Anita Paolicchi

Per la definizione del profilo biografico dell’orafo Gerolamo Campagnani

anita.paolicchi@gmail.com
DOI: 10.7431/RIV28062023

Nelle collezioni del Museo Nazionale di Storia (Muzeul Național de Istorie a României) di Bucarest sono esposti alcuni elementi di una coperta di icona dei primi del Settecento, appartenente a una Vergine con Bambino, esposta e venerata presso il monastero Dintr-un lemn, nella regione di Vâlcea, nella Romania meridionale. I tre pezzi che lo compongono, il nimbo di Maria, la sua mano destra e la corona di Gesù, sono eseguiti attraverso una brillante combinazione di tecniche per ottenere motivi ornamentali estremamente carichi e sontuosi. Le lamine sbalzate e finemente cesellate e traforate sono ornate da una moltitudine di pietre preziose. Alcuni motivi floreali – realizzati con rubini, diamanti e smeraldi – sono evidenziati da motivi vegetali con smalti policromi. La presenza di un nome italiano, quello di Gerolamo Campagnani, inciso sul retro della mano è il punto di partenza per la definizione del profilo biografico di un orafo che appare variamente documentato fra i Balcani e Costantinopoli fra la fine del Seicento e l’inizio del secolo successivo 1.

Introduzione: l’icona del monastero Dintr-un lemn

L’icona per cui venne realizzata la coperta è ancora oggi conservata presso il monastero Dintr-un lemn, originato da un eremo costruito – secondo la leggenda – nel luogo dell’apparizione miracolosa di questa icona nel tronco di una quercia, come testimoniato anche dal nome “Dintr-un lemn”, letteralmente “da un solo legno” 2. Diversi studiosi hanno tentato di datare l’icona, avanzando ipotesi varie, da André Grabar che la considerava un acheiropoietos bizantino (IV secolo) 3 a Ion D. Ștefănescu che la riteneva opera di un maestro cretese attivo sul Monte Athos nella seconda metà del XVI secolo, anticipandola in seguito alla fine del XV secolo o all’inizio del successivo 4. La grande oscillazione attributiva è probabilmente dovuta al fatto che l’icona fosse visibile solo in parte, a causa di un ulteriore rivestimento in argento di cui era stata dotata nel 1812, rimosso soltanto nei primi anni Duemila in occasione del restauro della tavola.

Sono quindi forse più affidabili le ipotesi avanzate dagli studiosi successivi, nelle quali si riscontra comunque un’ampia varietà di proposte: alcuni, come Alexandru Efremov, che per primo ha potuto studiare l’icona senza il suo rivestimento metallico, l’hanno considerata un’opera di epoca paleologa (prima metà del XV secolo), riconducendola però a modelli italiani del Duecento 5, altri l’hanno invece genericamente ritenuta un’opera bizantina del Quattrocento 6.

Altrettanto incerte sono le informazioni sull’arrivo dell’icona nelle terre romene. L’ipotesi più convincente appare quella di Elisabeta Negrău, che, sulla base di osservazioni condotte sulla scena del Giudizio Universale dipinto sull’altro lato della tavola, suggerisce la realizzazione dell’opera in ambito locale, spiegando così gli errori e le forme dialettali presenti nelle iscrizioni, e ipotizzandone l’appartenenza a una comunità monastica bulgara migrata a nord del Danubio nel tardo XV o nel primo XVI secolo 7.

La coperta di icona

Il prezioso ornamento dell’icona, non menzionato nelle fonti settecentesche, compare nei disegni realizzati dal pittore e fotografo Henric Trenk durante le campagne di ricerca nei monasteri della Valacchia, al seguito dello storico Alexandru Odobescu, nell’estate del 1860 8.

La decorazione del primo elemento, la corona a raggiera della Vergine ornata da 520 perle, rubini, smeraldi e diamanti, è articolata in tre registri ornamentali a forma di archi di cerchio, composti da motivi floreali in pietre preziose e smalti policromi, di cui quello esterno dominato da tralci vegetali intagliati e cesellati 9.

La coroncina di Cristo (Fig. 1), anch’essa costituita da una lamina sbalzata, leggermente bombata, è ugualmente ricoperta di motivi floreali e vegetali, e ornata con smalti e una grande quantità di pietre preziose, soprattutto rubini e smeraldi. Al centro del decoro floreale è montato un grande zaffiro blu trasparente. I registri ornamentali sono sottolineati da perle 10.

Il terzo elemento è infine la mano della Vergine, quella che tiene il bambino (Fig. 2): realizzata con una lamina d’oro sbalzata, cesellata con grande meticolosità e precisione di dettagli anatomici come le articolazioni delle falangi, è ornata da un anello sul dito indice, con un rubino con taglio a goccia circondato da diamanti montato su una fascia con un sottile decoro a niello, e da un bracciale composto da sei file di rubini con taglio cabochon alternate a file di smeraldi con taglio quadrato, montati su castoni a forma di fiore con petali smaltati 11. Un secondo anello originariamente sul mignolo è andato perduto.

Nell’insieme, si tratta di una coperta di icona di incredibile valore, sia artistico che monetario, certamente realizzata su richiesta di un facoltoso committente.

L’incisione all’interno della mano della Vergine, in corrispondenza del margine del polso, ci fornisce a questo proposito alcune informazioni fondamentali per tentare di definirne il contesto di realizzazione: un anno, il 1711, riportato in numeri arabi e secondo il calendario gregoriano, e il nome di Gerolamo Campagnani, in caratteri latini scritti in corsivo (Fig. 3).

Gerolamo Campagnani

In ambito romeno questo nome non ricorre in relazione a nessun’altra oreficeria, né è attestato in alcun documento di archivio noto.

La prima ipotesi, quella di identificare nel nome inciso sull’oreficeria il nome di un misterioso donatore, deve indubbiamente essere rigettata: il nome avrebbe dovuto essere inserito all’interno di un’iscrizione donatoria, o quantomeno essere inciso in un luogo visibile. La posizione della firma sul retro della lamina metallica implica indubbiamente che il nome potesse essere letto soltanto prima dell’applicazione della decorazione argentea sull’icona miracolosa.

Considerando la collocazione presso il monastero Dintr-un lemn, una fondazione voivodale, il committente può invece essere identificato in modo piuttosto certo con il voivod Constantin Brâncoveanu (1688-1714) o con un membro della sua famiglia 12.

La direzione che riteniamo quindi possa essere seguita è quella di identificare in Gerolamo Campagnani il nome dell’autore del prezioso ornamento.

Il nome ricorre nuovamente in una lettera datata 6 dicembre 1700 indirizzata al bailo Lorenzo Soranzo, riguardante una controversia in corso con i commercianti Gaspar Chazelles e Elias Chazelles, la cui compagnia era fra le più importanti olandesi attive a Costantinopoli nel primo decennio del XVIII secolo 13. I due fratelli gli avevano prestato 400 leoni (ovvero zecchini veneziani) due anni prima, nel 1698, e chiedevano la restituzione della somma. Nella lettera Campagnani contesta però la pretesa, ricordando che nel biennio 1698-1700 aveva concesso ai fratelli Chazelles la sua casa a Costantinopoli, mentre lui e il figlio si trovavano in Valacchia 14.

Non ci interessa indagare in questa sede gli sviluppi del litigio che il bailo comunque non riesce a dirimere; la causa in seguito è stata portata all’attenzione del cadì ottomano di Pera ma non si conosce l’esito finale, dato che la decisione non è menzionata nel registro della cancelleria dell’ambasciata della Serenissima a Costantinopoli 15.

La lettera tuttavia fornisce alcuni spunti per cominciare a delineare il profilo di questo ignoto personaggio, che appare muoversi con una certa sicurezza fra i Balcani, dove lo stesso Campagnani afferma di essersi trovato fra il 1698 e la fine del 1700, e Costantinopoli, dove possiede una casa a Büyükdere, nel quartiere di Sarıyer (il più settentrionale della parte europea della città).

Cristian Luca aveva ipotizzato che Gerolamo Campagnani fosse un mercante che si occupa del commercio nei voivodati romeni, con merci acquistate nello spazio extracarpatico o con merci veneziane importate in Valacchia. Tuttavia, questo non spiega perché il suo nome appaia inciso sulla mano della Vergine Maria 16.

Riteniamo invece più plausibile che Gerolamo Campagnani abbia acquistato dai fratelli Chazelles dell’oro per la realizzazione delle sue opere. Questa ipotesi porta però con sé nuovi interrogativi.

Innanzitutto, il fatto che si rivolga al bailo di Costantinopoli suggerisce che si tratti di un veneziano, tuttavia né il nome, né le sole iniziali, ricorrono in alcun elenco degli orafi registrati presso la Zecca, come invece prevedeva la prassi per gli orafi lagunari e più in generale attivi nel Dogato.

Campagnani non sembra quindi essere legato alle corporazioni veneziane, né ad alcuna altra corporazione, come suggerito anche dal fatto che si firmi per intero. Piuttosto sembra allinearsi a una pratica diffusa, condivisa da tutti quegli orafi che lavorano in Valacchia senza aderire a corporazioni, o perché un sistema normativo per la pratica orafa non era diffusa nei luoghi di provenienza, o per sottrarsi al loro controllo. Un esempio è rappresentato dagli orafi bulgari Marco e Iacov che si firmano – in lingua slava ma con caratteri latini – sul fondo di un kivotion realizzato per il monastero di Tismana nel 1671 17.

Da una parte ciò rappresenta un’eccezione anche in relazione ad altre oreficerie realizzate per la corte valacca da maestranze veneziane e appartenenti oggi alle collezioni museali romene, che presentano non solo il marchio di garanzia della città di Venezia, ma talvolta anche il nome della bottega o le iniziali degli artigiani o dei responsabili della Zecca. Tali presenze attestano che, pur essendo realizzate certamente sulla base di precise indicazioni dei committenti, come suggerito dalla presenza delle iniziali di Şerban Cantacuzino II Măgureanu su alcuni piatti o, nel caso di oreficerie liturgiche, da particolari scelte iconografiche riconducibili esclusivamente alla destinazione in ambito ortodosso, la loro realizzazione è avvenuta nella città lagunare 18.

Dall’altra, la presenza di Campagnani come orafo attivo direttamente in Valacchia, apparentemente incompatibile con il profilo di un orafo veneziano, appare più verosimile se si considera il contesto fecondo rappresentato dal regno di Constantin Brâncoveanu. Il suo voivodato, in un’epoca politicamente complicata, in una zona compresa fra la grande potenza asburgica e il dominio ottomano in costante espansione verso il nord dei Balcani, venne caratterizzato da un grande fermento culturale: la sua corte accolse, e in taluni casi offrì riparo e protezione, a intellettuali e artigiani provenienti tanto da Occidente quanto da Oriente. Basti pensare allo stesso consigliere Anton Maria del Chiaro, o ai numerosi orafi sassoni transilvani originari di Sibiu e Brașov che lavorarono per Brâncoveanu anche sottraendosi al controllo delle corporazioni orafe dei luoghi di origine, talvolta rischiando l’espulsione, o al celebre caso della comunità della città bulgara di Čiprovci, a maggioranza cattolica, che per sfuggire alla repressione ottomana conseguente a una rivolta, riparò a nord del Danubio 19.

L’ipotesi della presenza in Valacchia di questo orafo veneziano trova conferma anche nel fatto che, come anticipato, l’ornamento dell’icona deve necessariamente essere stato realizzato direttamente in Valacchia, poiché la mano è stata indubbiamente ricalcata sulle misure della mano dell’icona che si trovava già all’epoca presso il monastero Dintr-un lemn 20.

Il profilo biografico di Gerolamo Campagnani, seppur ancora lacunoso, si distingue per la sua eccezionale capacità di muoversi fra Venezia, i Balcani e Costantinopoli, come testimoniato già dalle poche certezze cronologiche sulla sua vita, rappresentate dal soggiorno in Valacchia fra il 1698 e il 1700, a cui segue un periodo di lunghezza indefinita a Costantinopoli, presumiamo presso la sua residenza a Büyükdere, e successivamente da un nuovo soggiorno in Valacchia, a Vâlcea, in occasione della realizzazione della coperta di icona nel 1711.

Infine, se per quanto riguarda il XVI secolo le informazioni sugli orafi valacchi o residenti in Valacchia sono estremamente lacunose, relativamente al secolo successivo prove documentarie (ad esempio contratti di acquisto di terreni e abitazioni) dimostrano come almeno una ventina di orafi abitassero nel centro di Bucarest, nei pressi della corte, dove ancora oggi esiste una chiesa chiamata “Chiesa degli orafi” 21. Affermarsi al servizio della corte prevedeva quindi una forte competizione, a cui si aggiungeva il fatto che la corte non esitava a rivolgersi alle botteghe orafe di altre città in Transilvania (in particolare i grandi centri di Sibiu e Brașov), ma anche come abbiamo visto aprendosi al mercato veneziano. È quindi necessario ipotizzare altri contatti di Gerolamo Campagnani con la corte valacca nell’intervallo fra i due periodi nelle terre romene, che motivino la scelta di questo orafo per la realizzazione di una commissione prestigiosa e preziosa come la coperta di icona di Dintr-un lemn 22.

  1. Prime osservazioni su quest’orafo sono state in passato da me presentate in occasione del convegno internazionale “Venezia e l’Europa Orientale tra il tardo Medioevo e l’Età moderna” (Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, 2016) e del convegno internazionale “Date noi în cercetarea artei medievale și premoderne din România” (Museo Nazionale di Arte della Romania, Bucarest, 2023).[]
  2. L’eremo è attestato a partire dal 1578-1579, ma sulla leggenda della sua fondazione la prima fonte è rappresentata dalle cronache del siriano Paolo di Aleppo che visita la Valacchia alla metà del Seicento. Elisabeta Negrău, The double-sided icon in Dintr-un lemn Monastery, in Études byzantines et post-byzantines, 7 (2016), pp. 97-116, e bibliografia precedente; Nicoleta Stanca, Valentin Ciorbea, Dintr-un Lemn Monastery (Romania). Between Legend and Historical Reality, in Dialogo Journal, 4/1 (2017), pp. 223-232; Călători străini despre Țările Române, vol. VI.I (Paul de Alep), a cura di M. Alexandrescu-Dersca Bulgaru, Editura Științifică și Enciclopedică, București 1976, pp. 188-189; Paul din Alep, Jurnalul de călătorie în Moldova și Valahia, a cura di Ioana Feodorov, Editura Academiei Române/Editura Istros, București/Brăila, 2014. Un’immagine dell’icona è disponibile al seguente URL: https://www.crestinortodox.ro/icoane-facatoare-minuni/icoana-maicii-domnului-la-manastirea-dintr-lemn-119761.html[]
  3. Apud Alexandru Efremov, Icoane românești, Editura Meridiane, București 2002, p. 28.[]
  4. Ion D. Ștefănescu, L’icone de la Vierge de Monastère Dintr-un Lemn, in Byzantium, 6 (1931), pp. 601–612, in particolare pp. 601-602, figg. 45-46. Questa ipotesi venne ripresa anche da Radu Crețeanu, Mănăstirea Dintr-un Lemn, Editura Meridiane, București 1966, p. 25.[]
  5. A. Efremov, Icoane românești, pp. 28-29.[]
  6. Per una rassegna delle varie ipotesi attributive si rimanda a E. Negrău, The double-sided icon in Dintr-un lemn Monastery, p. 100.[]
  7. E. Negrău, The double-sided icon in Dintr-un lemn Monastery, p. 108.[]
  8. Il 29 gennaio del 1860 il Consiglio dei ministri dei Principati Uniti aveva decretato una serie di misure per la conservazione del patrimonio romeno, incaricando l’archeologo Alexandru Odobescu di realizzare una campagna di ricognizione nelle regioni Mehedinți, Vâlcea, Gorj, Dolj e Argeș. Odobescu venne quindi affiancato da Henric Trenk, il quale, con attenzione quasi fotografica, produsse in tale occasione una serie di preziose testimonianze tanto sull’aspetto degli edifici, quando sul loro patrimonio. Ion Frunzetti, Arta românească în secolul XIX, Editura Meridiane, București 1991, pp. 276-287.[]
  9. Altezza 30,2 cm, larghezza 68 cm, peso 2,90 kg.[]
  10. Altezza 19,3 cm, peso 0,44 kg. In totale si contano 124 pietre preziose e perle.[]
  11. Altezza 39,80 cm, peso 0,54 kg.[]
  12. Sulla munificenza del voivod Constantin Brâncoveanu nei confronti delle fondazioni monastiche ortodosse, e in particolare nei confronti del monastero Dintr-un lemn si vedano: Radu Creteanu, Mănăstirea dintr-un Lemn, Bucureşti 1966, p. 31-36; Ioan Barnea, Ctitoriile bisericeşti ale lui Constantin Brâncoveanu, «Biserica Ortodoxă Română», 115/1-6 (1997), pp. 146-147.[]
  13. A.H. de Groot, The Dutch Nation in Istanbul, 16001985: A contribution to the social history of Beyoğlu, in A.H. de Groot, The Netherlands and Turkey: Four hundred years of political, economical, social and cultural relations. Selected essays, İstanbul, 2007, p. 41.[]
  14. ASV, Bailo a Costantinopoli. Cancelleria, b. 319 II, senza numero, ad datum (6 dicembre 1700).[]
  15. C. Luca, “Neguţătoriu streinude ţară. Negustorii alogeni din Ţările Române, in Cristian Luca (a cura di), Negustorimea în Ţările Române, între Societas Mercatorum şi individualitatea mercantilă, în secolele XVI–XVIII, Galaţi University press, Galaţi 2009, pp. 136-138.[]
  16. C. Luca, “Neguţătoriu streinude ţară, pp. 136-138. Si segnala che l’autore trascrive il nome come “Campagnano”, è tuttavia indubbio che si tratti della stessa persona.[]
  17. Il kivotion si trova ora nelle collezioni del Museo Nazionale di Arte della Romania. Anita Paolicchi, The Kivotion of Tismana Monastery, in Maria Alessia Rossi e Alice Isabella Sullivan (a cura di), Mapping Eastern Europe: https://mappingeasterneurope.princeton.edu.[]
  18. A. Paolicchi, Tracce veneziane nelle collezioni romene: note per una nuova lettura di alcune oreficerie marchiate, «OADI – Rivista dell’osservatorio per le arti decorative in Italia» 24, 2021 (open access).[]
  19. P. Király, Die Čiprovecer in Ungarn, «Studia Slavica Academiae Scientiarum Hungaricae» 47/1-2 (2002), pp. 1-23.[]
  20. Questa seconda osservazione di deve a Ștefan Burda in Tezaure de aur din România, București 1979, nota 205, p. 56.[]
  21. Biserica Zlătari (zlătarii <sl. Zlatar, oro).[]
  22. Una possibile risposta potrebbe senza dubbio emergere dall’indagine dei carteggi e dei libri dei conti della famiglia Chazelles (AIN, Sect. Archives Privées, E667, Livres de comptes de Chazelles), o dall’indagine dei materiali d’archivio relativi al bailato di Costantinopoli (ASV, Bailo a Costantinopoli). Si segnala che il già citato Stefan Burda – sulla base di caratteri stilistici – aveva ipotizzato per la mitra attribuita a Antimo d’Iberia, portato da Constantin Brâncoveanu a Bucarest, dove venne installato come metropolita, la stessa paternità di Gerolamo Campagnani. Tuttavia, questa ipotesi non ha avuto seguito nella bibliografia e meriterebbe forse di essere ripresa in considerazione.[]