Materiali eburnei dal Museo Biscari
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DOI: 10.7431/RIV31032025
Un bastone di area meridionale
Nessun visitatore del Museo Biscari 1, inaugurato nel 1758 a Catania, ricordò nei propri diari di viaggio la raffinatezza d’esecuzione di un bastone in avorio graffito (Fig. 1) 2, oggi esposto all’interno del Museo civico di Castello Ursino (inv. 7960). Una disattenzione continuata anche con il primo direttore del Museo comunale, Guido Libertini, che nel 1937 lo definì erroneamente un «bastone settecentesco da uomo» 3, riconducendolo a una produzione specifica «da passeggio» diffusa in Francia nel XVII secolo, ma che raggiunse la sua maggiore espansione nel Settecento 4, distinguendolo tuttavia da altri lavori in esposizione per la qualità delle sue «incisioni assai fini» 5. Il manufatto dall’anima lignea, visibile nel sesto registro che presenta un’ampia frattura, è costituito da un’impugnatura a pomolo schiacciato e da un fusto di cui restano solamente otto cilindri torniti, tutti correlati tramite minuti anelli metallici. L’ornato è affidato alla punta metallica di un abile incisore che su ciascun registro, delineato da un doppio fregio a motivi classici fogliacei, ha graffiato distinte historiae tratte dagli episodi dell’Antico Testamento, come del resto già interpretò genericamente anche Enzo Maganuco 6, succeduto alla direzione di Libertini nel 1960. Il bastone – privo di un blasone lungo il pomolo, visibilmente abraso forse intenzionalmente per un riuso posteriore – trova affinità stilistico comparative con un esemplare conservato nei depositi del Victoria and Albert Museum di Londra (Fig. 2) 7. Su un lato del pomolo a gancio del bastone di Londra resta ancora ben visibile il ritratto di Papa Paolo V Borghese mentre sullo spazio opposto è mostrata l’arme costituita da «un drago alato coronato con le ali aperte e seminate d’occhi al capo dell’impero, cioè l’aquila spiegata […]» 8. Al di sotto delle due figure si possono ammirare rispettivamente il ritratto di tre quarti del cardinale di San Salvatore in Lauro, Orazio Lancellotti, affiancato dal proprio blasone principesco, costituito da cinque stelle in oro a otto punte, disposte in croce e sormontate da un lambello a quattro pendenti (Fig. 3); il tutto impreziosito da soluzioni tardo manieriste e grottesche che richiamano «l’ultimo alito di Fontainebleau» 9, diffusosi mediante la circolazione di stampe in tutta Europa a partire dalla seconda metà del Cinquecento.
Affidate a un abile maestro, soprattutto per la precisione dei graffiti, le historiae – mai individuate fino a ora – del bastone di Catania si susseguono in maniera orizzontale e in senso orario. Queste riproducono, sebbene con alcune varianti, la serie incisoria realizzata dal lionese Bernard Salomon, detto le Petit (1506-1561), pubblicata per illustrare il Quadrins historique de la Bible, opera di Claude Paradin, canonico della Collegiata di Beaujeu. L’opera fu edita dallo stampatore Jean de Tournes nel 1553 e dedicata alla regina consorte di Francia, Caterina de’ Medici, moglie di Enrico II 10. Le sue incisioni di soggetto biblico influenzate dalla celebre serie di Hans Holbein 11, diventarono tra i modelli francesi più celebri e influenti del sedicesimo secolo. Una fortuna conclamata dallo stile di Salomon che raggiunse un’elaborata sintesi oscillante – come è stata definita – «tra il naturalismo di Holbein e l’idealismo italiano epurato dalla matita di Cousin» 12. In Italia le sue iconografie giunsero in laguna ben presto, nel 1574, quando a Venezia furono pubblicate le Figure del Vecchio Testamento e le Figure del Nuovo Testamento 13 ristampate per gli eredi di Niccolò Bevilacqua con le poesie di Gabriel Simeoni (1509-1570?), una serie derivata liberamente dalle iconografie di Hans Holbein e Pierre Eskrich oltre che di Bernard Salomon 14.
È interessante constatare che anche il bastone di Londra presenta lo stesso modello incisorio lionese. L’individuazione del bene, appartenuto al collezionista inglese Ralph Bernal 15, permette, sulla base di alcuni confronti significativi, di datare il bastone di Catania intorno agli stessi anni nei quali fu eseguito il pezzo appartenuto a Lancellotti, la cui carica di cardinale fu ricoperta tra il 1611 e il 1620; il pezzo Biscari, sebbene il pomolo presenti una raschiatura dell’originaria incisione, presumibilmente raffigurante le armi e il ritratto dell’illustre personaggio che lo possedette, può essere collocato cronologicamente entro tali date.
Nei due manufatti i registri istoriati, ripartiti verticalmente in maniera analoga a contornare il fusto e disposti tra doppi girali di foglie di quercia, mostrano temi legati all’estetica religiosa.
Come già riportato in precedenza, il bastone Biscari presenta un ciclo, sebbene lacunoso, di episodi tratti dal libro del Genesi dal Quadrins historique de la Bible sebbene una scena segua la lezione del 1574. Questa scelta suggerisce che l’incisore avesse a disposizione entrambe le versioni e che, in base a considerazioni pratiche legate allo spazio limitato dei registri, scegliesse l’una o l’altra. L’ordine seguito è quello cronologico, a partire da La Creazione dell’uomo (da Genesi, I; Fig. 4) 16 che apre il ciclo, succeduto al di sotto da Il soffio di Dio su Adamo (Genesi, II; Fig. 5) 17, una scena che Salamon riporta anche nel secondo episodio della sua Metamorphose d’Ovide figvree (1557), illustrata per l’editore Ian de Tournes: la replica del modello dimostrava già in quell’occasione l’ampia fortuna di cui godette la prima opera, pubblicata quattro anni prima, tanto da essere reimpiegata per illustrare anche un tema mitologico. Nel terzo registro si trova la rappresentazione de La Creazione di Eva (Genesi, II; Fig. 6) 18 seguita da La Cacciata dei Progenitori dall’Eden (Genesi, III; Fig. 7) 19 e I sacrifici di Caino e Abele dedicati a Dio (Del Genesi, IIII; Fig. 8) 20. L’ultima scena, una ripresa filologica dall’illustrazione del 1574, si discosta dalla lezione di Salamon, in cui i due fratelli protagonisti rimangono sullo sfondo insieme agli altari: un esito stilistico che potrebbe essere stato ritenuto meno adatto per un’area limitata come quella di un cilindro. Tuttavia, lo stile dell’incisore rimane ancorato a una maniera, sì grafica, ma dalla linea morbida, indubbiamente italiana, visibile nella definizione dei panneggi, delle barbe e dell’anatomia dei corpi. Tale scelta riflette una selezione meticolosa delle scene operata dal maestro piuttosto che una mera riproduzione meccanica di esse. Si prosegue con le rappresentazioni di Caino che uccide Abele (da Salamon, Genesi, IIII; Fig. 9) 21 e l’Andata di Abramo a Cana (Genesi, XII), scena non corrispondente alla fonte originaria e nemmeno alla versione del 1574 dove persino la scena risulta assente. Si può presumere che l’incisore disponesse di un’altra variante, ipotesi che potrebbe altresì giustificare anche l’ultima scena non identificata. Come già sottolineato in precedenza, il resto dei cilindri che componeva la sezione inferiore del fusto è andato perduto.
Il bastone inglese, pervenuto integro, è ripartito in venti registri contenenti, in continuità con il manufatto di Catania, il prosieguo del ciclo biblico. L’ipotesi sulla frammentarietà del bastone catanese resta coerente sia per le sue ridotte dimensioni sia per l’esclusione, nel bastone inglese, di alcuni episodi dei tre libri antecedenti il Genesi, ossia Esodo, Levitico e Giosuè, indubbiamente riprodotti nei cilindri dispersi di Catania. Nelle storie di Londra avviene una ripresa della fonte lionese, mai identificata fino a ora, da cui l’incisore se ne distacca per esibire uno stile e un’impronta più personale.
Nella prima parte della sequenza (Fig. 10), si osserva una rappresentazione di Giaele che uccide Sisera (da Salomon, Giudici, IV) 22 mentre nel secondo registro viene riportato l’episodio de La regina di Saba (da Salamon, III Re, X) 23, identificata erroneamente fino a ora come Ester al cospetto di re Assuero (Ester, VII-VIII), sebbene presenti notevoli somiglianze. In basso si trova L’esecuzione di Sennacherib (da Salamon, IV Re, XIXb) 24. Il quinto registro ritrae invece una scena antecedente rispetto al quarto riquadro (Fig. 11), l’Uccisione del Profeta Bethel (da Salamon, III Re, XIII) 25 creando in tal senso un’inversione nella successione cronologica, che si ripropone anche in altre scene successive. Seguono le narrazioni di Ruth che spigola nei campi di Boat (Ruth, II) 26 e del sovrano Sedecia condotto dinanzi al re di Babilonia a Reblatha (IV Re, XXV) 27. Gli altri episodi individuati, a partire dal nono registro includono Un angelo che uccide 185.000 Assiri (IIII, Re, XIXa) 28 mentre il dodicesimo illustra la scena di Mosè con un bastone che si trasforma in serpente (Esodo, III-IV) 29. Quest’ultima storia occupa una posizione centrale nel fusto inglese, al fine di enfatizzare il significato religioso attribuito ai bastoni, che simboleggiano la presenza dell’autorità divina, similmente a uno scettro. In ordine si osservano anche il Suicidio di Saulo (I Re, XXXI) 30 e nel diciottesimo registro Giuditta che consegna la testa di Oloferne alla fantesca (Giuditta, XIII) 31.
L’analisi delle immagini rivela una coerenza iconografica che dimostra la volontà dei due maestri di creare opere assolutamente originali, prive di duplicazioni e provenienti da un medesimo ambito di produzione. Sebbene sia stata utilizzata la medesima fonte, ciò non è sufficiente a stabilire una relazione tra i due manufatti. Piuttosto, è più rilevante notare che i due apparati esornativi rivelano una serie di dettagli che li accomunano, tanto da far supporre che siano stati realizzati nel medesimo ambito culturale.
Per ciascun registro, si osserva la medesima quadratura, costituita da una doppia linea continua popolata da un episodio biblico; ogni scena è delimitata sia al di sopra sia al di sotto da una duplice fascia di divisione, costituita da due tratti, in cui si distribuiscono motivi fitomorfi terminanti in espansioni a doppie e triple foglie di quercia. I girali sono campiti con fitte linee, verticali e parallele: un’operazione che tradizionalmente veniva assegnava a garzoni di bottega, suggerendo un’esecuzione in serie ma senza alcuna ripetizione meccanica, come evidenziato dall’inversione cromatica operata nel bastone inglese, con bande campite e girali vuoti, che offrono un duplice effetto di chiaro-scuro dalle tonalità contrastanti. Nello stesso bastone, ai girali si susseguono altre bande composte da una disposizione sequenziale e continua di frecce. In tale sezione l’incisore non ha aderito a un rigido schema iconografico ma ha utilizzato una varietà di motivi ornamentali in modo più libero. A rafforzare l’ipotesi di una certa autonomia rispetto a schemi precostituiti e di una possibile influenza reciproca, è la presenza, nel bastone di Catania di due bande poste alle basi sia del primo sia del secondo registro, entro cui si susseguono tondi a doppia circonferenza nei quali sono inscritte rosette a otto petali, intervallate da due semicerchi speculari: un motivo floreale che trova diffusa applicazione in area meridionale 32, ma che varia nell’altro bastone, nel quale i petali assumono una forma e quantità distintiva.
Dall’analisi emerge una conoscenza più approfondita relativa ai repertori ornamentali di matrice d’oltralpe da parte dell’autore del bastone di Londra che si avvale maggiormente di grottesche, cariatidi, inversioni cromatiche e armature di tarda maniera – ma anche rosette – tratte dai cataloghi come quelli di Peter Flötner ma tradotti in un linguaggio artistico personale.
La cifra stilistica che accomuna i due manufatti non si limita al solo ornamento. Le mani che eseguirono i due oggetti appaiono distinte ma, nonostante le varianti, le scene rivelano certe affinità nella concezione di un preciso schema compositivo. Nell’indagine comparativa d’insieme, si evince una continuità stilistica nel trattamento sia della linea di contorno degli occhi sia delle labbra, come messo in evidenza dal confronto fisionomico tra il volto del Creatore (I sacrifici di Caino e Abele dedicati a Dio; Fig. 12) e quello di Sedecia (Sedecia condotto dinanzi al re di Babilonia; Fig. 13). Un’ulteriore somiglianza si riscontra nell’impiego di forme simili, come l’apertura paesistica, che nei due bastoni si distanzia dalle invenzioni di Salamon. Le vedute delle abitazioni sono tutte sviluppate lungo la direttrice dell’orizzonte, raccolte in gruppi da tre unità e caratterizzate da tetti con falde inclinate e finestre sui muri realizzate tramite piccoli punti neri (Figg. 14 – 15). Tuttavia, in alcuni episodi del bastone di Londra, tali vedute mostrano un’elaborazione più meticolosa.
Nelle scene, il groviglio della vegetazione presenta una certa corrispondenza la cui resa non può essere attribuita – ancora una volta – all’uso della medesima fonte incisoria, piuttosto allo stesso ductus che li accomuna, sia nel modo di tracciare le foglie, ottenute tramite una serie di punti rapidi o di linee dall’andamento uncinato sia nel ritmo orizzontale dei fusti ricavato da fitti tratti incisi in modo da ombreggiare la superficie e rendere il volume. In particolare, sono presenti alberi dalla morfologia singolare, con una chioma ramificata in due parti distinte, una in basso e l’altra in alto, risultante da piccoli graffi rapidissimi: un aspetto che denota una certa maniera del tutto locale (Figg. 16 – 17).
L’autore del bastone inglese rivela una maggiore finezza esecutiva oltre che una notevole capacità d’inventiva, qualità che non si riscontrano nell’autore del bastone di Catania, più ancorato invece a certi schemi e soprattutto al richiamo delle fonti incisorie.
Nella scarsità delle fonti e dei confronti comparativi, è parso opportuno condurre un’indagine in una visione d’insieme che miri a definire un comune ambito di produzione relativo a tali manufatti per i quali gli studi risultano carenti al fine di delineare un’area geografica di connessione.
La storiografia non narra con precisione di bastoni d’avorio incisi. Gaetano Moroni, erudito e maggiordomo di Papa Gregorio XVI menziona un bastoncello o bacellus in avorio «parte a grotteschi e parte lavorato con intagli rappresentanti cinque fatti della vita di Gesù Cristo, spiegati con altrettanti distici» 33 con storie della vita di san Nicolò da Tolentino. Il poligrafo testimoniava che tale «Bacolo usato dai Papi» era conservato nel Museo privato del Cardinale de Zelada (1717-1801) 34 fino alla sua morte. Il pezzo presentava una firma «Frater A.A: de civitate Chephaludi, siculus ordinis s. Augustini» 35 e lo stemma di Sisto V: un bastone eseguito da un monaco siciliano, originario di Cefalù presumibilmente su commissione del Papa.
La notizia attesta l’interesse da parte dei collezionisti romani del XVIII secolo per i bastoni eburnei. Più precisamente, qualche anno prima, lo storico Francesco Cancellieri nelle sue descrizioni Sui Palazzi Pontifici entro fuori di Roma testimoniava la «gran maestria [d’esecuzione] del monaco di Cefalù per il «[…] bel disegno […] tutto diligentissimamente intarsiato coll’avorio ed assai ben grafito» 36. Una definizione che non ha trovato riscontro a causa dell’irreperibilità del manufatto.
La pratica d’incidere bastoni in avorio in Italia meridionale, ma anche in canna, di cui restano maggiori testimonianze, è ricordata financo in un ormai datato catalogo del Victoria and Albert Museum di Londra 37, dove sono descritte tre canne incise in bambù, tutte provenienti dall’ex Museo del Collegio Romano o Kircheriano. Tra queste, la prima (inv. 4724.1859), illustrante scene tratte dall’Apocalisse è attribuita a un autore calabrese, ma attivo a Napoli e in Spagna, il quale firmava i propri lavori con l’iscrizione «Antonius Spanus Tropiensis incidebat»: autore ben più noto in virtù dei suoi lavori su avorio 38. Del resto nella stessa Napoli erano presenti specializzate maestranze d’intagliatori d’avorio – scoperti per la prima volta da Alvar González-Palacios 39 – i cui lavori si accostano alla maniera grafico-stilistica dei due bastoni di Catania e Londra.
Gli altri due manufatti (nn. invv. «4723-1827»1018 e «4725-18271019») attribuiti genericamente ad area italiana, non trovano aggiornamento nella letteratura, il che conferma la scarsa attenzione dedicata a tale ambito di studi.
L’individuazione di diverse canne di bambù d’area meridionale, oggi conservate in prestigiose raccolte appartenute a principi europei, ha dimostrato non solo una corrispondenza ai gusti dell’alta aristocrazia ma, soprattutto ha evidenziato l’esistenza di un caratteristico ambito di produzione nel sud Italia, per lo sviluppo del quale concorsero diversi artisti come un «Joseph Catalanus» di Palazzolo Acreide, presso Siracusa 40, al maestro siciliano che eseguì la canna oggi conservata al Bayarisches Nationalmuseum di Monaco 41.
Una scuola d’ambito meridionale poco nota e forse per tale motivo omessa da Giordani, l’ispettore della pinacoteca dell’allora pontificia Accademia di Belle Arti di Bologna che, nella sua descrizione di un bastone appartenuto ai Papi Urbano VIII Barberini e Benedetto XIV, menzionò solo alcuni incisori di stampe attivi a Roma, tacendo invece sulle maestranze specializzate in tale ambito di produzione 42.
Ars natura superat
La collezione eburnea del Museo di Ignazio Paternò Castello, V Principe di Biscari comprendeva oltre al raffinato manufatto sopra descritto, anche un denso gruppo di oggetti la cui disposizione è testimoniata dall’unico inventario della famiglia redatto nel 1844 43, nel quale è documentata la ripartizione degli spazi e l’esposizione dei pezzi all’interno delle numerose scansie. L’eccezionalità dell’inventario restituisce un complesso e articolato rapporto tra l’organizzazione della collezione, ambiente di vita e cultura dell’aristocrazia dominante. Il documento offre infatti un aggiornamento del proprietario non solo legato agli interessi archeologici, ma altresì ai più ampi modelli museali italiani ed europei, connettendosi al circuito del mercato antiquario di varie città italiane quali Napoli, Roma e Firenze, forse anche Genova e Venezia 44.
Nella stanza delle Manifatture, tra gli ultimi ripiani della VI e parte della VII scansia, era esposto il gruppo di manufatti eburnei che abbracciava un periodo che andava dal XIV fino al XVIII secolo, la cui provenienza è da riferire soprattutto ad ambito tedesco e francese. L’identificazione e l’analisi di buona parte dei pezzi conservati nei depositi del museo civico 45, molti dei quali fino ad oggi non avevano un’attribuzione collezionistica certa, ha permesso di comprendere le logiche espositive ideate dal Principe di Biscari.
Nel radunare i manufatti in avorio, di carattere religioso e profano, il criterio di selezione del Principe fu una scelta basata sulla provenienza, in particolare occidentale, senza un preciso ordine cronologico. Alcuni di essi, elencati nell’inventario del 1844 è ormai irreperibili, mostravano la compresenza di altri materiali preziosi come il n. «2047. [raffigurante] una statuetta di avolio di Madonna col Bambino, con base di madreperla alta 18 pollici» 46: un pezzo posto presumibilmente in evidenza, date le sue dimensioni, circa 45 cm di altezza, andato purtroppo disperso. Degli oggetti esposti nella VI scansia sono riconoscibili due avori, i nn. 2054 e 2055 47, da riferire alla manifattura di Dieppe del XVIII secolo. L’elenco del 1844 prosegue con la VII scansia, in cui si verifica un’interruzione dal n. 2059 al n. 2097 per l’inserimento di trentotto manufatti lignei e vari smalti di Limoges del XVII secolo; una disposizione apparentemente accidentale agli occhi dei visitatori. L’accostamento tra il materiale ligneo e quello eburneo – preferito dagli artisti nordici – era certamente legato alla tecnica dell’intaglio. Ciò permette di riconoscere la raffinatezza del collezionista siciliano che creò una galleria aggiornata in linea con le mode delle più grandi corti europee, ideando un sistema espositivo coerente e logico e introducendo precise scelte per riordinare scientificamente la sua camera delle meraviglie, come un moderno museologo. Dei manufatti lignei elencati si conserva nei depositi del Museo civico un lavoro al tornio finissimo, registrato al n. 2068 48. L’esecuzione di questo esemplare di ambito tedesco si può accostare a quella delle numerose opere in avorio della collezione Biscari: questi sono contraddistinti dalla lavorazione al tornio, sperimentata per la prima volta intorno al 1570 in un clima culturale tanto interessato ai problemi scientifici. Uno dei calici elencati nell’inventario del 1844, il n. 2066 49 (Fig. 18), mostra in basso un movimento di rotazione del gambo intorno al suo asse longitudinale, che sfocia nella sovrapposizione di cerchietti concentrici e concludersi infine con la presa, costituita da minuti elementi balaustrati disposti l’uno sopra l’altro. La coppa, accolta da un doppio sepalo dalla foggia floreale, si sviluppa in altezza in armonia con le dimensioni del fusto ed è dotata di una copertura sottile e di una doppia profilatura. È certo che a quest’ultima fosse avvitata al nodo centrale un terminale ornamentale, ipotizzabile sulla base di alcuni raffronti riscontrati all’interno del Deutsches Elfebein Museum Erbach 50, dove molti calici della fine ‘500 sono torniti a guisa del manufatto del Museo civico di Castello Ursino. I pezzi tedeschi del Museum Erbach provenienti dalle botteghe di Dresda mostrano il loro legame con taluni moduli che richiamano un vocabolario ancora tutto rinascimentale come, ad esempio, le minute balaustre o il rimando al sepalo, distanti nella lavorazione – seppur per poco tempo – dalle sperimentazioni più sofisticate del tornio meccanico del primo ventennio del XVII secolo; una tecnica, quest’ultima che si presenta in diversi manufatti Biscari, come nei nn. 2120 e 2121 51. Si tratta di due Contrefait-Kugel 52, piccoli oggetti sferici dalla complessa lavorazione tecnico-esecutiva che prevedeva l’inserimento di globi cavi, l’uno all’interno dell’altro. Tali opere, provenienti dalle Wunderkammer, erano richieste in gran numero dai principi e nobili collezionisti, i quali apprezzavano l’estrema complessità: il congegno, infatti, richiedeva l’esecuzione da parte di maestri dotati di eccellenti conoscenze geometriche e meccaniche, divenendo in tal senso una fonte di meraviglia per i fortunati proprietari.
Una scansia a metà tra lo stupore della Wunderkammer, suscitato dalle elaborate fogge degli oggetti ad intaglio, e l’interesse per i principi scientifici, espressi dai complessi lavori eseguiti al tornio. A ciò si univa il gusto per il virtuosismo tecnico: l’oggetto n. 2123, «una colonnetta a gradini spirali […]» 53 (inv. 6764, Fig. 19) faceva indubbiamente parte di un vaso ornamentale di manifattura tedesca del primo quarto del Seicento. Fu costruito per sovrapposizione di pedine circolari sfalsate, sulla cui superficie sono ancora visibili i segni della lavorazione al tornio meccanico. Il frammento è stilisticamente accostabile al fusto di un vaso in avorio, oggi esposto a Palazzo Pitti a Firenze (n. inventariale «Bargello Avori 1879» n. 59), firmato e datato 1626 dal tornitore Marcus Heiden insieme al suo allievo Johann Eisenberg: un pezzo che, insieme a molti altri, fu inviato a Firenze nel 1633 dal principe Mattias de’ Medici in seguito alla conquista di Coburgo 54. La foggia bizzarra del fusto – raffrontabile al frammento del Museo civico di Castello Ursino – è definita da un equilibrio apparentemente fragile, costruito attraverso un raffinato movimento non lineare di pedine, seguendo in tal senso i tratti stilistici e i caratteri peculiari dello stile barocco. L’asimmetria, all’inizio del XVII secolo, fu adottata come nuovo elemento per enfatizzare l’instabilità e gli oggetti diventarono sempre più richiesti dai collezionisti per la loro particolare qualità estetica e, soprattutto, per l’enorme abilità dei tornitori tedeschi nel processo di produzione 55.
Accanto alle manifatture d’area germanica, si ammiravano anche alcuni esemplari eburnei francesi prodotti nella città di Dieppe come il bene segnato con il n. 6810, indicato nella fonte del 1844 con il n. 2113, dalla tipica tecnica di lavorazione a traforo. Non solo avori ma anche intagli lignei francesi erano esposti nella ricca scansia del Principe. Un pettine di bosso dalla raffinata eleganza ed equilibrio compositivo (n. 7073; Fig. 20) 56 presenta stringenti confronti con un manufatto (n. inv. «Hol 158») conservato nel Museo di Ulrich Herzog Anton, in Bassa Sassonia 57, sia nella foggia sia nella tecnica di decorazione, come pure per lo stesso modo di eseguire i rombi con doppie linee incidentali. La collezione dell’ungherese Jankovich Miklòs (1772 – 1846), il cui inventario sottolineava non solo il luogo di produzione ma anche la rarità del reperimento del manufatto, dimostra ancora una volta l’ampiezza del circuito internazionale da cui il Principe di Biscari attingeva.
- Sul Museo Biscari si rimanda a S. Pafumi, Museum Biscarianum. Materiali per lo studio delle collezioni di Ignazio Paternò Castello di Biscari (1719- 1786), Catania 2006; B. Mancuso, Castello Ursino a Catania. Collezioni per un museo, Palermo 2008 con bibliografia precedente.[↩]
- La dimensione del bastone misura in altezza, dal pomolo alla base, 0,93 cm; il diametro del pomolo invece 4,5 cm.[↩]
- G. Libertini, Il Castello Ursino e le raccolte artistiche comunali di Catania, Catania 1937, p. 151.[↩]
- L. Grassi, «Bastone», in Dizionario di antiquariato, a cura di L. Grassi, M. Pepe, G. Sestieri, p. 154.[↩]
- G. Libertini, Il castello Ursino …, 1937, p. 151.[↩]
- E. Maganuco, Museo civico di castello Ursino. Catalogo delle opere, 2 voll., dattiloscritto, Catania, museo civico di castello Ursino, 1960, p. 642.[↩]
- M. Trusted, Baroque & Later Ivories, London 2013, p. 30, n. 297 con bibliografia precedente. Vedi anche Roma, 1300-1875: l’arte degli anni santi, catalogo della mostra a cura di M. Fagiolo-M.L. Madonna, Milano 1984, pp. 56, nn. II.2.15.[↩]
- A.P. Frutaz, Il complesso monumentale di Sant’Agnese, Roma 1976, p. 177.[↩]
- A. González-Palacios, Giovanni Battista De Curtis, Iacobo Fiamengo e lo stipo manierista napoletano, in Il tempio del gusto. Le arti decorative in Italia fra classicismi e barocco. Roma e il Regno delle due Sicilie, I, Milano 1984, p. 239. Prima in «Antologia di Belle Arti», 6, 1978, pp. 136-148.[↩]
- C. Paradin, Quadrins historiques de la Bible / rev. & augmentez d’un grand nombre de figures par Bernard Salomon (1553), Lion 1555.[↩]
- P. Sharrat, Bernard Salamon, illustrateur lyonnais, Geneve 2005, p. 139. La bibliografia di riferimento è da ritenere tutt’ora valida.[↩]
- P. Sharrat, Bernard Salamon …, 2005, p. 180.[↩]
- Già pubblicate in Francia con il titolo Figure della Bibbia illustrate, illustrate di stanze toscane (Lione, 1565).[↩]
- P. Sharrat, Bernard Salamon …, 2005, p. 185. La prime due edizioni dei due volumi illustranti la Bibbia di Simeoni furono pubblicate in Francia nel 1564 (Le Figure de la Biblia, I) prima e nel 1570 poi (Le Figure del Nuovo testamento, II) edite da Roville. Vedi A. Parnotte, Simeoni, Gabriele, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 2018, XCII, ad vocem. Le stampe di Salomon furono largamente impiegate anche in altri distinti ambiti. U. Weinhold, Ein paar Deckelschalen mit der Erschaffung der welt und der Vertreibung aus dem Paradies, in Maleremail aus Limoges im grünen gewölbe, Munchen 2008, pp. 100-101.[↩]
- Venduto all’asta Christies di Londra (21 marzo 1855). H. G. Bohn, A Guide to the knowledge of pottery, porcelain, and other objects of vertu comprising an illustrated catalogue of the Bernal collection works of art, London 1857, p. 177, n. 1686.[↩]
- C. Paradin, Quadrins historiques …, 1555, p. 11.[↩]
- C. Paradin, Quadrins historiques …, 1555, p. 12. Assente nella versione di Gabriel Simeoni.[↩]
- C. Paradin, Quadrins historiques …, 1555, p. 13.[↩]
- C. Paradin, Quadrins historiques …, 1555, p. 17.[↩]
- G. Simeoni, Figure del Vecchio Testamento, illustrate di bellissime stanze volgari da Gabriel Simeoni nuovamente ristampate con diligenza e corrette, II voll., Vinegia 1574, f. A.7.[↩]
- C. Paradin, Quadrins historiques …, 1555, p. 20.[↩]
- C. Paradin, Quadrins historiques …, 1555, p. 193.[↩]
- C. Paradin, Quadrins historiques …, 1555, p. 208. Corretta in tale sede poiché fino ad ora ritenuta una scena tratta dal libro di Ester relativa ai capp. VII-XVIII. L’iconografia s’ispira a C. Paradin, Quadrins historiques …, 1555, p. 235.[↩]
- C. Paradin, Quadrins historiques …, 1555, p. 220.[↩]
- C. Paradin, Quadrins historiques …, 1555, p. 209.[↩]
- C. Paradin, Quadrins historiques …, 1555, p. 198.[↩]
- C. Paradin, Quadrins historiques …, 1555, p. 223.[↩]
- C. Paradin, Quadrins historiques …, 1555, p. 219.[↩]
- C. Paradin, Quadrins historiques …, 1555, p. 119.[↩]
- C. Paradin, Quadrins historiques …, 1555, p. 202.[↩]
- C. Paradin, Quadrins historiques …, 1555, p. 234.[↩]
- Una cifra stilistica comune nella produzione dei cassoni siciliani del XVI secolo è costituita da un fronte liscio con decorazioni ad intaglio lungo tutte le bordure, a volte arricchiti con alcuni motivi particolarmente ricorrenti come le rosette (Vedi inv. 6413. Manifattura siciliana, Cassone, XVI – XVII secolo. Pioppo / Intaglio, cm. h. 64 x b. 172 x pr. 54. Catania, Deposito del Museo civico di Castello Ursino. Provenienza Museo Comunale – Mistretta, Messina. Un confronto stilistico del cassone catanese si trova in M. Giarrizzo-A. Rotolo, Il mobile siciliano dal Barocco al Liberty, Palermo 2004, p. 20, n. 1. O ancora nel deposito di Palazzo Bellomo a Siracusa si trova una «cassetta in legno di abete di forma rettangolare che presenta sul fronte una decorazione ad intaglio rappresentante tre prospetti architettonici fra pini e rosette, sui lati sono raffigurati due volatili. Acquistata il dicembre 1905 per L. 25. L’opera è datata da Agnello al secolo XV e da Romanini al secolo XVI.» (da scheda «OA» n. «19/00106434», deposita nell’Archivio del Museo Regionale di Palazzo Bellomo a Siracusa). Il confronto è pubblicato in Mobili italiani del Meridione, a cura di E. Bacceschi, Milano 1966, p. 13.[↩]
- G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni compilato da Gaetano Moroni, primo aiutante di camera di sua Santità Gregorio XVI, IV, Venezia 1840, pp. 23.[↩]
- Il manufatto si trovava già nella collezione di Agostino Mariotti (1724-1806) e successivamente consegnato a Pietro Schilling, direttore della sezione di storia naturale del Museo Kircheriano e della collezione del cardinale de Zelada. Fu acquistato dal porporato dove rimase nella sua raccolta fino alla morte. Sulle collezioni del cardinale si veda M.E. Micheli, «Naturalia e artificialia nelle raccolte del cardinale Francesco Saverio de Zelada», in Illuminismo e illustraciön: le antichità e i loro protagonisti in Spagna e in Italia nel XVIII secolo, Roma 2003, 231-241 e A. De Angelis, La collezione di primitivi del cardinale Francesco Saverio de Zelada (1717-1801), Ricerche di storia dell’arte, LXXVII, 2002, pp. 41-53.[↩]
- G. Moroni, Dizionario di erudizione …, 1840, p. 23.[↩]
- F. Cancellieri, Lettera di Francesco Cancellieri al Ch. Sig. Dottore Koreff Professore di Medicina nell’Università di Berlino sopra il tarantismo, l’aria di Roma e della sua Campagna, ed i Palazzi Pontificj entro e fuori le di Roma con le Notizie di Castel Gandolfo, Roma 1817, pp. 246-247.[↩]
- Ancient and Modern Furniture and Woodwork in the South Kensington Museum, a cura di J. Hungerford Pollen, London 1874, pp. 278-280 (invv. 4724.1859, 4725.1859 e 4723.1859).[↩]
- Ancora scarne le notizie sul pittore originario di Tropea. Di lui non si conosce che la data di morte avvenuta a Madrid nel 1615. Nel Dizionario Enciclopedico dei Pittori e degli incisori italiani, X, Torino 1983, pp. 387-388 l’artista è registrato quale «intagliatore su avorio» e già precedentemente nel Dizionario degli Artisti italiani in Spagna (secoli XII-XIX), Madrid 1977, p. 242; è stato identificato anche da A. Pérez de Tudela, Mobiliario en El Escorial en tiempos de Felipe II: una aproximación documental, in El moble del segle xvi: moble per a l’edat moderna, Barcelona, 2012, p. 36. Oltre al bastone di bambù sopra menzionato, dell’artista si conoscono anche un rosario (Cattedrale di Costanza), una piastra raffigurante l’Adorazione dei Magi, tratta dall’opera di Marco del Pino (Chiesa di San Severino a Napoli) e un piccolo mappamondo del 1593 (n. inv. AZ_119, Morgan Library and Museum di New York). C. Raymond Beazley, Globe of 1593, The Geographical Journal, 23, 4, aprile 1904, pp. 496-498.[↩]
- A. González-Palacios, Giovanni Battista De Curtis …, pp. 238-243; Nel Museo civico di Castello Ursino due tavolini in ebano e avorio sono stati recentemente attribuiti a manifattura napoletana di fine Cinquecento in B. Mancuso, Intagliatori d’avolio a Napoli: due tavoli del Museo civico di Catania, «RIASA. Rivista dell’Istituto Nazionale di Archeologia e storia dell’arte», XLVI, 78, 2023, pp. 263-290.[↩]
- B. Mancuso, L’istinto della formica: le ragioni di una mostra, «Siculorum Gymnasium. A Journal for the Humanities», 3, 2017 (LXX), pp. 419-420. Il pezzo per la prima volta è stato indagato ed esposto alla mostra L’Istinto della Formica. Arte moderna delle collezioni benedettine dai depositi del castello (2017), curata dalla stessa studiosa.[↩]
- Roma, 1300-1875 …, p. 55, n. II.2.14. All’interno dei Musei Vaticani, nella sezione arti decorative, è custodito un altro bastone che «fue labrado a Brancaleon» (RC) nel 1602 «por manos De Don Pedro de Villaragut». Il manufatto merita un’analisi approfondita poiché arricchisce il corpus dei bastoni in canna eseguiti nell’area meridionale. Ringrazio il Professore Enrico Colle per la segnalazione.[↩]
- G. Giordani, Descrizione d’una canna incisa a bulino la quale, ad uso di bastone, appartenne alli sommi Pontefici Urbano VIII Barberini e Benedetto XIV – Lambertini, in «Il Tiberino. Foglio del giornale artistico artistico-letterario», 54, V (19 ottobre 1839), p. 202.[↩]
- La trascrizione dell’inventario si trova in S. Pafumi, Museum Biscarianum…, pp. 165-197 (d’ora in poi INV_1844). La collezione non fu mai segnalata da Domenico Sestini, antiquario e naturalista fiorentino, incaricato di redigere la Descrizione del museo d’antiquaria e del gabinetto di istoria naturale di sua eccellenza il sig.re principe di Biscari Ignazio Paternò Castello patrizio catanese fatta dall’abate Domenico Sestini accademico fiorentino, [Firenze] 1776; rist. anast., Id., Il Museo del principe di Biscari, introduzione di Giovanni Salmeri, Catania 2001.[↩]
- G. Libertini, Il Castello Ursino …, 1937, p. 7.[↩]
- Le indagini sono state svolte durante gli anni del dottorato di ricerca, che è stato conseguito presso l’Università degli Studi di Catania. In questa sede vengono pubblicati solo alcuni dei risultati ottenuti, rappresentando una parte minima del lavoro complessivo che è stato svolto.[↩]
- INV_1844, p. 177.[↩]
- Si tratta di «Statuette di avorio uno a sedere con cappello, e l’altra all’impiede di 3 pollici» rispettivamente da collegare ai nn. inventariali 6758 e 6759. Ibidem.[↩]
- «Un piccolo globo di legno vagamente lavorato, e perforato con dentro oggetti di legno stesso» corrisponde al n. inventariale 6803. Ivi, p. 178.[↩]
- «[un] avorio lavorato di 8 pollici», presumibilmente corrispondente al bene oggi registrato con il n. inventariale. 6793. Ibidem. Il bene misura 26 cm in altezza. Sulla base della descrizione inventariale del 1844, il calice n. 2066 misura 20,48 cm circa (1 pollice = 2,56 cm). Lo scarto di circa 5 cm in altezza potrebbe corrispondere alla mancanza dell’attacco della presa della copertura. Corrisponde al n. inventariale 6793.[↩]
- Wiedergewonnwn: Elfenbein Kunststücke aus Dresden Eine Sammlung des Grünen Gewölbes, catalogo della mostra a cura di Brigitte Dinger, Erbach 1995, pp. 31, n. II 282.[↩]
- Rispettivamente un «Globo di avolio reticolato con dentro altri due della stessa maniera, e nel centro un dado, ricavati dallo stesso pezzo stesso» e uno «con 10 fiorami, ai quali corrispondono li N. 10 santi di una stella, ricavata come sopra». INV_1844, p. 178.[↩]
- J.G Doppelmayr, Historische Nachricht von den Nürnbergischen Mathematicis und Künstlern: welche fast von dreyen Seculis her durch ihre Schrifften und Kunst-Bemühungen die Mathematic und mehreste Künste in Nürnberg, Im Berlegung Peter Conrad Monath, Nurnberg, 1730, pp. 299-300; H.M. Von Erfa, Contrefait, «RDK», III 1953, pp. 859–862 (Rivista consultata online il 28/02/2025).[↩]
- INV_1844, p. 178.[↩]
- K. Aschengreen-Piacenti, Gli eburnei calici. L’arte del tornire l’avorio, «FMR», 76, novembre 1989, pp. 69-96.[↩]
- K. Maurice, Der drechselnde Souverän, Materialien zu einerfürstlichen Maschinenkunst, Ineichen 1985, p. 56.[↩]
- INV_1844, p. 179.[↩]
- R.A. Schütte, Die Kostbarkeiten der Renaissance und Barock. Pretiosa und allerley Kunstsachen aus den Kunst-und Raritätenkammern der Herzöge von Braunschweig-Lüneburg aus dem Hause Wolfenbüttel, Braunschweig 1997 p. 230, n. 234.[↩]