Francesca Paola Massara

Dicata Aedes Nicolai – Le Storie di San Nicola sul soffitto ligneo della Cattedrale di Nicosia, tra agiografia e prospettive simboliche

francescapaola.massara@outlook.it
DOI: 10.7431/RIV28012023

 

1. I soffitti lignei nella tradizione siciliana*

Modello di complessità semantica, iconografica e stilistica, i soffitti lignei dipinti della Sicilia medievale appartengono ad una tradizione pittorica che viene da lontano, identificando nel sontuoso soffitto a muqarnas della Cappella Palatina del Palazzo Reale di Palermo 1 il più illustre antecedente e archetipo.

Nei secoli successivi, la trama strutturale e decorativa si trasforma.

I soffitti del ’300 e del ’400 rappresentano un patrimonio di straordinario valore nel panorama culturale ed artistico della Sicilia gotica. Tra le coperture lignee medievali, un posto d’eccezione merita quella conservata nel Palazzo Chiaromonte “Steri” di Palermo 2, l’Hosterium Magnum della famiglia Chiaramonte; fra il 1377 ed il 1380 venne realizzata l’imponente copertura lignea decorata della Sala Magna o dei Baroni, sul lato Nord del primo piano. L’identità degli artisti che operarono sul celebre soffitto è nota: si tratta di Cecco di Naro, Simone da Corleone e Pellegrino Dareno di Palermo. L’intera superficie lignea è coperta da pitture, i cui soggetti sono estremamente vari e compositi: ornati fitomorfi e zoomorfi, scene di vita aristocratica (caccia e duelli), protagonisti d’amor cortese, raffigurazioni di episodi celebri o meno noti di leggende medievali, storie bibliche, insieme a rielaborazioni tarde di narrativa classica ed altri soggetti canonici dell’iconografia simbolica della cultura gotica europea.

Tetti dipinti di simile impaginazione sono diffusi anche tra gli edifici di culto della Sicilia dei secoli XIV e XV; tra questi esempi, spicca per stato di conservazione, articolazione iconografica e dimensione teologica il soffitto della Cattedrale di Nicosia.

L’interesse per questo manufatto eccezionale era stato risvegliato nella comunità scientifica dallo studioso tedesco Walther Leopold quando, nel 1917, aveva pubblicato un saggio su questo argomento, allegandovi delle chiarificatrici tavole illustrative a colori che riproducevano però solo due campate del soffitto. Il testo si rammaricava dell’oblio a cui il soffitto medievale era stato relegato dopo la realizzazione della neoclassica volta a botte, affrescata dai fratelli Manno nel 1810 3.

Successivamente, l’opera d’arte viene citata, con difforme accuratezza, in altri studi inerenti ai tecta depicta siciliani 4.

2. La Cattedrale di San Nicola a Nicosia e la sua monumentale copertura quattrocentesca. Tra storia del culto e nuovi dati.

La Cattedrale 5, dedicata a San Nicola e sorta nel sec. XIV sulle vestigia di una precedente chiesa normanna 6, subisce nel tempo una serie di modifiche, prima alla fine del sec. XVI e poi, in maniera più radicale, agli inizi del sec. XIX, quando nuovi interventi, probabilmente connessi all’elevazione della città a sede episcopale e ispirati allo stile neoclassico, conducono al totale rifacimento del tetto ed all’obliterazione dell’antico soffitto ligneo a capriate quattrocentesco.

Essa fu partecipe di fatti illustri e fondamentali per la storia della Sicilia, e non solo: fu proprio “in plano Divi Nicolai”, il primo gennaio 1337, che il re Pietro II d’Aragona raccolse il Parlamento generale del Regno 7, che si concluderà con la condanna dei ribelli all’autorità del sovrano. In questa ed altre occasioni, Nicosia mostra di essere un nodo strategico nell’ambito delle vicende della Storia di Sicilia, e la sua cattedrale luogo di incontro tra popolo e sovrani.

Il grande edificio di culto, a croce latina con tre navate e sedici colonne, continua a conservare esternamente un prospetto gotico, mentre mostra ormai una facies ottocentesca al suo interno, dove restano numerose le opere e gli interventi di importanti artisti siciliani, dai Gagini (sec. XVI) ai secenteschi Gaspare De Miceli, Pietro Novelli, i Li Volsi, fino ad arrivare ad Ignazio Marabitti e Giuseppe Velasquez (sec. XVIII). Oggi il tetto della Cattedrale si presenta nella versione voltata, realizzata a stucchi e affreschi, con scomparti e quadroni opera dei fratelli Vincenzo e Antonio Manno, allievi del celebre pittore siciliano Vito D’Anna, che dipinsero Storie dell’Antico e del Nuovo Testamento 8.

L’antico tetto istoriato, oggi nascosto alla visuale dei visitatori ordinari, è soffitto ligneo della tipologia “a carena”, con capriate a vista che poggiano su mensole alveolate (Fig. 1). Il sistema di quattordici capriate forma 13 campate, collegate da un’asse centrale (carena) con funzione decorativa.

Sulla superficie piana si dispiega un vivace e articolato ciclo decorativo policromo a tempera, con motivi figurativi, simbolici e geometrici, a comporre 48 formelle decorate.

Le accurate indagini sulla natura delle essenze lignee, ancora poco note, propiziate dal complesso restauro del 2010 hanno consentito di identificare anche i tipi di legni utilizzati per la costruzione: quercia per l’orditura e le mensole, legno di abete per le tavole decorate 9. Le moderne analisi diagnostiche e dendrocronologiche, poi, hanno fornito datazioni molto precise: il 1422 per le tavole di quercia, il 1439 per i tagli di abete. Si può indicare, dunque, proprio nel 1439 il terminus post quem per la realizzazione del ciclo pittorico, che può essere datato con buona approssimazione al 1455 circa.

Riconosciuta opera di équipe, monumento di grande interesse collettivo, esemplificativo della composita cultura artistica del Quattrocento siciliano, il soffitto della Cattedrale di Nicosia ha il carattere di una vera e propria enciclopedia medievale, non solo uno speculum historiale, ma anche uno speculum doctrinale, ossia una summa figurativa della cultura artistica, letteraria e teologica del Medioevo gotico.

Il patrimonio iconografico dispiegato sul soffitto mostra un repertorio naturalistico e simbolico in cui le raffigurazioni esplicitamente sacre sono in apparente minoranza: le immagini di Santi, collocate in megalografie nei grandi spazi centrali della carena, spesso accompagnate da cartigli in caratteri gotici, si alternano a soggetti di carattere profano, distribuiti invece nelle formelle delle campate.

Dominano lo spazio personaggi diversi, scene di caccia e di vita quotidiana, cortese e monastica, inframezzate da soggetti zoomorfi e dalla rappresentazione di altri esseri teriomorfi e teratomorfi, singoli elementi floreali e girali vegetali, a cui si aggiunge un’ampia antologia di motivi aniconici dal valore meramente ornamentale, prevalentemente collocati lungo le travi minori o le superfici interne delle travi maggiori. Il tessuto ligneo offre una diffusa e fitta distesa decorativa, mostrando un vero e proprio horror vacui.

Le 13 campate che si estendono sul soffitto del Duomo compongono un percorso simbolico, non immediatamente esplicito ma di cui si individua l’alto valore teologico ed ecclesiologico per le scelte iconografiche e gli elementi compositivi.

È opportuno segnalare, tuttavia, la presenza di lacune e mancanze che rendono talvolta parziale ed incompleta la lettura particolare di alcune figure o, addirittura, di intere capriate (soprattutto la prima, quella presso il portale d’ingresso).

Il percorso si snoda dall’ingresso fino all’area presbiteriale, attraverso una serie di tappe di fondamentale importanza allegorica; per questo motivo si sono numerate le campate a partire da quella più vicina al portale d’ingresso, contrariamente alla scelta operata dal diligente saggio del De Francisco, autore di uno studio sul soffitto, realizzato con parametri di riferimento maggiormente storici e storico-artistici/antologici 10.

3. Le Storie di San Nicola nella “Processione dei Santi”. Scelte iconografiche e relazioni simboliche.

Al centro della complessa tessitura lignea, che si sviluppa dal portale verso l’abside, si snoda un iter processionale di coppie di Santi che affiancano, in posizione speculare, una grande figura mediana o una narrazione figurativa, in corrispondenza della controcatena.

Il tema della “Teoria dei Santi” occupa significativamente la sede centrale, in cui si susseguono figure della santità antica e medievale coeva, e della quale sono parte integrante celebri martiri di età paleocristiana, nonché autorevoli rappresentanti dei più diffusi ordini religiosi.

Il motivo iconografico della “Sacra Processio” e della sequenza dei Santi martiri è già presente nelle più antiche raffigurazioni dell’arte cristiana e nelle testimonianze della Sicilia bizantina e normanna 11. Più complessa l’indagine nella Sicilia di età gotica.

I “cieli dipinti” degli edifici di culto del ’300 e del ’400 sono documentati, ma non sempre conservati integralmente o nelle migliori condizioni. L’esempio più celebre, lo Steri di Palermo, pur fermandosi anche su narrazioni bibliche, è animato da un’ispirazione fondamentalmente laica e cortese; per trovare un contesto iconografico e/o stilistico paragonabile a quello di Nicosia dobbiamo fare ricorso alle fondazioni ecclesiali del Quattrocento, come la Chiesa di Sant’Agostino di Palermo 12, che conserva nell’intercapedine una copertura a capriate dove, delle quattordici esistenti, le ultime sei, in prossimità della facciata, si distinguono per la presenza di mensole intagliate e per la superstite decorazione pittorica, che prevedeva la creazione di riquadri animati da diversi soggetti: santi, elementi fitomorfi e decorativi in campo neutro 13.

A questo riferimento possiamo accompagnare quello della Chiesa di Santa Maria dei Greci ad Agrigento 14, il cui soffitto a capriate, realizzato nel sec. XV, è stato apparentato a quello di Nicosia non solo per la cronologia, ma anche per le caratteristiche costruttive e decorative. Anche qui una sequenza di coppie di Santi di fervida venerazione locale compone una processione che incede verso l’abside.

Entrambi i soffitti sono frutto del raffinato contesto del Gotico cortese 15 ed accolgono sia un’astratta decorazione geometrizzante che significative processioni di Santi, incedenti in coppia verso l’altare; a Nicosia il sacro corteo culmina nell’Incoronazione della Vergine, tema teologico e figurativo sommamente caro alla Sicilia medievale.

Suggestivi paralleli, per iconografia e stile, possono inoltre essere individuati nello smontato soffitto della Chiesa di Sant’Agostino a Trapani, datato tra la seconda metà del sec. XIV e la prima metà del XV, e nel restaurato soffitto della Chiesa di Santa Lucia extra moenia di Siracusa, realizzato tra la seconda metà e la fine del sec. XV.

Punto nodale nella sequenza figurativa di Nicosia, a metà dell’itinerario che percorre la navata dall’ingresso al presbiterio, è il grande pannello ligneo con le Storie di San Nicola che occupa la sede della campata VI (su 13), tra le raffinate megalografie di Barnaba e Cleofa, i discepoli di Emmaus (Fig. 2).

I molti studi storici, letterari, agiografici e storico-artistici dedicati a San Nicola di Bari 16 -o di Myra- permettono di sottolineare quanto questa devozione sia diffusa e capillare nel Sud Italia 17, dove numerose città e centri minori si fregiano della protezione del Santo vescovo. Dopo la traslazione delle reliquie da Myra a Bari, il 9 maggio 1087, il culto per San Nicola si diffonde per tutto il meridione d’Italia, amplificato dalle molte notizie di miracoli straordinari e sostenuto dai Normanni, che ne propagano la venerazione anche in Sicilia, dove la devozione attraversa tutta l’isola, da oriente a occidente, originando produzioni artistiche molteplici e spesso di raffinata eleganza 18.

La collocazione centrale delle scene è particolarmente significativa nel sottolineare il ruolo del patronus San Nicola, eponimo della chiesa e nume tutelare della città. Non è superfluo notare che si tratta dell’unico episodio agiografico nel contesto figurativo dell’intera tessitura monumentale.

La presenza delle Storie si accompagna nella medesima campata ad altri temi iconografici ricorrenti nei lacunari, come una sacra conversazione, volti caratteristici, scene di caccia e di lotta, personaggi teriomorfi e teratomorfi (Figg. 345).

L’effigie di San Nicola occupa l’intero pannello non già con una megalografia, ossia con un’immagine a figura intera e a pieno prospetto, come altri Santi nella stessa collocazione, bensì con una immagine simbolica, di lettura orizzontale, con valore storico legato al territorio, accompagnata dalla narrazione di un miracolo dai caratteri peculiari.

Infatti, il Santo è raffigurato mentre accoglie e sorregge il grande modello della Chiesa a lui dedicata (Fig. 6); accanto, una scena con due giovani ignudi giacenti su un letto (Fig. 7).

Può ravvisarsi in questa raffigurazione uno dei più celebri miracoli del Santo, in cui egli resuscita due -o tre- giovanissimi studenti assassinati nel sonno da un oste, diretti ad Atene ma in sosta nella locanda proprio per attendere la benedizione del Santo Vescovo prima di partire.

Il pannello dipinge il Santo con la consueta iconografia di solenne vegliardo con lunga barba e capelli fluenti, abbigliato con lo stichárion, una tunica a maniche lunghe; lo stato di conservazione del dipinto non consente di distinguere con chiarezza se è presente, come parrebbe, anche il phelónion, cioè la cappa soprabito simile al pallio paleocristiano, e l’omophórion, la lunga stola bianca decorata con croci che scende lungo la parte anteriore del corpo e viene girata dietro al collo. Egli trattiene saldamente tra le mani l’ingombrante modello della chiesa a Lui dedicata, disegnata schematicamente come un solido edificio a capriate spioventi, dall’ampio portale ad arco sormontato da un oculus; sulla muratura laterale si susseguono una serie di alte e strette aperture.

Sulla parte sinistra del riquadro, su un letto giacciono ad occhi chiusi i giovinetti, ignudi e con le mani incrociate in grembo. Il trattamento aguzzo e spigoloso dell’anatomia, l’estrema asciuttezza delle membra, l’assoluta rigidità della posa, ancorché note stilistiche, costituiscono segnale del rigor mortis degli innocenti uccisi. Il sonno della morte sarà poi interrotto dal miracoloso gesto del Santo, che resuscita le giovani vittime. La condizione critica della pittura, insieme ad un evidente rimontaggio con la sovrapposizione di alcune doghe lignee al pannello dipinto, impediscono di determinare con certezza se oltre ai due giovani già bene in vista ve ne fosse un altro, mentre le doghe nascondono parzialmente una colomba che vola verso i giovinetti. Tuttavia, non è ignota all’iconografia, soprattutto a quella iberica, la scena di miracolo con soli due protagonisti 19.

Quest’ultima versione sembrerebbe derivare dal Sermone che San Bonaventura dedicò al Santo, in cui si racconta di “duo scholares nobiles et divites multumque secum auri deferentes Athenas ad philosophandum pergentes prius S. Nicolaum videre volentes, in civitatem in qua degebat episcopus20. Il testo bonaventuriano, in realtà, è la base da cui si dipartono una serie di tradizioni letterarie popolari di amplissima diffusione, che si declinano in cantàri ed elaborazioni “giullaresche”, nate tra i secoli XIII-XV e rapidamente diffusesi nelle diverse regioni, inserendosi anche in temi di contesto locale. Molte le versioni meridionali, tra cui proprio quelle baresi, evidentemente sviluppatesi dopo la traslazione delle reliquie. È soprattutto qui che trova spazio e ampia trattazione il miracolo della resurrezione dei fanciulli uccisi, nella duplice versione delle tre o due vittime. Rispetto alla redazione delle Vite in lingua greca, si tratta di un episodio “apocrifo”, che tuttavia sembra avere avuto in ambito occidentale una fortuna eccezionale 21.

Le due scene, quella del miracolo e quella della dedicazione della chiesa, sono giustapposte senza soluzione di continuità e appaiono del tutto slegate tra loro, lasciando all’occhio di un osservatore esperto il compito di decodificarne il senso, leggibile entro il più ampio schema di letture delle capriate.

L’intero pannello appare rovinato e abraso in più punti, soprattutto in corrispondenza della giuntura delle tavole lignee, dove il colore è in diversi punti evanido o del tutto scomparso; macchie, fori e imperfezioni nel rimontaggio rendono difficile la lettura di alcuni dettagli (del tutto illeggibile ormai il volto di uno dei fanciulli dormienti, nonché alcuni elementi laterali). Le campiture di colore sono quasi del tutto sbiadite, sopravvivendo poco più del marcato tratto nero del disegno e delle linee di contorno.

Tuttavia, non può sfuggire la delicatezza della interpretazione pittorica e la raffinatezza miniaturistica delle figure, che si manifestano soprattutto nella resa dei volti, dai grandi occhi espressivi e dalle fisionomie accurate.

Ai lati del pannello con le Storie, le megalografie degli apostoli Barnaba e Cleofa si affiancano in posizione speculare (Figg. 89): i due santi sono entrambi protagonisti del celebre e intenso episodio in cui Gesù senza rivelarsi si unisce a questi due suoi discepoli, dubbiosi e delusi in viaggio per Emmaus, per spiegare loro i fatti della Passione alla luce delle Scritture, tanto che “il loro cuore arde” alle Sue parole. Infine, allo spezzare del pane, essi lo riconoscono ma Lui scompare, sottraendosi alla loro vista (Vangelo di Luca 23, 13-31).

Giova ricordare anche che Barnaba è stato compagno di San Paolo nel suo primo viaggio missionario e nel primo Concilio di Gerusalemme.

La riflessione su questi elementi sembra riconoscere nell’intera campata due temi conduttori principali, che si intrecciano e si sovrappongono: il tema patronale ed il tema del viaggio. Il fatto che tra i miracoli del Santo sia stato scelto quello della resurrezione di due innocenti viatores, sembra significativo ai fini dell’ermeneutica del contesto.

Il motivo dell’Homo viator è uno dei più ricorrenti del mondo medievale, dal De Civitate Dei di Agostino ai testi di Hildegard di Bingen, alla Comedia di Dante; con tale locuzione viene definito non solo chi attraversa le poco sicure strade dei pellegrinaggi romei o gerosolimitani, ma ogni uomo che percorre il cammino della propria vita, irto di ogni pericolo e carico di incognite. In esilio su questa terra, desideroso di raggiungere la meta celeste, vera patria del cristiano, il viator è soggetto a forze potenti e malevole che tentano di sviarlo e di colpirne in ogni modo l’integrità fisica, morale e spirituale.

Non è raro che nelle cattedrali romaniche e gotiche vi sia un percorso interno come compendium dei maggiori pellegrinaggi, non solo per agevolare chi non ha la possibilità di recarsi materialmente in luoghi lontani, ma anche per avvalersi di un percorso simbolico più breve nello spazio, ma altrettanto intenso dal punto di vista interiore e spirituale.

I viaggiatori salvati e protetti da San Nicola ed i viaggiatori di Emmaus accompagnati dallo stesso Cristo sono prototipi del cristiano di tutti i tempi, effigiato nei volti di dame e giovinetti, specialmente quelli che recano in mano il fiore dell’innocenza, mentre la vicina lotta di un uomo con un drago e la feroce tenzone tra due fanti armati di lancia vanno al di là della semplice occorrenza ornamentale di repertorio, assumendo qui la veste del conflitto con le forze ostili.

I due monaci in pose plastiche e inusitate sono vigili presenze sceniche, oltre che veri e propri “pezzi di bravura” tridimensionale.

Soggiace all’intera figurazione il cruciale tema della risurrezione -e dunque della salvezza dal male e dalla morte. Vero epigono di Cristo, il santo vescovo Nicola ne replica il gesto che ridona la vita e si conferma patronus tutelare nei pericoli dell’anima e del corpo.

Conclusioni

I confronti tra le coperture lignee dipinte siciliane, in special modo Nicosia, e le produzioni dei soffitti d’Italia e d’oltralpe sono stati in diversi studi oggetto d’indagine 22, segnalando i principali monumenti che per cronologia e tipologia si inseriscono in quel grande movimento culturale, storico e artistico internazionale che è il Gotico cortese.

I paralleli più significativi si riscontrano in area iberica, specialmente aragonese e valenziana, dove si mette in opera una grande varietà tipologica e di scelte iconografiche, pur nell’ambito ecclesiastico: prevalgono scene cortesi e bibliche, decorazioni geometriche, araldiche, vegetali e zoomorfe di gusto astratto accanto a selezionate drȏleries e motivi fantastici. Più rare quantitativamente le rappresentazioni di soggetto sacro.

I soffitti dipinti della Sicilia medievale attestano, attraverso l’uso di colori vivaci e floridi, la complessità degli effetti cromatici nelle cattedrali e nei grandi edifici di culto, in cui la monumentalità e l’espressività simbolica e liturgica non sono affidate solo alla solenne grandiosità dell’architettura ed all’austerità della decorazione scultorea, ma anche ai “cieli istoriati”.

I tecta depicta svolgono, inoltre, un ruolo specifico nel programma teologico che non si limita al semplice valore estetico e decorativo, ma si connota all’interno di una vera e propria strategia catechetica, talora legata a culti speciali connessi al territorio. Lo spazio sacro diventa microcosmo, rimando visibile di realtà invisibili e trascendenti, ma anche espressione di un legame profondo tra la Chiesa trionfante e una Chiesa militante che si esprime in ben precise coordinate del tempo e dello spazio.

Il soffitto dipinto della Cattedrale di Nicosia, in particolare, lascia intendere una committenza teologica formata e volitiva ed un complesso pensiero ecclesiologico che si traduce in una serie di scelte iconografiche la cui lettura simbolica attende ancora di essere decodificata compiutamente; il presente contributo si colloca dunque come una singola tappa di un percorso interpretativo che ha ancora i caratteri del work in progress.

* Un sentito e doveroso ringraziamento va al Rev. Sac. Santino Paternò, Direttore dell’Ufficio Diocesano Beni Culturali Ecclesiastici e Rettore della Chiesa Cattedrale di San Nicola, nonché all’Economo Diocesano Sig. Rosario Rizzo, per l’incarico di studio e l’autorizzazione alla pubblicazione delle immagini. Autore delle foto nn. 2-8 è l’Ing. Bartolomeo Fontana, che ringrazio per la consueta, gentile disponibilità. La foto n. 1 è stata fornita dall’Archivio della Cattedrale.

  1. U. Monneret de Villard, Le pitture musulmane al soffitto della Cappella Palatina in Palermo, Roma 1950; B. Rocco, I mosaici delle chiese normanne in Sicilia. Sguardo teologico, biblico e liturgico. II: La Cappella Palatina, in “Ho Theológos” n. 11-12, 1976, pp. 121-210; Idem, I mosaici delle chiese normanne in Sicilia. Sguardo teologico, biblico e liturgico. III: La Cappella Palatina (II), in “Ho Theológos” 17, 1978, pp. 9-108; D. Gramit, I dipinti musicali della Cappella Palatina di Palermo, estr. da “Scrinium. Quaderni ed estratti di Schede Medievali”, 10, gennaio-giugno, 1986, pp. 5-55; F. Pottino, La Cappella Palatina di Palermo, Palermo 1993; M. Andaloro, Strutture, tecniche, materiali negli ateliers della Palermo normanna, in “Federico II e le scienze”, a cura di P. Toubert- A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 290-305; M.G. Aurigemma, Il cielo stellato di Ruggero II, Cinisello Balsamo 2004; F. Agnello, Rilievo e rappresentazione del soffitto della navata centrale della Cappella Palatina, in “La Cappella Palatina a Palermo. Testi”, a cura di B. Brenk, Modena 2010, pp. 295-352 (con ampia ricognizione bibliografica); J. Johns, Le pitture del soffitto della Cappella Palatina, ibidem, pp. 387-407; M.G. Aurigemma, Soffitti lignei dipinti, in “Studi medievali e moderni”, 1-2, 2011, pp. 337-361.[]
  2. E. Gabrici – E. Levi, Lo Steri di Palermo e le sue pitture, Milano 1932 (rist. Palermo 2003); V. Lanza, Saggio sui soffitti siciliani dal sec. XII al XVII, in “Atti della Regia Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Palermo”, serie IV, vol. I, parte II, Palermo 1940, pp. 177-224 (in part. p. 11-13); G. Spatrisano, Lo Steri di Palermo e l’architettura siciliana del Trecento, Palermo 1972, pp. 240-242; F. Bologna, Il soffitto della Sala Magna dello Steri di Palermo, Palermo 1975; L. Sciascia, I Chiaramonte a Palermo, in “Kalòs. Arte in Sicilia”, anno 6, n. 3-4, Maggio-Agosto 1994, pp. 15-17 (per una sintesi della storia dei Chiaramonte a Palermo); C. De Seta- M.A. Spadaro- F. Spatafora – S. Troisi, Palermo Città d’Arte, Palermo 2009, pp. 338-340 (soprattutto per la cronologia degli interventi di restauro).[]
  3. W. Leopold, Sizilianische bauten des mittelalters, Berlin 1917. Sul viaggio del Leopold in Sicilia e i suoi studi sul territorio, cfr. anche: F. Passalacqua, Alla ricerca del Medioevo lombardo: il viaggio studio di Walter Leopold in Sicilia orientale, in “Delli aspetti de Paesi. Vecchi e nuovi Media per l’Immagine del Paesaggio. Rappresentazione, memoria, conservazione”, a cura di F. Capano-M.I. Pascariello-M. Visone, Napoli 2016, t. II, pp. 937-946.[]
  4. Spicca per dimensione e compattezza la monografia storica del De Francisco (G. De Francisco, Il soffitto dipinto della Cattedrale di Nicosia, Enna 1997).[]
  5. La Chiesa di San Nicola diventa cattedrale il 07 maggio 1816, quando viene fondata la Diocesi, a preferenza di quella di Santa Maria; la Congregazione delibera che «Collegiatam Ecclesiam S. Nicolai erigendam esse in Cathedralem» (G. Beritelli e La Via, Notizie storiche di Nicosia, riordinate e continuate per Alessio Narbone, Palermo 1852, p. 134; G. La Motta, Nicosia, Palermo 1963, p. 27; S. Pontorno, Memorie sulle origini della Torre e Quartiere “Divi Nicolai” a Nicosia, Nicosia 1970; S. Gioco, Nicosia diocesi, Catania 1972, pp. 368-369; 378-388; G. Zito, Storia delle Chiese di Sicilia, Città del Vaticano 2009, pp. 549-560).[]
  6. Una prima cappella “Sancti Nicolai de plano” è menzionata in un documento del 1305. Cf. A. Barbato, Per la storia di Nicosia nel Medio Evo. Documenti inediti. Vol. I (1267-1454), Nicosia 1919, p. 22; S. Gioco, Nicosia Diocesi, … 1966, pp. 75-78.[]
  7. G. Beritelli e La Via, Notizie storiche di Nicosia…, 1852, p. 161; S. Gioco, Nicosia diocesi…, 1972, p. 379. In quell’occasione venne condannato a morte Francesco Ventimiglia, conte di Geraci.[]
  8. M. Guttilla, s.v. Manno Antonio, in “Dizionario degli Artisti Siciliani. Pittura”, Palermo 1993, pp. 324-326; B. Mancuso, s.v. Manno Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 2007, vol. 69, pp. 110-113. Gli affreschi delle navate laterali sono opera di Onofrio Tomaselli, che intervenne nel 1906 dopo la perdita dell’originaria pittura di Francesco Pavone prima e dello Zappulla poi (S. Gioco, Nicosia diocesi…, 1972, pp. 383-384).[]
  9. «La struttura lignea del tetto è stata sottoposta ad analisi dendrocronologica affinché si potesse arrivare alla datazione assoluta capace di collocarne la costruzione in un definito ambito cronologico e ottenere una datazione di tipo relativo degli elementi che lo compongono per valutare sostituzioni o rimaneggiamenti. […] (indagini condotte dal CNR IVALSA di Firenze).» G. Renda, Il restauro del tetto ligneo della Cattedrale di San Nicolò a Nicosia, in “Kalòs. Arte in Sicilia”, anno 21, n. 3, luglio-settembre 2009, pp. 4-7.[]
  10. G. De Francisco, Il soffitto dipinto della Cattedrale di Nicosia, Enna 1997.[]
  11. F.P. Massara, Ipsa philosophia Christus. Una lettura del sarcofago “a stelle e corone” di Palermo, in “I Cristiani e la Sapienza delle Nazioni (secc. I-VI). Atti del Convegno di Studi”, Facoltà Teologica di Sicilia “S. Giovanni ev.”- Istituto Siciliano di Studi Patristici e Tardoantichi “J.H. Newman” (Palermo, 16-17 aprile 2015), a cura di C. Cerami – V. Lombino, Soveria Mannelli 2022, pp. 283-310; Eadem, Santi di Sicilia nelle testimonianze figurative di età paleocristiana e protobizantina. Note e riflessioni iconografiche, in “Ripensare la santità in Sicilia”, a cura di V. Lombino – M. Re, Roma 2022, pp. 303-326.[]
  12. V. Lanza, Saggio sui soffitti siciliani dal sec. XII al XVII…, 1940, pp. 5-8; 41-46; P. B. Ministeri OSA, La Chiesa ed il Convento di S. Agostino a Palermo, Palermo 1994, pp. 21-25.[]
  13. «In origine ogni puntone doveva avere due figure nella faccia inferiore ed un’altra figura in ciascuna delle facce laterali. Le catene avevano al di sotto tre figure entro nicchie ed altrettante in ogni faccia verticale. Questi riquadri sono distanziati da ampie zone di riposo in cui la nuda trave, marginata da una orlatura bianca e nera, fa spiccare ancora di più la bellezza dei campi dipinti. Le mensole sono diverse una dall’altra. Sono intagliate a pizzi ed archetti e sono dipinte nelle facce verticali con ornamenti geometrici e floreali ed in quelle orizzontali con splendidi grifoni.» (B. Ministeri, La Chiesa ed il Convento…, 1994, p. 23).[]
  14. A. Giuliana Alajmo, Il soffitto ligneo della Cattedrale di Agrigento e i suoi sconosciuti decoratori, in “L’Illustrazione Siciliana”, anno V, 1952, pp. 1-20; S. Indelicato- S. Sanzo, I segreti svelati della Chiesa Santa Maria dei Greci, in Kouros: arte- cultura e tradizioni, 3/II, 2005, pp. 4-7; A. Zalapi, Il Maestro degli affreschi di Santa Maria dei Greci ad Agrigento: proposte per una committenza Pujades, in “Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale, Atti del Convegno Internazionale di studi in onore di Maria Accascina”, a cura di M. C. Di Natale, Caltanissetta 2007, pp. 386-393.[]
  15. L. Buttà, La pittura tardogotica in Sicilia. Incontri mediterranei, Palermo 2008, pp. 74; 80.[]
  16. M.C. Celletti, Nicola, vescovo di Mira, in Bibliotheca Sanctorum, vol. IX, Roma 1967, pp. 941-947.[]
  17. N.P. Sevčenko-M. Falla Castelfranchi, s.v. Nicola, Santo, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, VIII, Roma 1997, pp. 679-683; N. Lavermicocca – G. Otranto et alii, Bari. Le chiese della città vecchia, Bari 2005, pp. 63-79; V. Pace, Iconografia di San Nicola di Bari nell’Italia meridionale medievale: alcuni esempi e qualche precisazione, in “San Nicola da Myra dal Salento alla Costa d’Amalfi: il mito di un culto in cammino”, a cura di C. Caserta, Napoli 2012, pp. 74-84.[]
  18. Su quest’argomento, mi sia consentito rimandare a: F.P. Massara, La Croce astile di Johannes de Cioni nel Museo Diocesano di Mazara del Vallo, in “Chiaromonte. Lusso, prestigio, politica, guerra e devozione nella Sicilia del Trecento. Un restauro verso il futuro”. Catalogo della Mostra, a cura di M.C. Di Natale – M.R. Nobile – G. Travagliato, Università di Palermo e Regione Siciliana, Palermo 2020, pp. 367-370.[]
  19. C.R. Post, A history of spanish painting, New York 1930, vol. II, p. 82, fig. 110; G. De Francisco, Il soffitto dipinto…,1997, pp. 147-148.[]
  20. G.B. Bronzini, Letteratura giullaresca e popolare di San Nicola, in “Lares. San Nicola Santo della terra e del mare fra antico e moderno”, 68/1, gennaio-marzo 2002, pp. 139-160, in part. pp. 154-155.[]
  21. F. Ermini, Il miracolo drammatico di San Nicola di Mira e la leggenda dei tre chierici risuscitati, in “Studi medievali”, III, 1930, pp. 110-120; P. Aebischer, Le miracle des trois clercs resuscités par saint Nicolas, in “Archivum Romanicum”, XV, 1931, pp. 383-399; C.W. Jones, San Nicola. Biografia di una leggenda, Roma-Bari 1983, p. 131.[]
  22. A. Byne – M. Stapley, Decorated wooden ceilings in Spain, New York – London 1920 (sempre valido per uno sguardo generale sui soffitti lignei iberici); V. Lanza, Saggio sui soffitti siciliani dal sec. XII al XVII …, 1940, pp. 21-41; F. Bologna, Il soffitto della Sala Magna…, 1975, pp. 233-250; G. De Francisco, Il soffitto dipinto…, 1997, pp. 45-46; S.S. Blair – C. Bolgia, Soffitto, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, vol. XI, Roma 1999 (https://www.treccani.it/enciclopedia/soffitto_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Medievale%29/. Ult. Cons. 13 dic. 2023); L. Buttà, La pittura tardogotica…, 2008, pp. 74-76; Eadem, Narrazione, exempla, retorica: studi sull’iconografia dei soffitti dipinti nel Medioevo Mediterraneo, Palermo 2013; Eadem, Ancora qualche riflessione sulle fonti e gli autori del soffitto ligneo della chiesa di San Nicolò a Nicosia (Enna), in “Storie di animali e di iconografie lontane. Atti dell’incontro internazionale di studiosi delle tavolette da soffitto e dei soffitti dipinti medievali” (Viadana, 21-22 ottobre 2017), Viadana 2018, pp. 53-88.[]