proviene della collezione Bordonaro (1997); b) Antichità Palella; c, e, f) Antichità Athena; g, f) sono stati acquistati nel 1997.[]
  14. La sigla senatoriale è SPQD Senatus Popolusque Drepanensis.[]
  15. Foto 7: i vasi a, b) sono stati acquistati nel 1997; c) Antichità Athena; d) la coppia di vasi uguali di cui è pubblicata solo una foto sono stati acquistati da Rosario Seidita. Nell’appunto scritto su un foglietto l’avvocato annota la provenienza in maniera poco chiara “Collezione Contessa Lemore?” (foto 13).[]
  16. Il monastero dopo la soppressione degli ordini religiosi, avvenuta nel 1866, dipendeva dal Ministero degli Interni.[]
  17. Presso la Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis sono conservati due esemplari appartenente ai due corredi (inv. 5891 e inv.5773).[]
  18. Si veda: A. Governale, La maiolica di Burgio dalla metà del secolo XVI al XX, Palermo, 2002; V. Ferrantelli, ‘nall’arte. Attività delle officine maiolicare di Burgio, Agrigento 2004.[]
  19. Foto 8: a) è stato acquistato a Roma da antichità Squatriti; b, c) i due albarelli da Antichità Athena.
    Foto 9: a) è stato acquistato da Antichità Athena 2005; albarello b, d) acquistato nel 1997; c) acquistato da Antichità Athena.[]
  20. Gli albarelli della fig. 8 b, c; quello della fig. 10 c sono stati pubblicato in Daidone 2005, pp.137-139.[]
  21. Una raffigurazione di san Luigi, in maniera più pittorica, sempre prodotto a Burgio agli inizi del XVII secolo, è presente in un albarello di Palazzo Abatellis (inv. 5533) pubblicato in M. Reginella, La farmacia di San Martino delle Scale in Daidone 2005, p. 200.[]
  22. Senatus Populusque Saccensis, oppure S.P.Q.S.[]
  23. L’albarello (inv.5618) e il vaso (inv. 5677) presentano uno stemma con un leone rampante, il vaso (inv.5753) invece un vascello.[]
  24. Pubblicati in Daidone 2005, p.139.[]
  25. Foto 11: b) acquistato nel 1997; d) l’albarello proviene dalla collezione Bordonaro; e) acquistato nel 1997; f) da Antichità Athena.[]
  26. Foto 12: a, c) Provengono dalla collezione Bordonaro (1995); h) Proviene dalla collezione Bordonaro ed acquistato da Antichità Seidita insieme a quelli di fattura trapanese.[]
  27. Si veda per un confronto: Museo d’Arti Applicate. Ceramiche, tomo III, Milano 2002, pp.271-273.[]
  28. Si veda per un confronto: Museo della Ceramica di Deruta a cura di G. Busti e F. Cocchi, Milano 1999, p. 237.[]
  29. Museo d’Arti Applicate. tomo I, 2002, p. 92.[]
  30. La fabbrica dei fratelli Manardi è documentata dalla seconda metà del Seicento presso Porta di Brenta. Il versatoio presenta il nome del medicamento, la data e la sigla probabilmente del ceramista AF e alla base del manico l’iscrizione Salamandra. L’albarello presenta uno stemma raffigurante un’aquila e un cane passante.[]
  31. Si veda per un confronto: Museo della Ceramica di Deruta, 1999, p. 175. Iscrizione: Gera pigra utilizzata per le emicranie.[]