Simona Rinaldi

Il commercio antiquario di arti decorative e dipinti dei fratelli Grandi nelle carte dell’archivio Steffanoni

rinaldi@unitus.it
DOI: 10.7431/RIV28122023

 

Il fiorente commercio antiquario attivo nel capoluogo lombardo nella seconda metà del XIX secolo annoverava tra le ditte più note e qualificate quella dei fratelli Grandi.

Entrambi milanesi, il maggiore dei due fratelli era Carlo (25 settembre 1842-16 maggio 1914), che insieme al più giovane Antonio (30 gennaio 1857-7 giugno 1923) proseguirono l’attività del padre Antonio senior (1810-1877), a sua volta erede dell’attività avviata a Bellagio dallo zio Antonio Pini, mercante di cornici, vetri, cristalli e stampe. Trasferita la sede della «Ditta Antonio Grandi» a Milano, in Corso Venezia 12, la strategia commerciale dei due fratelli si concentrò dapprima sulle stampe e l’editoria antica 1. In tale ambito si segnala la collaborazione con la ditta milanese Artaria per la stampa nel 1886 della Raccolta di motivi decorativi in fototipia per l’insegnamento del chiaroscuro, scelti ad uso delle scuole di Luca Beltrami e Giuseppe Mentessi (Fig. 1). La pubblicazione faceva seguito alla vendita al comune di Milano nel 1882 del fondo di disegni dell’ebanista settecentesco Giuseppe Maggiolini, come raccolta a scopo didattico di elementi decorativi da destinare sia alla Scuola Superiore d’Arte Applicata all’Industria, sorta proprio nel 1882 sotto la direzione di Luigi Cavenaghi, sia al Museo dei Mobili allestito nel Castello Sforzesco da Luca Beltrami 2.

Mentre Carlo curava prevalentemente la parte amministrativa della ditta, il fratello Antonio divenne un apprezzato conoscitore, inserendosi attivamente nella vita artistica cittadina: dal 1889 era membro del consiglio direttivo della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, per assumerne dal 1892 al 1915 la carica di segretario, mentre dagli anni 1880 era già socio della Società Calcografica Internazionale di Francoforte 3. Nel 1894 i fratelli Grandi partecipavano alle Esposizioni riunite di Milano con una vetrina contenente numerose stampe tratte da xilografie e incisioni a bulino e all’acquaforte, celebrata su vari periodici lombardi e descritta in un breve opuscolo redatto dallo stesso Antonio 4 (Fig. 2). È presumibile che dal successo di tale esposizione provenisse l’idea di allestire una mostra selezionata di opere d’arte che i due fratelli aprirono al pubblico nel 1905 in due sale del loro negozio, suscitando l’attenzione di Giulio Carotti che la paragonò al «buon gusto e con una certa austera signorilità, che ricorda assai le esposizioni d’arte del Burlington Fine Arts Club di Londra» 5. Nella sua descrizione delle opere esposte, Carotti tralasciava di citare «i bronzi, i mobili, le porcellane, ecc.», per concentrarsi sui numerosi dipinti presenti, tra cui: un ritratto di Moretto e uno di Desportes, un affresco staccato del Civerchio e un altro del Luini, il Ritratto di Landriani dipinto da Andrea Appiani 6, una Venere e Cupido del Boucher e un ritratto di Giuseppina Beauharnais 7.

All’attività antiquaria i due fratelli abbinavano costantemente le donazioni per i musei cittadini: nel 1901 una scultura marmorea del Rinascimento lombardo raffigurante un Angelo genuflesso fu donata al Castello Sforzesco; e nello stesso anno acquistarono per la Pinacoteca di Brera un cartone di Andrea Solario raffigurante il Redentore con l’agnello 8. Proseguirono con le donazioni a Brera nel 1904 con un pastello di Marianna Carlevarijs (assegnato all’epoca a Rosalba Carriera) 9 e un’incisione del XVIII secolo, giungendo poi nel 1905 alla cessione di un nucleo di diciannove disegni di antichi maestri 10; nel 1907 fu invece venduto a Brera un San Gerolamo penitente di Cesare da Sesto 11.

Come molti donatori di Brera, Antonio Grandi (che dal 1908 divenne socio onorario dell’Accademia), si impegnò anche nella campagna di finanziamento per i restauri del Castello Sforzesco, e nel 1905-6 insieme a Luca Beltrami e Luigi Cavenaghi collaborò al nuovo allestimento della Pinacoteca Ambrosiana, alla quale fece dono di alcune acqueforti, mentre alla Galleria Comunale di Arte Moderna destinò un dipinto ottocentesco raffigurante una Barricata al ponte di Porta Romana, oggi al Museo del Risorgimento a Palazzo Moriggia 12.

Nel 1907 furono venduti al Museo Poldi Pezzoli «una tazza con piattino in vetro lattimo (Fig. 3) e una grande croce di vetro blu montata in bronzo dorato» 13, e due anni dopo Antonio Grandi divenne  membro della «Commissione Artistica per la conservazione del patrimonio artistico e dei quadri dei benefattori degli Istituti Ospitalieri» insieme a Gustavo Frizzoni, Guido Cagnola e Giulio Carotti, mentre nel 1911 fu coinvolto nell’organizzazione dell’Esposizione di Roma per il Cinquantenario del Regno d’Italia, partecipando anche alla fondazione del Museo Teatrale della Scala.

Al di là del ruolo di raffinato esperto di incisioni, disegni antichi e oggetti d’arte decorativa, come di generoso benefattore delle istituzioni culturali milanesi, Antonio Grandi fu con il fratello anche un abile mercante di dipinti, la cui attività emerge dalle carte dell’archivio della ditta di restauro di Giuseppe Steffanoni e i figli Francesco e Attilio, in un arco di tempo molto esteso dal 1885 fino al 1926, tre anni dopo la sua morte, quando l’attività antiquaria fu proseguita dagli eredi 14.

I riferimenti ad Antonio Grandi, o più spesso, ai Fratelli Grandi, si rintracciano nell’Archivio Steffanoni unicamente nei Libri dei conti, risultando invece assente qualsiasi documento nei carteggi e nella corrispondenza dei restauratori 15.

La prima nota-spese registrata nella contabilità dei restauratori risale al 4 aprile 1885 ed è relativa alla foderatura «con doppia tela e telaio nuovo [di] due quadri che rappresenta [sic] pollamerie dipinti del Crivellone» 16. Le foderature dei dipinti si susseguono numerose negli anni successivi dal 1886 al 1891 con indicazioni sempre molto sommarie che impediscono il riconoscimento delle opere menzionate, finché nel gennaio 1893 appare registrata la spesa per un «viaggio da Bergamo a Venezia per visitare due volte di Tiepolo» 17.

Dagli studi condotti sulle campagne di strappo effettuate dagli Steffanoni, che nel caso delle volte e delle pareti affrescate da Giambattista Tiepolo e dal figlio Giandomenico furono particolarmente numerose tra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento, risulta con evidenza che la citazione presente nelle carte contabili dei restauratori bergamaschi vada riferita a due affreschi raffiguranti LApoteosi di Ercole (cm 365 x 290) e l’ovale raffigurante La Giustizia e La Pace (cm 245 x 205), che furono staccati nel 1893 da Palazzo Corner Mocenigo a San Polo (Venezia), rispettivamente dal soffitto della saletta degli stucchi e dal soffitto della scala a chiocciola del mezzanino 18. I dipinti furono venduti da Antonio Grandi ai coniugi francesi Nélie Jacquemart e Edouard André per collocarli nel boudoir e nel gabinetto di lavoro della loro dimora parigina, come documenta una lettera del 23 ottobre 1895 di Nélie Jacquemart – che dal luglio 1894 era rimasta vedova – sul «grand plafond ovale destiné au cabinet de travail avec agrandissement dans les coins […] et attendre sur chassis ovale le petit plafond du cabinet de toilette» 19.

Una conferma di quanto avvenuto si trae anche da una lettera indirizzata nel 1896 da Giuseppe Steffanoni a Guido Carocci, direttore della rivista fiorentina «Arte e Storia», dove nel riassumere gli interventi effettuati nel 1893 citava i «soffitti di soggetto mitologico dello stesso autore [Tiepolo] esistenti in un antico palazzo in Venezia, per commissione del sullodato signore» 20. Il «sullodato signore» era appunto Edouard André, con il quale Steffanoni circa due mesi dopo stipulò un contratto per lo stacco di oltre 108 mq di affreschi di Tiepolo da Villa Contarini Pisani a Mira (Venezia), che giunsero ugualmente a Parigi (questa volta tramite la mediazione dell’antiquario Dino Barozzi) dove si trovano ancor oggi nell’attuale Museo Jacquemart-André 21.

Antonio Grandi rappresentò per i coniugi Andrè l’antiquario di fiducia per l’acquisto di opere d’arte nel capoluogo lombardo e per la loro esportazione a Parigi, come avviene nel 1897 per una Madonna con Bambino e santi attribuita al Bramantino con una bella cornice d’epoca 22 (Fig. 4), nel 1911 per un San Sebastiano già assegnato a Sodoma e oggi a Bernardo Zenale 23, e nel 1912 per un Ritratto del conte Gambara, all’epoca attribuito a Moretto ed esposto nel 1905 in mostra nel negozio 24.

Ma nel Libro dei conti di Giuseppe Steffanoni è registrata anche un’altra nota di spesa nel 1893 e precisamente il 14 ottobre: «Signori Fratelli Grandi. Per viaggio da Angera a Milano e viceversa affine [sic] di smontare gli affreschi da spedire a Parigi» 25. La sintetica citazione non spiega di quali affreschi si trattasse, ma il verbo «smontare» farebbe supporre che i dipinti fossero già staccati e appesi in situ. Certo è che poche pagine dopo è registrata nello stesso mese di ottobre 1893 una nota indirizzata «all’On. Direzione dell’Amm. Conte Emilio Borromeo Milano per giornate n. 110 a £ 8 al giorno, per tela consumata di quattro pezze nel Castello di Rocca d’Angera. Saldato 15 dicembre 1893» 26. I numerosi rapporti intercorsi tra gli Steffanoni e i Borromeo, già esaminati da Mauro Natale, non chiariscono le vicende degli affreschi, e tanto meno il ruolo dei fratelli Grandi, sui quali si dovrà in futuro approfondire la ricerca 27.

Al 2 dicembre 1895 risale poi una nota relativa al «Lavoro di Pavia = Fratelli Grandi. Trasporto affresco rapp. B. V.  con bambino e due Santi m 1,90 x 1,79 = Trasporto affresco id. due Santi m 1,12 x 1,24. Per l’operazione di trasporto dal muro su tele e riposti in opera su di un’abside di legno di primitiva forma murale da cui furono levati» 28.

Gli affreschi sembrano appartenere a edifici diversi, oggi difficilmente rintracciabili, ma lo stacco dell’abside è invece precisamente identificabile con l’Incoronazione della Vergine tra i Santi Primo, Feliciano, Francesco, Chiara e quattro dottori della chiesa, dipinta attorno al 1502 nel catino absidale della Chiesa di S. Agata al monte a Pavia che subì delle travagliate vicende di vendita ed esportazione all’estero.

Gli studi condotti attestano infatti che nel 1893 il proprietario della chiesa sconsacrata di S. Agata al Monte, Ruggero Trabucchi, avendola ormai ridotta a magazzino di granaglie, autorizzò lo stacco dei dipinti che fu eseguito da Giuseppe Steffanoni con la conseguente cessione degli affreschi staccati all’antiquario milanese Angelo Mencattini, dal quale passarono poi ai Fratelli Grandi 29. Ma se così fosse avvenuto, la nota di spesa nel registro contabile dei restauratori avrebbe dovuto addebitare il distacco al proprietario o a Mencattini, mentre invece a pagare l’intervento di Steffanoni furono i Fratelli Grandi, che erano dunque coinvolti sin dall’inizio, forse in società con l’altro antiquario milanese, come accadeva all’epoca piuttosto spesso.

Infatti, nel registro degli anni successivi risulta che perfino Attilio Steffanoni fece ricorso a tale prassi più volte, ed egli stesso nel 1920 condivise a metà con Grandi le spese di un dipinto di Baschenis per la Pinacoteca Ambrosiana 30.

 Per quanto concerne l’abside dipinta di Pavia, una volta trasportata in dodici pezzi su telai lignei, rimase presso il negozio dei fratelli Grandi per lunghi anni: nel 1901 la descrive Francesco Malaguzzi Valeri proponendone l’attribuzione a Butinone 31, fin quando nel 1907 fu acquistata dall’antiquario parigino Raoul Heilbronner 32 che la rivendette poi a George Grey Barnhard per il suo Cloisters Museum a New York, dove rimase fino al 1945 33. Alla morte di Barnhard, la sua collezione fu trasferita in parte al Metropolitan Museum di New York e in parte al Philadelphia Art Museum. Quest’ultimo museo divenne il luogo di destinazione degli affreschi pavesi 34, che tuttavia nel 1991 furono donati al comune di Pavia, dove da allora sono collocati nei Musei Civici all’interno del Castello Visconteo 35.

Degli altri due affreschi pavesi raffiguranti la Madonna con Bambino e Santi non si sono rintracciate ulteriori notizie, ma si può osservare che il sostanziale buon esito degli affari condotti da Antonio Grandi con gli Steffanoni ebbe un riflesso positivo anche nel rapporto di collaborazione instaurato con la ditta dei restauratori, ai quali i fratelli Grandi affidarono sistematicamente gli interventi da eseguire sui dipinti da loro posti in vendita.

Un altro intervento di strappo di affreschi è documentato nel gennaio 1905 a Treviso: «F.lli Grandi. Per l’operazione di trasporto di n° due soffitti a fresco di G.B. Tiepolo delle dimens.ni [spazio bianco] £ 800.00, pagato ponteggio £ 35.00» 36. Si trattava di due soffitti raffiguranti le allegorie dell’Alba e del Crepuscolo della sera originariamente collocati a Palazzo Onigo, all’epoca esistente a piazza S. Andrea, di cui chiudeva il lato meridionale con affaccio sull’omonima chiesa, giungendo fino alla riva del fiume Sile dove attualmente sono presenti dei giardini pubblici. Il palazzo fu infatti distrutto dai bombardamenti del 1944, ma era ormai da tempo fatiscente dopo la morte nel 1903 dell’ultima proprietaria, la contessa Teodolinda Onigo. Per quanto rivenduti dai fratelli Grandi con l’attribuzione a Tiepolo, i soffitti dipinti erano in realtà ritenuti opera di Giovan Battista Canal, come riferivano le fonti trevigiane più antiche, riprese sia da Santalena nel 1894 che da Melani nel 1927, mentre erano assegnati a Tiepolo da Morassi e da Garberi 37. La storia successiva dei due soffitti strappati è ricostruibile per il Crepuscolo della sera (oggi denominato Allegoria dell’Aurora, e conservato al Ringling Museum di Sarasota), dopo che Antonio Grandi lo vendette a Jules Brühl che lo esportò negli USA 38. Nel caso dell’Alba, oggi denominato Angelo della Fama, si trova invece al Rhode Island School of Design di Providence, dopo essere stato nella collezione di Louis Gonse a Parigi, dove lo segnalava già nel 1909 Pompeo Molmenti 39.

I numerosi dipinti venduti da Antonio Grandi tra 1909 e 1912 allo Städel Museum di Francoforte 40, così come il Martirio di S. Sebastiano di Foppa ceduto a Berenson nel 1909-11 41, e quelli acquistati da Alessandro Contini Bonacossi e poi giunti nella collezione statunitense di Samuel Kress 42, non risultano subito riconoscibili nelle carte contabili degli Steffanoni, ma il confronto con la documentazione presente nell’archivio dei fratelli Grandi, attualmente in corso di studio 43 fornirà certamente una conoscenza più puntuale e maggiormente articolata della loro attività antiquaria, qui brevemente delineata.

  1. Per Brera: collezionisti e doni alla Pinacoteca dal 1882 al 2000, a cura di M. Ceriana – C. Quattrini, Firenze 2004, p. 82.[]
  2. G. Beretti – A. González-Palacios, Giuseppe Maggiolini. Catalogo ragionato dei disegni, Milano 2014.[]
  3. Per Brera…, 2004, p. 83.[]
  4. A. Grandi, L’arte dell’incisione dal secolo XV al XIX, Milano 1894.[]
  5. G. Carotti, Una nuova raccolta di opere d’arte, “L’arte”, VIII, 1905, p. 49.[]
  6. Oggi conservato al Museo del Teatro alla Scala a Milano.[]
  7. G. Carotti, Una nuova raccolta…, 1905, p. 50.[]
  8. Elenco dei dipinti della R. Pinacoteca di Brera, Milano 1906, n. 284, p. 50.[]
  9. Per Brera…, 2004, pp. 83, 85.[]
  10. Cfr. l’elenco completo in Per Brera…, 2004, pp. 85-86.[]
  11. A. Di Lorenzo, Due collezionisti alla scoperta dell’Italia. Dipinti e sculture dal Museo Jacquemart-André di Parigi, Milano 2002, p. 39 dove si precisa che Antonio Grandi era socio onorario dell’Accademia di Brera. Cfr. anche G. Sinigaglia, Un dipinto di Cesare da Sesto destinato alla Pinacoteca di Brera, “Bollettino d’arte”, I, 1907, 10, pp. 32-34.[]
  12. Per Brera…, 2004, p. 83. Il dipinto Barricata al ponte di Porta Romana, olio su tela, cm 28 x 23,5 di un anonimo lombardo post 1848, si trova oggi a Milano, Museo del Risorgimento, inv. MR SN 00027.[]
  13. A. Di Lorenzo, Due collezionisti…, 2002, p. 39, inv. 1165 e 1224.[]
  14. Per Brera…, 2004, p. 83.[]
  15. L’archivio Steffanoni è in corso di studio sulle copie dei documenti effettuate da Cristina Giannini, alla cui prematura scomparsa nel 2019 sono pervenute a chi scrive con l’esplicita finalità di proseguirne le ricerche. La struttura dell’archivio è articolata in dieci faldoni il cui ordinamento è rimasto immutato, avendo provveduto soltanto a numerarli: Libro dei conti 1883-1901, Faldone 1; Libro dei conti 1901-1911, Faldone 2; Libro dei conti 1912-1929, Faldone 3; Copialettere 1896- 1910, Faldone 4; Carteggi 1887-1916, Faldone 5; Carteggi 1917-1922, Faldone 6; Carteggi 1923-1956, Faldone 7; Carteggi Attilio Steffanoni antiquario 1939-1945, Faldone 8; Carteggi 1957-1969, Faldone 9; Ritagli di stampa 1890-1989, Faldone 10.[]
  16. Roma, Copia dell’Archivio Steffanoni (d’ora in avanti: RMCAS), Libro dei conti 1883-1901, Fald. 1, p. 63.[]
  17. Appendice documentaria, Fald. 1, p. 66.[]
  18. M. Favilla-R. Rugolo, Lo specchio di Armida: Giambattista Tiepolo per i Corner di San Polo, in “Arte Veneta”, 69, 2012, pp. 71-105, in part. p. 92.[]
  19. N. Saint Fare-Garnot, Les Tiepolo du Musée Jacquemart-André, in Giambattista Tiepolo nel terzo centenario della nascita, a cura di L. Puppi, Padova 1998, pp. 51-61, in part. p. 59.[]
  20. RMCAS, Carteggi 1887-1916, Fald. 5, G. Steffanoni, Lettera a Guido Carocci del 15-21 dicembre 1896.[]
  21. C. Giannini, L’attimo fuggente. Storie di collezionisti e mercanti, Bergamo 2002, pp. 106-108.[]
  22. A. Di Lorenzo, Due collezionisti…, 2002, pp. 39, 45 con una lettera di A. Grandi 1897 sulle pratiche per l’esportazione delle opere d’arte a Parigi. Cfr. inoltre G. Frizzoni, Intorno al Bramantino e alle sue presunte relazioni col Luini, “Rassegna d’arte”, II, 1915, pp. 148-150 dove la cornice del dipinto fu utilizzata come modello per un’altra tavola del Bramantino, poi giunta alla collezione Kress (inv. 337).[]
  23. A. Di Lorenzo, Due collezionisti…, 2002, pp. 39, 92.[]
  24. A. Di Lorenzo, Due collezionisti…, 2002, p. 39, nota 61; E. Lucchese, Il ritratto di Brunoro Gambara del Moretto al Musée Jacquemart-André, “Arte in Friuli. Arte a Trieste”, 2004, 23, pp. 7-12.[]
  25. RMCAS, Libro dei conti 1883-1901, Fald. 1, p. 151.[]
  26. RMCAS, Libro dei conti 1883-1901, Fald. 1, p. 159.[]
  27. M. Natale, Dalla Galleria dei Quadri alla Galleria Berthier, dalla fine del Settecento ad oggi, in Collezione Borromeo. La Galleria dei Quadri dell’Isola Bella, a cura di A. Morandotti-M. Natale, Milano 2011, pp. 47-85, in part. pp. 70-71.[]
  28. RMCAS, Fald. 1, p. 205.[]
  29. A. Cavagna Sangiuliani, La chiesa di Sant’Agata in Monte a Pavia e un affresco da essa asportato, Pavia 1907, p. 19; O. Ciferri, L’affresco di Sant’Agata al monte di Pavia: ricerche ed analisi per il restauro, Milano 1996, p. 174.[]
  30. RMCAS, Libro dei conti 1912-1929, Fald. 3, p. 113.[]
  31. F. Malaguzzi Valeri, Un affresco di scuola lombarda, “Rassegna d’arte”, XL, 1901, 7, pp. 99-100.[]
  32. F. Malaguzzi Valeri, Un grande affresco esportato da una chiesa di Pavia a una galleria di Parigi, “L’Illustrazione Italiana”, XXIV, 1907, 6, pp. 130-131.[]
  33. O. Ciferri, L’affresco di Sant’Agata…, 1996, p. 173.[]
  34. O. Ciferri, L’affresco di Sant’Agata…, 1996, p. 176.[]
  35. O. Ciferri, L’affresco di Sant’Agata…, 1996, p. 172.[]
  36. RMCAS, Libro dei conti 1901-1911, Fald. 2, p. 72r.[]
  37. A. Santalena, Guida di Treviso, Treviso 1894, p. 187; A. Melani, L’ornamento nell’architettura. Vol. 3, Milano 1927, p. 197; A. Morassi, A complete Catalogue of the Paintings of G. B. Tiepolo, London 1962, figs. 257, 262, 357; M. Garberi, Frescoes from Venetian Villas, London 1971, p. 244.[]
  38. C. Giannini, L’attimo fuggente…, 2002, pp. 124-125; A. Bellieni Tiepolo, da Treviso agli USA: I soffitti di Palazzo Onigo, in L’impegno e la conoscenza: studi di storia dell’arte in onore di Egidio Martini, a cura di F. Pedrocco-A. Craievic, Verona 2009, pp. 298-309, in part. pp. 299, 303; V. Brilliant, Italian, Spanish and French Paintings in the Ringling Museum, of Art, Sarasota -New York 2017, p. 311, inv. SN184.[]
  39. A. Bellieni Tiepolo, da Treviso agli USA …, 2009, p. 300.[]
  40. Si tratta dei dipinti n° inv. 1447, 1483, 1484, 1485, 1486, 1487, 1501, cfr. J. Sander- B. Brinkmann, Italian, French and Spanish Painting before 1800 at the Städel, Frankfurt am Main 1997.[]
  41. G. Pagliarulo, Alcune precisazioni sui dipinti di Vincenzo Foppa nella collezione Berenson, in Vincenzo Foppa. Tecniche d’esecuzione, indagini e restauri, Atti del Seminario Internazionale di Studi (Brescia 26-27 ottobre 2001), a cura di M. Capella. I. Gianfranceschi, E. Lucchesi Ragni, Milano 2002, pp. 199-212.[]
  42. Si tratta dei dipinti n° inv. K337 = https://kress.nga.gov/Detail/objects/3432; K1011 = https://kress.nga.gov/Detail/objects/2521; K1139 = https://kress.nga.gov/Detail/objects/2646, cfr. Anche R. Bartoli, Biagio d’Antonio, Milano 1999, p. 194;K1183 = https://kress.nga.gov/Detail/objects/2697 (ultimo accesso: 22 agosto 2023).[]
  43. J. Stoppa, Due note cremonesi, in Studi in omaggio a Giorgio Bejor, a cura di C. Lambrugo, Sesto Fiorentino 2020, pp. 89-92; M. Colombi, Milano e il mercato dell’arte nella seconda metà dell’Ottocento. Il ruolo degli antiquari, Tesi dottorato, tutor. J. Stoppa, Università degli Studi di Milano, 2023.[]