Rita Pellegrini

Doni liturgici d’argento da Venezia sul Lago di Como

ritapellegrini09@gmail.com
DOI: 10.7431/RIV28082023

 

Come ha messo in luce un convegno di qualche anno fa, «una presenza significativa all’interno del patrimonio artistico dell’antico territorio della diocesi di Como sono i donativi di opere d’arte inviate da coloro che abbandonavano la patria e si trasferivano nei principali centri italiani ed europei alla ricerca di opportunità di lavoro o per migliorare la loro posizione professionale» 1. Le opere in questione comprendono pitture, sculture, tessuti e oreficerie ed è su queste ultime che qui porremo la nostra attenzione. Molti di questi donativi preziosi, specialmente quelli provenienti da Palermo, da Roma e da Napoli e afferenti all’Alto Lario, alla Valtellina e alla Valchiavenna, sono stati studiati sistematicamente 2 e sono risultati oggetto di indagine e di approfondimento anche su alcune pagine di questa rivista 3. Si tratta di suppellettili sacre, generalmente in argento, per le quali è stato spesso possibile ricostruire anche vicende storiche particolari che le concernono 4. Altri oggetti, provenienti da diverse città italiane oppure da paesi stranieri, sono stati resi argomento di ricerca senza considerarne il legame storico con il processo emigratorio e spesso ne è stata redatta una scheda a tutt’oggi passibile di molti approfondimenti 5. Sono inoltre ancora numerose le suppellettili sacre rimaste inedite. L’arco temporale della loro produzione, per quanto concerne quelle fino ad ora note, si estende tra il XVI e il XIX secolo.

L’emigrazione storica a Venezia dalla diocesi di Como è stata studiata in modo abbastanza analitico soltanto per due aree, la Valchiavenna e la Valtellina, entrambe estese in provincia di Sondrio 6. Rispetto al territorio propriamente comasco, invece, i riferimenti bibliografici a tale fenomeno sono ad ora piuttosto scarsi e vi si farà menzione nei casi specifici qui presi in considerazione.

In questo scritto si prenderanno in considerazione alcuni esempi di suppellettili sacre di manifattura veneziana legate alla emigrazione in laguna dal Lago di Como.

A quanto emerge da una prima ricognizione su larga scala effettuata in diocesi di Como 7, le oreficerie storiche sacre venete e veneziane non parrebbero costituire una percentuale rilevante del patrimonio generale. Fra i doni degli emigrati sembra prevalgano, soprattutto in riferimento agli studi condotti in Valchiavenna e in Valtellina, le oreficerie romane, napoletane e palermitane 8.

L’acquisto diretto di oreficerie da parte delle chiese della diocesi di Como sulla piazza veneziana non fu invece, per quanto fino ad ora indagato, un mezzo di rifornimento praticato, pur con sporadiche eccezioni. Si cita qui il caso della fabbriceria della chiesa plebana di S. Lorenzo di Mandello, paese del ramo di Lecco del Lario, che nel 1762 acquistò due lampade pensili in metallo argentato a Venezia 9.

Un primo esempio di dono veneziano proveniente dall’emigrazione è localizzabile nella chiesa di San Lorenzo della località di Laino in Valle Intelvi, una valle che si inoltra verso la Svizzera salendo dal ramo comasco del Lario. Caratteristica di questo territorio fu per secoli l’emigrazione di maestranze specializzate e di artisti, diretti all’interno della penisola o in Europa, ove essi trovarono importanti commissioni di lavoro. È questo un fenomeno che si inquadra in quello più ampio della «emigrazione degli artisti […] nella “regione dei laghi”» 10. Gli studi hanno rivelato che, nonostante l’impegnativa carriera di molti di tali maestri d’arte, essi «difficilmente rompevano il filo rosso che li legava alla “patria”», essendo dimostrabile come «l’affezione verso la terra natia conducesse le consorterie di maestri ad imparentarsi tra loro prediligendo contrarre matrimonio con fanciulle delle zone di provenienza e spesso figlie di colleghi e consociati» 11.

Accanto ad emigrati divenuti celebri come artisti, rimangono figure locali trasferitesi altrove delle quali non è ad ora nota la professione. Una di esse è quella del lainese Francesco Baini, che i documenti ci indicano come emigrato a Venezia e benefattore del proprio paese natale. Una nota d’archivio del 13 giugno 1668 testimonia che il Baini aveva inviato in patria una offerta per la costruzione della porta della chiesa parrocchiale: «E più ricevuto l’oblatione per fabricare la porta della chiesa parrocchiale di S. Lorenzo acordata con m.r Eleonardo Reddi come per scrittura publica fatta tra il s.r curato del luoco officiali et huomini della comunità in scudi 75 da lire 6 imperiali per caduno, ricevuto da me sindico in una partita scudi 25 da m.r Francesco Baino habitante in Venetia oriondo di questo luoco di Laino mandati per tall’effetto L. 300» 12 (Fig. 1). Altre carte documentano che Francesco Baini morì a Venezia, lasciandovi una figlia monaca cappuccina professa, e che istituì un legato di messe per la propria anima, nonché un lascito per un oratorio da costruirsi a Laino 13.

I dati documentari rilevati negli archivi si incontrano con quelli materiali: nel Museo d’Arte Sacra di Scaria, paese della Valle Intelvi, è custodita una pisside proveniente dalla parrocchia di Laino che reca sul piede una iscrizione riferita all’emigrato di cui si è parlato: francesco baini e francesca baini fece un donativo ala chiesa de san lorenzo de laino · 1664 (Fig. 2) 14. Il manufatto (h = 25 cm; 2r al piede = 9 cm) è di produzione veneziana, come testimoniato dai suoi punzoni, costituiti dal pubblico sigillo di San Marco in una variante utilizzata nel XVII e nel XVIII secolo 15 e dal marchio della bottega delle Tre Corone 16. Non è presente il contrassegno dell’artefice, elemento del resto difficilmente rinvenibile sulle oreficerie veneziane, pur essendo comunque noti argentieri che lavorarono per la bottega in questione 17. Si tratta di un modello che rimanda a una tipologia di calici e pissidi nella quale spicca in modo particolare il sistema gambo-piede fittamente inciso con piccoli motivi fitovolutiformi e bordato da cornicette concentriche a ovoli e a fogliami. Vi si può ravvisare l’evoluzione da modelli del primo Seicento nei quali tale sistema “fittamente inciso”, a propria volta derivato da ricchi moduli cinquecenteschi con incisioni di tipo figurativo 18, era formato da un piede più sviluppato in senso conico e da un nodo bulbiforme, come nel calice veneziano del 1600-1620 conservato a Bertinoro (Forlì Cesena) 19. Nella pisside di Laino il bulbo è strozzato da due assi orizzontali che rendono poco netta la figura del nodo e contribuiscono a creare con gli internodi sotto e soprastante un gioco verticale continuo di aperture e restringimenti dal piede alla coppa. Quest’ultima presenta un evidente contrasto di luminosità rispetto al fusto, a motivo di una lavorazione a battitura che, nella sua eleganza, accentua la raffinatezza dell’oggetto. La medesima lavorazione a battitura si trova nel coperchio, le cui rifiniture incise e dorate creano giochi di luce con la coppa e la cui croce sommitale costituisce elemento caratterizzante per il manufatto. Non si tratta infatti della solita crocetta bidimensionale, ma di un’unità tridimensionale formata dall’incrocio perpendicolare di due crocette con capicroce gigliformi e arrotondati.

Territorio di emigrazione verso il Veneto, in particolare verso Venezia e Vicenza, fu anche, almeno tra il XVI e il XVIII secolo, l’Alto Lario Occidentale, area a flusso pluridirezionale e in cui le tappe di destinazione erano generalmente collegate allo specifico paese di origine del flusso medesimo. In questa regione si distinsero storicamente tre aree geografiche procedendo da sud verso nord: la pieve di Dongo, quella di Gravedona e quella di Sorico. Fra le tre, ad essere più spiccatamente connotata anche da una emigrazione verso Venezia fu la pieve di Dongo, sia per quanto riguarda i suoi paesi costieri che per quelli posti nei monti 20. Da Dongo, il paese a capo della pieve, l’emigrazione verso Venezia è testimoniata dal Cinquecento al Settecento grazie a una serie di atti notarili che evidenziano come vi fosse anche un coordinamento con emigranti di paesi della valle annessa, quali Garzeno e Germasino 21. A Venezia emigrarono pure famiglie di elevato ceto sociale e alcune di esse mantennero in Dongo interessi anche legati alla comunità ecclesiastica, come i Turconi 22, famiglia di alto rango, che nel 1731 dalla laguna conservava un proprio diritto di giuspatronato sul Lario 23. Viceversa, da Dongo si nominavano procuratori per gli interessi economici coltivati a Venezia, come facevano i nobili Ranzetta Schenardi nel 1735 24.

Fra le chiese di Dongo, quella maggiormente amata dai fedeli, nonché in passato importante meta di pellegrinaggio, è un piccolo santuario dedicato a San Gottardo in cui, come ebbe a scrivere il locale arciprete nel 1929, la reliquia del venerato patrono «è racchiusa in una graziosa statuetta di argento massiccio» 25, sulla quale le notizie d’archivio sono molto avare. Il reliquiario (Fig. 3) è alto 24 cm con diametro al piede di 9.3 cm. Non presenta alcuna iscrizione. Sotto il piede reca tre punzoni: due marchi identici sono costituiti dal pubblico sigillo di San Marco con lettere f×p nella variante utilizzata negli anni 1671-1716 26; il terzo incuso corrisponde al contrassegno della bottega all’insegna del Trofeo (Fig. 4), attiva a Venezia tra il 1714 e il 1750. Se ne evince che il manufatto debba essere datato tra il 1714 e il 1716, epoca in cui presso tale bottega lavorarono Andrea Fulici e Nicolò Ragno 27. Di fatto gli aspetti formali e decorativi dell’opera rimandano ancora in buona parte al gusto del secolo precedente.

Il piede, con bordo appiattito a disco e inciso a motivi fitomorfi su sfondo puntinato, si presenta sagomato nella parte principale, lavorata a cesello con testine cherubiche fra nembi. Al centro si diparte un breve fusto troncoconico cesellato a foglie d’acanto e interrotto da un internodo tornito su cui poggia un piccolo nodo piriforme con applicate tre testine angeliche aggettanti. Sopra un ulteriore internodo tornito e strozzato è posta la statuina di S. Gottardo, poggiante su nuvolette da cui sbucano teste di cherubino. Il santo, mitrato e senza alcun attributo, è rappresentato in atto benedicente e sostiene idealmente con la mano sinistra la piccola teca circolare per la reliquia. I paramenti sacri sono decorati sul verso della statuina con il metodo della puntinatura. La teca è stata incastrata saldamente alla statua. Al suo interno, su uno sfondo di stoffa cremisi, è attualmente visibile soltanto una cedola bianca su cui sono stampate a grandi caratteri le lettere s. g. Non appare visibile alcuna reliquia, sebbene in un repertorio di fine ’800 l’arciprete di Dongo abbia dichiarato che si trattava di reliquie di tipo osseo 28.

Il piede e il nodo del manufatto presentano singolari somiglianze con quelli del reliquiario dei Patroni del duomo di Muggia, opera sulla quale è stato rilevato il solo bollo leonino e che è stata assegnata al XVII-XVIII secolo 29. Si tratta in effetti di un modulo tipico dell’epoca, sviluppato anche in forme raffinate, come quella di un calice di bottega veneta conservato nella sacrestia della basilica di S. Antonio a Padova 30, e destinato a essere ancora utilizzato nel secondo quarto del Settecento 31.

Ad una relazione del 14 luglio 1898, redatta in prospettiva di una visita pastorale, l’arciprete Giuseppe Angelinetti allegò un elenco delle reliquie presenti in parrocchia, specificando quali fossero dotate di autentica e quali ne fossero prive. A proposito di quelle conservate nella chiesa di San Gottardo, egli scrisse che «in S. Gottardo vi è la reliquia del santo, custodita in una statuetta d’argento massiccio che ne rappresenta l’effigie» senza ulteriori specificazioni 32. In effetti, presso l’archivio parrocchiale non è stata reperita alcuna autentica relativa alla reliquia della statuetta veneziana.

Un paese dei monti di Dongo connotato da forte spinta emigratoria fu quello di Germasino che nel 1643 si caratterizzava come la località con maggior percentuale di emigrati di tutta la pieve donghese 33. Da qui si sviluppò soprattutto una importante emigrazione verso Palermo, almeno fino al XVIII secolo 34. Accanto ad essa si manifestarono fenomeni più modesti di spostamento verso Venezia 35. È ad uno di questi che va fatta risalire la traduzione in patria di un ostensorio raggiato in argento che andò a sostituirne uno di tipo ambrosiano trasformabile in pisside, ancor oggi conservato dalla locale chiesa parrocchiale dei SS. Donato e Clemente (Fig. 5). Al vecchio ostensorio fanno chiaro riferimento le visite pastorali di fine Seicento e dei primi anni del Settecento 36. Dopo la metà del XVIII secolo, i primi atti di visita pastorale che nominino espressamente il nuovo ostensorio d’argento risalgono al 1764, quando il canonico della cattedrale di Como, Giovanni Volta, in visita a Germasino, «[…] reperit Panem Angelorum in Hostia Magna in Hostensorio argenteo radiato recentis structurae cum lunula deaurata bipartita recognito alio aerico piramidato apto pro minoribus festis, […]» 37. I due ostensori, l’antico e il veneziano, vennero elencati in un inventario agli atti della visita pastorale dell’11 luglio 1770: «[…] un ostensorio d’ottone adorato con vetro fatto a gulia anticho […] / un ostensorio d’argento con suo baldachino di legno adorato, e guernito con tela d’argento e cristalli […]» 38. Stando dunque ai documenti e considerando che gli atti della visita pastorale del 1754 non contengono elementi determinanti per un giudizio, l’ostensorio veneziano di Germasino potrebbe datarsi intorno alla metà del XVIII secolo.

Il manufatto (h = 44 cm; 2r al piede = 14,5 cm) non reca iscrizioni che consentano di risalire a un donatore. Venne già succintamente schedato in passato 39. Risulta punzonato in più punti con il pubblico sigillo territoriale del “Leone in moleca” 40, mentre sulla cornice anteriore della teca presenta due marchi: il contrassegno del “pubblico sazador” Zuanne Premuda, documentato in Zecca dal 1695 e riscontrato almeno fino al 1766 41 e un incuso dell’artefice. Su quest’ultimo vanno fatte alcune precisazioni. Il marchio è male impresso, ma da ripetuti confronti, vi si leggono le iniziali b l, come nei contrassegni d’autore nn. 89 e 90 riportati da P. Pazzi 42. La rassomiglianza maggiore si riscontra con il n. 90, datato fine XVII-inizio XVIII secolo, piuttosto che con il n. 89 che, essendo datato XVIII secolo, si adatterebbe meglio ai riscontri temporali documentari accertati. Resta dunque aperta l’ipotesi che il manufatto possa essere retrodatato rispetto a quanto suggerito dalle carte d’archivio e che sia stato donato anni dopo la sua realizzazione. Rimane tuttavia anche possibile che il marchio d’autore n. 90 possa essere stato utilizzato per un periodo più lungo rispetto a quanto fin qui individuato.

Il piede dell’ostensorio presenta elementi in comune tra forme mutuate dal Seicento e ancora in uso nella seconda metà del XVIII secolo e altre tipiche della seconda metà del Settecento e già neoclassiche 43: a un largo bordo esterno puntinato corrisponde una parte interna molto sagomata e ordinatamente suddivisa da costoloni appena accennati in cartelle ornate da un motivetto di vago rimando rococò. Il nodo piriforme reca tre testine aggettanti ed è sormontato da due nodi a bocciolo che sostengono un ricettacolo con raggiera a raggi raggruppati e intercalati da fiocchetti di nembi. Sulla cornice della teca alcune testine cherubiche sono appena accennate dal bulino. All’apice sovrasta la statua del Redentore, elemento tipico degli ostensori veneziani del XVIII secolo 44.

Si tratta di un caratteristico modello di ostensorio raggiato veneziano settecentesco di cui l’esemplare germasinese rappresenta una tipologia semplificata rispetto a forme ricercate quali sono l’ostensorio della chiesa dei Carmini Santa Croce di Vicenza, nel quale il gambo è sostituito da una figura angelica e altri elementi scultorei fanno la loro comparsa sulla raggiera e sul piede 45, oppure l’ostensorio della Collezione Penitenti ex IRE ora IPAV di Venezia 46.

L’emigrazione dalla pieve di Sorico, territorio posto alla sommità della costa occidentale del lago di Como, è stata studiata specialmente tra XVI e XIX secolo determinando come mete principali Ancona, Roma e Palermo, oltre a Napoli, a Ravenna e alla Savoia 47.

Le conoscenze ad ora acquisite non hanno rilevato episodi di emigrazione verso il Veneto. Tuttavia, fra i beni della chiesa plebana di S. Stefano di Sorico è conservata una piccola capsula porta-reliquie proveniente da tale territorio e non è ipotizzabile sia giunta fra i beni ecclesiastici locali se non come dono.

La capsula (4 x 6 cm compreso l’appiccagnolo) ha forma ovoidale con coperchio inserito a cerniera sotto l’appiccagnolo e inciso in superficie a bulino. Una cornicetta esterna, interrotta nel punto di incastro con la sottostante teca da una decorazione fitomorfa, racchiude al proprio interno l’immagine di una zucchina fiorita (Fig. 6). Quest’ultima ha assunto in varie culture un significato simbolico legato all’abbondanza e alla fecondità e conseguentemente alla rigenerazione e all’immortalità 48. Nell’iconografia cristiana le cucurbitacee in genere vennero collegate al tema della resurrezione a causa di una erronea traduzione di un vocabolo del Libro di Giona nella Versione dei Settanta 49.

Sotto il coperchio è impresso il sigillo di San Marco con le lettere n×p. Del punzone sono note due varianti, assegnate alla fine del XVIII – inizio XIX secolo 50. Quella ritrovata a Sorico somiglia per certi aspetti alla prima e per altri alla seconda variante, ma le lettere sottoscritte all’immagine del Leone paiono piuttosto ispessite (Fig. 7), il che potrebbe spiegarsi con una deformazione subìta dal marchio o eventualmente con l’esistenza di una terza variante, oltre a quelle già schedate.

La teca contiene tre reliquie: un frammento del Legno della croce (senza cedola), un frustolo [osseo?] di S. Lorenzo (cedola: S. Lauren. Lev.) e un frustolo osseo di S. Sebastiano (cedola: S. Sebastiani M.). I reperti sono disposti su una base di stoffa cremisi, separati tra loro da canuttiglia oro. Con quest’ultima è stata modellata anche una piccola croce che contiene al centro la relativa reliquia (Fig. 8).

Fra le reliquie presenti, il primato spetta a quella della S. Croce e un tale contenuto può spiegare anche la scelta della simbologia decorativa utilizzata per il coperchio della capsula in riferimento alla Croce come strumento di Salvezza.

Fra i documenti riguardanti la chiesa di S. Stefano di Sorico non è stato possibile rinvenire traccia delle reliquie in oggetto. Agli atti della visita pastorale del 1770 risultavano presenti in sacrestia soltanto le reliquie di S. Stefano e di S. Nicola, «le autentiche delle quali», si specifica nei documenti, «sono state smarrite in tempo dell’illuvione» 51. Il cosiddetto “torrente San Bartolomeo” costituì infatti sempre una minaccia per la località di Sorico provocando alluvioni che si rivelarono gravemente dannose soprattutto nel XVIII secolo, tanto che nel 1783 si intraprese un’opera di deviazione dell’alveo del corso d’acqua 52. Il “Catalogo di Reliquie” della chiesa del 1898 comprende sei esemplari con autentiche rilasciate tra il 1776 e il 1866, ma nessuno di essi corrisponde al reperto veneziano 53. Non è quindi ancora stabilito come e quando la capsula d’argento in oggetto con il suo contenuto di reliquie sia giunta a Sorico.

  1. E. Bianchi, G. Virgilio, Gli emigranti e i loro regali. L’arte donata in diocesi di Como dal Cinquecento al Settecento, in atti del convegno Gli emigranti e i loro regali. L’arte donata in diocesi di Como dal Cinquecento al Settecento (Como, 15-16 novembre 2019), a cura di E. Bianchi, G. Virgilio, Milano 2021, p. 13.[]
  2. M. Zecchinelli, Arte e folclore siciliani sui monti dell’Alto Lario nei secoli XVI-XVIII, in “Rivista Archeologica Comense”, 131-132, Como 1951; G. Conca Muschialli-G. Monti, Parole d’argento, Gravedona 2001; I tesori degli emigranti, catalogo della mostra (Sondrio, Sala Ligari della Provincia, 15 marzo – 28 aprile 2002), a cura di G. Scaramellini, Milano 2002; R. Pellegrini, Tra noc e sass. Storia della comunità di Stazzona, Gravedona 2004, pp. 83-84; R. Pellegrini, Gioielli storici dell’Alto Lario. Cultura del prezioso nel periodo dell’emigrazione a Palermo, Como 2009, pp. 38-45; R. Pellegrini, Di alcune suppellettili d’argento donate dagli emigrati, in “Quaderni della Biblioteca del Convento francescano di Dongo”, 70, 2013; P. Albonico Comalini-N. Spelzini, Sulle tracce di antichi “argenti”, dono degli emigranti, in “Altolariana”, 3, 2013; P. Albonico Comalini-N. Spelzini, Altri antichi “argenti”, dono degli emigranti, in “Altolariana”, 4, 2014; R. Pellegrini, Di alcuni argenti napoletani in Valchiavenna, in “Clavenna”, 54, 2015; R. Pellegrini, Doni d’argento degli emigrati valchiavennaschi tra Sei e Ottocento, in “Clavenna”, 58, 2019; R. Pellegrini, Segni devozionali della emigrazione storica a Roma nella chiesa di San Martino in Valmasino, in “Bollettino della Società Storica Valtellinese”, 73, 2020; R. Pellegrini, La chiesa dei SS. Carlo e Ignazio di Fontaniva e i suoi reliquiari, in “Bollettino della Società Storica Valtellinese”, 74, 2021.[]
  3. R. Pellegrini, Argenti palermitani del XVII e XVIII secolo in Valchiavenna, in “Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, 13, 2016; R. Pellegrini, Suppellettili sacre palermitane donate dagli emigrati all’antica pieve di Sorico, in “Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, 19, 2019.[]
  4. Si veda a titolo esemplificativo R. Pellegrini, La chiesa dei SS. Carlo e Ignazio… 2021, pp. 174-175.[]
  5. M. Gnoli Lenzi, Inventario degli oggetti d’arte d’Italia. IX. Provincia di Sondrio, Roma 1938; O. Zastrow, Capolavori di oreficeria sacra nel Comasco, Como 1984.[]
  6. Una panoramica generale sul tema è offerta in I tesori degli emigranti… 2002, pp. 14-15, 18, 20, 23, 26, 28, 37, 42, 43, 55, 89-92, 101-102.[]
  7. O. Zastrow, Capolavori… 1984, passim; I tesori degli emigranti… 2002, passim.[]
  8. Ciò è quanto emerge da una analisi delle schede riportate in I tesori degli emigranti… 2002.[]
  9. O. Zastrow, La plebana di San Lorenzo a Mandello del Lario, Lecco 1994, p. 328.[]
  10. Si vedano per una panoramica generale: E. Arslan (a cura di), Arte e artisti lombardi. II. Gli stuccatori dal barocco al rococò, Como 1964; S. Della Torre, L’emigrazione degli artisti: tradizioni, nuove acquisizioni storiografiche e sentimento del luogo nella “regione dei laghi”, in atti del convegno Magistri d’Europa. Eventi, relazioni, strutture della migrazione di artisti e costruttori dai laghi lombardi (Como, 23-26 ottobre 1996), a cura di S. Della Torre, T. Mannoni, V. Pracchi, Como 1996, pp. 11-12.[]
  11. A. Casati, «Il prezioso monumento». I modelli lignei donati da Ercole Ferrata alla patria e il ritrovato Crocifisso eburneo di Pellio di Sotto, in Gli emigranti e i loro regali… 2021, p. 257.[]
  12. Archivio della Parrocchia di Laino, 2-23, “Documenti Antichi Importanti”, “Registro della chiesa di Laino trovato in casa Corbellini – Libro II”, c. 32r.[]
  13. Archivio Storico Diocesano di Como (ASDCo), Visite Pastorali (VP), 81, cc. 879-880; ASDCo, VP, 83, 2, cc. 32, 40.[]
  14. O. Zastrow, Capolavori… 1984, p. 144, n. 187; E. Bianchi, Museo d’Arte Sacra di Scaria. Catalogo delle opere esposte, Milano 2018, p. 85.[]
  15. P. Pazzi, I punzoni dell’argenteria veneta. Venezia e Dogado, Treviso 1992, p. 175, n. 603. Era il bollo apposto dallo Stato Veneto a garanzia della bontà della lega d’oro o d’argento e raffigurava il Leone di San Marco.[]
  16. P. Pazzi, I punzoni… 1992, p. 155, n. 500. Il contrassegno venne utilizzato nel XVI e nel XVII secolo.[]
  17. È noto che nel Seicento per le Tre Corone lavorarono Zuan Maria Martini (1651-1671) e Piero Teodori (1653-1673). P. Pazzi, I punzoni… 1992, p. 155; P. Pazzi, Dizionario aureo, Treviso 1998, pp. 530, 633.[]
  18. Si veda l’ostensorio veneziano della seconda metà del XVI secolo della Scuola Grande di San Rocco a Venezia. M. A. Chiari Moretto Wiel, Ostensorio, in I tesori della fede, catalogo della mostra (Venezia, chiesa di San Barnaba, 11 marzo-30 luglio 2000), Venezia 2000, pp. 164-165.[]
  19. F. Faranda, Argentieri e argenteria sacra in Romagna dal Medioevo al XVIII secolo, Rimini 1990, pp. 176-177.[]
  20. R. Pellegrini, Emigrazione dall’Alto Lario Occidentale tra XV e XIX secolo. Dati acquisiti, criticità, prospettive, in atti del convegno Emigrazione lombarda. Una storia da riscoprire (Cuggiono, 13-14 novembre 2015) a cura di O. Magni – E. R. Milani – D. Tronelli, Oggiono 2018, pp. 70-75.[]
  21. R. Pellegrini, Dongo. Oltre il conosciuto. Mille anni di storia, Villa Guardia 2012, pp. 31-32.[]
  22. R. Pellegrini, Una festa con piva e tamburo in Alto Lario nel 1685, in “Utriculus”, 51-52, 2016, p. 63.[]
  23. R. Pellegrini, Dongo… 2012, p. 381.[]
  24. Atto del 18 luglio 1735 in Archivio di Stato di Como, Notai, Carlo Maria Scanagatta, 3448.[]
  25. R. Pellegrini, Dongo… 2012, p. 216.[]
  26. P. Pazzi, I punzoni… 1992, p. 170, n. 574.[]
  27. P. Pazzi, I punzoni… 1992, p. 138, n. 420; P. Pazzi, Dizionario aureo… 1998, pp. 74-75, 471.[]
  28. R. Pellegrini, Dongo… 2012, p. 149.[]
  29. G. Ganzer, L’oreficeria del Settecento, in Ori e tesori d’Europa. Mille anni di oreficeria nel Friuli-Venezia Giulia, catalogo della mostra (Codroipo, Villa Manin di Passariano, 20 giugno-15 novembre 1992), a cura di G. Bergamini, Milano 1992, p. 311.[]
  30. L. Camerlengo, Calice, in Basilica del Santo. Le oreficerie, a cura di M. Collareta, G. Mariani Canova, A. M. Spiazzi, Padova 1995, pp. 202-204, n. 17.[]
  31. Si veda la parte inferiore del piede-fusto del reliquiario del beato Andrea de’ Conti nella basilica di S. Antonio a Padova. C. Rigoni, Reliquiario del Beato Andrea de’ Conti, in Basilica del Santo… 1995, pp. 174-175, n. 83.[]
  32. ASDCo, VP, 223, 3, 1, c 17.[]
  33. R. Pellegrini, Le oreficerie palermitane donate dagli emigrati di Stazzona (CO), in Gli emigranti e i loro regali… 2021, p. 290.[]
  34. R. Pellegrini, Emigrazione dall’Alto Lario Occidentale… 2018, p. 71.[]
  35. R. Pellegrini, Antica vita fra le masoni. Garzeno, Menaggio 2009, p. 52; R. Pellegrini, Dongo… 2012, p. 32.[]
  36. Negli atti della visita pastorale del 22 settembre 1683: «Ss.mum Sacramentum in paucis particulis mediocris formae in pixide pro populo capaci conopeolo rubro vestita in arcula pervetusta […]». ASDCo, VP, 68, 2, c. 301. Nei decreti vescovili per la chiesa parrochiale dei SS. Donato e Clemente visitata il 13 giugno 1699: «Si proveda un vetro per l’ostensorio, che compisca bene tutta la rotondità del med.mo ostensorio, in modo, che non vacilli». Negli atti della visita pastorale dell’8 giugno 1707: «Ss.mum Sacramentum in pixide conopeho tecta in nonnullis particulis bene incisis in sanctuario colore rubro vestito in album mutando cum corporali. […]». ASDCo, VP, 88, 2, cc. 559, 757. Ancora nel 1731: « Ss.mum Sacramentum in ostia magna servatur in ostensorio orbiculari sufficienti». ASDCo, VP, 109, 1, c. 445.[]
  37. ASDCo, VP, 147, c. 399. Gli atti della visita pastorale precedente, risalente all’8 giugno 1754, contengono un inventario nel quale è nominato «un piccolo ostensorio indorato con la pisside col piede di rame indorato, e sua coppa d’argento», descrizione che può attagliarsi all’antico ostensorio trasformabile in pisside. ASDCo, VP, 139, 2, c. 303.[]
  38. ASDCo, VP, 175, 5, cc. 23-24.[]
  39. O. Zastrow, Capolavori … 1984, p. 96, n. 118.[]
  40. P. Pazzi, I punzoni… 1992, p. 175, n. 601.[]
  41. P. Pazzi, I punzoni… 1992, p. 150, n. 479.[]
  42. P. Pazzi, I punzoni… 1992, p. 74.[]
  43. Si confrontino i piedi del reliquiario del beato Andrea de’ Conti e quello del cilicio di S. Francesco della basilica di S. Antonio di Padova in C. Rigoni, Reliquiario del Beato Andrea de’ Conti… 1995, pp. 174-175, n. 83; C. Rigoni, Reliquiario del cilicio di San Francesco, in Basilica del Santo… 1995, pp. 177-178, n. 89.[]
  44. G. Ganzer, L’oreficeria del Settecento… 1992, pp. 308-309, 313; E. Merkel, Ostensorio, in I tesori della fede 2000 pp. 165-166; A. Perissa Torrini, Ostensorio, in I tesori della fede…, 2000 pp. 167-168; M. Bernardi, Oreficeria liturgica del Vicariato di Dueville, Fara Vicentino 2004, pp. 128-129, n. 59.[]
  45. G. Cozzi, C. Del Mare, L’oro di Vicenza, Verona 1994, p. 223.[]
  46. S. Lunardon, Gli oggetti di culto nelle collezioni d’arte dell’IRE, in Oro di Venezia. Splendori dell’oreficeria veneziana e veneta dal Medioevo al Neoclassico fino ai giorni nostri, catalogo della mostra (Venezia, Museo Correr, 9 febbraio-15 marzo 2002), a cura di S. L. Savio, Venezia 2002, pp. 59, 65, n. 17. Più sobrio del precedente, ma sempre di gusto pienamente settecentesco l’ostensorio della Collezione Ospedaletto nella medesima serie in S. Lunardon, Gli oggetti di culto… 2002, pp. 59, 64, n. 16.[]
  47. M. Zecchinelli, Arte e folclore… 1951, pp. 87-89, 108-113; A. Rovi, M. Longatti, Sorico. Storie di acque, terre, uomini, Menaggio 2005, pp. 180-182, 234; R. Pellegrini, Di alcune suppellettili… 2013, passim; M. Longatti, Ricerche e documenti sull’emigrazione dalle Tre Pievi nei secoli XV e XVI, in “Altolariana”, 4, 2014, p. 45; R. Pellegrini, Emigrazione dall’Alto Lario… 2018, p. 77; R. Pellegrini, Suppellettili sacre palermitane…2019, passim.[]
  48. J. Chevalier, A. Gheerbrant, Dictionnaire des symboles, Paris 1982, pp. 348-349.[]
  49. Si veda E. Urech, Dizionario dei Simboli Cristiani, Roma 1995, pp. 116-119. Cfr. anche F. Zeri, Dietro l’immagine. Conversazioni sull’arte di leggere l’arte, Milano 1987, p. 16.[]
  50. P. Pazzi, I punzoni… 1992, p. 172, nn. 585, 586.[]
  51. ASDCo, VP, 177, 4, c. 24.[]
  52. A. Rovi, M. Longatti, Sorico. Storie… 2005, pp. 57-61.[]
  53. Vengono descritte le seguenti reliquie: «1. Sepolcro della B. V. e ossa di S. Stefano autentica 1866 gennaio 23; 2. Pallio di S. Giuseppe autentica 1780 novembre 22; 3. Parte della veste di S. Carlo autentica 1776 giugno 13; 4. Ex ossibus S. Aloysii Gonzage autentica 1866 maggio 20; 5. Ex ossibus S. Stephani autentica 1780 novembre 2; 6. Ex ossibus S. Gajetani manca l’autentica». ASDCo, VP, 217, 1, 4, c. 24.[]