Nella bottega di Angelo Giannotti: argentiere e orafo nella Roma dell’Ottocento
davide.spagnoletto@gmail.com
DOI: 10.7431/RIV31072025
L’arrivo delle truppe francesi nello Stato Pontificio e le successive contribuzioni imposte a papa Pio VI Braschi da Napoleone, in seguito al Trattato di Tolentino del 1797 per il pagamento dell’indennità di guerra, inflissero un duro colpo all’argenteria sacra e nobiliare romana 1. Molti oggetti preziosi custoditi nei palazzi, nelle chiese e nelle sinagoghe del ghetto andarono distrutti, rendendo oggi più difficile comprendere il fasto e la qualità della produzione romana precedente. Parte di ciò che si era salvato fu talvolta fuso, sia per il valore del metallo, sia per assecondare il mutato gusto dei proprietari, i quali adeguarono i servizi domestici e cultuali ai dettami stilistici dell’epoca post napoleonica.
Alla luce di questa breve premessa, è comprensibile come con la Restaurazione si sia avvertita la necessità di commissionare agli orafi nuovi pezzi per compensare le perdite subite e, nello stesso tempo, di ridefinire dal punto di vista legislativo l’attività delle botteghe. Non a caso nel 1815 veniva introdotto nello Stato Pontificio un nuovo regolamento, il quale imponeva ulteriori criteri per stabilire la bontà del metallo e preservare la qualità dei lavori. Cercando di evitare operazioni fraudolente di fatto si voleva scongiurare il rischio di un declino della manifattura romana. Nello stesso momento i punzoni degli argentieri venivano uniformati visivamente secondo il modello francese, assumendo una forma di losanga contenente le iniziali degli esecutori inframezzate da numeri assegnati, a sostituzione dei marchi in uso nei due secoli precedenti caratterizzati da silhouette fantasiose spesso ispirate al mondo animale o vegetale 2.
Sul versante stilistico se da un lato si affermavano modelli più sobri, in seguito innestati da combinazioni eclettiche, dall’altro, con l’introduzione di processi meccanici che semplificavano il lavoro, si rischiava di rendere il repertorio di forme e decorazioni piuttosto ripetitivo. È in questo clima che intraprende il mestiere di orafo e argentiere Angelo Giannotti nato a Roma nel 1798 e segnalato come lavorante già dal 1814. Patentato dal 1824, anno in cui gli fu assegnato il marchio A99G in losanga, non solo ottenne l’apprezzamento dei committenti, ma fu anche eletto Console degli orefici dal 1850 al 1853 e nuovamente dal 1864 al 1865 3 (Fig. 1). Per comprendere come Giannotti fosse tra gli argentieri romani più attivi è presentato in questa sede l’inedito inventario dei beni, degli arredi e dei preziosi rimasti nella sua terza e ultima bottega in via S. Romualdo 4. Stilato poche settimane dopo la sua morte, avvenuta il 2 agosto 1865, offre una visione sugli strumenti per la lavorazione dei metalli, sulla diversificazione degli oggetti da lui prodotti e un riscontro sull’applicazione del citato regolamento del 1815.
Il buon numero di oggetti sacri e profani a noi pervenuti con il suo punzone lascia intuire come l’artista abbia saputo adeguarsi alla varietà delle richieste del mercato dell’epoca, impiantando una bottega in grado di gestire le diverse commissioni. Si tratta di oggetti in grado di soddisfare la crescente domanda da parte dei fedeli e del clero, destinati a essere donati alle chiese, come calici, lampade a sospensione e ostensori che riproponevano modelli ormai consolidati 5 (Fig. 2). Anche la nobiltà si rivolgeva alla bottega per l’arredo delle dimore e della tavola, commissionando zuppiere, zuccheriere e lucerne, spesso realizzate in serie ma di indubbia qualità 6 (Fig. 3).
La mole di tale produzione fu resa possibile non solo per merito dei lavoranti, ma anche grazie alla disponibilità e alla circolazione di modelli e stampi, che facilitarono la realizzazione delle singole parti, anche attraverso processi come la godronatura, capaci di consentire decorazioni continue e di facile esecuzione. Se si prende come esempio una caffettiera con manico a forma di levriero e versatoio a collo d’oca (Fig. 4), considerata uno dei suoi pezzi da tavola meglio riusciti 7, si possono individuare oggetti simili, con elementi a fusione analoghi, realizzati dalle botteghe di rinomati argentieri come Pietro Paolo Spagna (1817-1861) e Vincenzo Belli II 8 (1828-1859).
Diverso è il caso degli oggetti prodotti per l’ambito ebraico romano, poiché fin dall’istituzione del ghetto nel 1555 agli ebrei di Roma era vietata l’iscrizione alle corporazioni e la lavorazione dei metalli preziosi, un divieto ribadito anche nel regolamento del 1815 9. Di fatto gli argentieri cristiani dovevano misurarsi con una tradizione diversa e con committenti che guidavano le scelte degli artisti per adeguarle all’uso cerimoniale. In questo tipo di commissioni Giannotti, pur adottando motivi e tecniche mutuati dai lavori secolari e religiosi cristiani, è stato in grado di introdurre invenzioni compositive mantenendo comunque una propria riconoscibilità. È forse anche per questo che il suo nome ricorre frequentemente negli arredi preziosi delle Cinque Scole, le sinagoghe del ghetto di Roma, donati dalle famiglie in occasione di ricorrenze o momenti lieti. Si tratta spesso di argenterie destinate ad abbellire il Sefer Torà (rotolo della legge), come coppie di rimonìm (pinnacoli) e corone, che nel caso del nostro argentiere si distinguono per l’uso di elementi applicati interpretanti simboli ebraici e per l’alternanza tra le parti in argento e quelle dorate.
In linea generale, poiché il bollo di garanzia dell’argento rimase invariato per tutta l’attività dell’argentiere, e fino all’annessione di Roma al Regno d’Italia nel 1870, risulta piuttosto difficile ordinare cronologicamente la sua produzione e stabilire con precisione quando siano stati introdotti determinati elementi stilistici. In tal senso lo studio sistematico del patrimonio del Museo Ebraico di Roma ha permesso di stabilire per la maggior parte dei pezzi una data ante quem di esecuzione. Infatti, come consuetudine nelle donazioni di preziosi da parte di famiglie ebraiche alle Scole, le iscrizioni dedicatorie e beneaugurali indicano con precisione il momento dell’ingresso di questi manufatti. Il primo oggetto ebraico certamente noto risale al 1839, quando Shelomò Ieudà Bonaventura donava alla Scola Siciliana una coppia di rimonìm caratterizzata da una serie di motivi cuoriformi e dallo stemma familiare, il quale è interpretato sotto forma di leoni rampanti che sorreggono con le zampe anteriori dei campanelli aperti 10 (Fig. 5).
È però alla metà del secolo, con la piena maturità, che l’impostazione adottata dall’argentiere per questa tipologia di apparati cerimoniali si fa più complessa. Un’iscrizione data al 1852-1853 un completo composto da un paio di rimonìm a torre a due piani, con colonnine tra le quali pendono nerot tamid (lampade pensili perpetue) nel piano inferiore e menorot (candelabri a sette bracci) in quello superiore, e una corona con semicolonne corinzie alternate agli stessi elementi dei pinnacoli (Fig. 6). È qui evidente come l’artista abbia saputo bilanciare i pieni e i vuoti della struttura e di come abbia adottando elementi a fusione a sospensione che, con la loro oscillazione, conferiscono dinamicità alla composizione.
Un’importante aggiunta al catalogo dell’argentiere è invece rappresentata da un’inedita coppia di rimonìm, rari perché tra i pochi argenti cerimoniali ancora conservati in collezione privata (Fig. 7). I due pinnacoli si presentano con gambo liscio sostenuto da un piede rialzato e percorso da un giro di foglie tonde e nervate e da foglie lanceolate. Foglie di acanto, nascenti dal nodo e leggermente rivolte verso l’esterno, coprono la parte superiore del gambo mentre il corpo ottagonale con il profilo a dentelli, poggiante su una corolla di foglie, è attraversato da un motivo a finto ammattonato con arcate impostate su colonne doriche tra le quali pendono sette campanelli aperti. Una delle arcate di ciascun rimòn è chiusa da una lamina dorata, incisa con caratteri ebraici con i Dieci Comandamenti, iscrizione eseguita con buona probabilità da un artigiano cristiano 11, affiancata da festoni di foglie e sormontata da una corona chiusa cimata da un globo (Fig. 8). Agli angoli del corpo della torre sono applicate protomi leonine a cui sono sospese catene a maglie alternativamente ovali e circolari, con campanelli a melagrana. La cupola, a foglie lanceolate, è sormontata da un’anfora biansata con fiori. Come si è anticipato, in base ai punzoni, questa coppia di rimonìm è stata realizzata tra il 1824 e il 1865, ma è possibile proporre come data di esecuzione la fine del secondo quarto del secolo grazie alla comparazione con alcuni elementi vegetali utilizzati da Giannotti su altre coppie analoghe conservate al Museo Ebraico di Roma ed eseguite tra il 1842 e il 1855. La datazione avanzata può essere anche convalidata dal notevole eclettismo nella combinazione degli elementi. La peculiarità di questi oggetti è la probabile allusione al Tempio di Gerusalemme, nella forma del tempietto e nelle finte mura graffite sulla superficie, non riscontrata altrove, che risulta una soluzione assai originale e indicativa di una continua invenzione.
Ma gli ebrei romani, e in particolare le Scole, non si rivolgevano all’argentiere solo per nuovi oggetti ma anche per intervenire su quelli già esistenti 12. Una ricevuta firmata e datata 2 aprile 1855 riporta una serie di lavori di manutenzione commissionati dalla Scola Nuova: Giannotti era chiamato ad aggiustare dei rimonìm, evidentemente usurati dall’uso costante durante le preghiere, e a procedere a dorare e argentare le parti deteriorate 13. Tra le cinque coppie di pinnacoli – definiti dall’orafo «mazze» e ricondotti, con un linguaggio a lui più vicino, a quelle papali da cui talvolta traevano ispirazione – era sicuramente intervenuto su quelli donati da Khizqià Aharon e Izkhaq Berekhià Baraffael il 24 maggio 1727. Nella voce di spesa delle «due mazze con Galli fattoci delle vite nuove, ed averle accomodate e indorate/Per la accomodatura e rimesse tutte a nuovo», si riconoscono quelle realizzate da Lorenzo Merlini (1719-1745) nel 1727 che sulla loro sommità presentano dei galli a tutto tondo che tengono nel becco una spiga di grano, simbolo appunto della famiglia Baraffael 14.
Le commissioni per gli ebrei romani non erano però che una parte della sua attività dato che, come dimostra la documentazione, la bottega era impegnata a rifornire le chiese dopo le dispersioni dei decenni precedenti. L’inventario indica una precisazione sul nome della vedova di Giannotti «Maria Croci figlia del defunto Lorenzo» 15 quest’ultimo probabilmente da identificarsi in un altro argentiere romano attivo tra il 1817 e il 1842. Un legame, quello con la famiglia Croci, che emerge sia dalla presenza nella bottega di «un libro in cui il defunto registrava i pezzi di argento che riceveva dal sig. Giuseppe Croci ed i lavori terminati che questo consegnava» 16, sia dalla richiesta avanzata da parte dell’argentiere Sante II Croci (1843-1868…) alla morte di Giannotti di riavere un prestito precedente concesso 17, probabile testimonianza di passaggi di materiali lavorati e denaro tra le botteghe.
La prima parte del documento è però dedicata alla descrizione dell’abitazione contigua all’ambiente di lavoro, degli arredi e della biancheria personale e della casa 18. Nella dimora, dotata di un buon numero di utensili e stoviglie, non emergono particolari preziosi se si esclude il mobilio e qualche eccezione rappresentata da un «crocefisso scolpito in avorio» e un orologio «da tavolino in movimento, a suoneria di sole ore, quadrante di metallo, e cassa di noce decorata di metalli dorati», segno comunque di una discreta posizione sociale 19.
È però la descrizione della bottega – o meglio, come la definisce il notaio, «negozio di gioielliere» – a suggerire come, contestualmente alla produzione di oggetti, avvenisse anche l’esposizione e la vendita, permettendo così di entrare nel vivo del lavoro quotidiano. L’attività era segnalata sulla strada da una «tenda a padiglione per l’esterno del negozio in cottone a righe bianco e turchino composta di quattro teli», mentre all’interno si trovavano diversi banconi da lavoro e vetrine per l’esposizione degli oggetti già realizzati 20. Si ha nota poi di «per modelli per ornato di metallo in getto», mentre non sono segnalati disegni o repertori grafici che invece erano sicuramente presenti nelle botteghe del secolo precedente 21.
Per i lavori più diffusi, come i servizi da tavola, un ipotetico acquirente avrebbe potuto scegliere tra un repertorio di «tredici pezzi di ferro, comprendenti modelli di manico da coltello e altri usi», evidentemente separati dalla lama come richiesto dal regolamento 22. Posate e piattini completavano le suppellettili domestiche, ma il maggior impegno della bottega era riservato agli oggetti liturgici: al momento della morte erano presenti decine di manufatti quasi ultimati, sui quali era già stato apposto il bollo, compresa «una pace con = ecce homo=», a testimonianza di lavori sbalzati più complessi.
Dall’inventario emerge poi un aspetto sconosciuto della produzione di Giannotti, il quale testimonia il suo impegno anche nella gioielleria e nella realizzazione di bottoni da camicia. Sebbene questi ultimi fossero fusi tramite una «forma da bottoni di metallo in getto», si distinguevano per la varietà delle successive lavorazioni nelle quali argento e oro si combinavano con smalti o pietre di diverse tonalità come granati, malachiti e ametiste 23. Non solo ornamenti preziosi destinati agli abiti maschili, ma anche cammei e spille, anch’esse finemente realizzate in «conchiglia montata in oro» o in micromosaico 24, a conferma di un’attività capace di portare avanti la tradizione dell’argenteria romana e, insieme, di intercettare una nuova clientela raffinata, che esibiva queste creazioni anche al di fuori dei palazzi.
ASCER: Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma “Giancarlo Spizzichino”
ASR: Archivio di Stato di Roma
Appendice documentaria 25
Archivio di Stato di Roma, Trenta notai capitolini, Istromenti, notaio Fratocchi Pietro, ff. 294-301, 22-23 agosto 1865
[…] Sono stati descritti e stimati li seguenti stigli, ed altro esistente nel negozio di argentiere suindicato, cioè all’ingresso grande bussolotto per mostra di legno ord. verniciato a noce, due sportelli all’interno, fusi per serramenti, lastra di cristallo ai quattro lati e divisione interna alto in tutto palmi 10. Largo pal. 1/12 bradella al di sotto di legno ord. Con necessarie rotelle: scudi sette
Banconcino per smercio di legno come sopra con vari tiratori, lungo pal: 6 e 9/12 largo pal: 2 8/12 alquanto usato. scudi tre e baj: cinquanta
Entro i sud. tiratori tredici pezzi di ferro tra modelli di manico da coltello, ed altri usi, due brunitori, due raschini, una [ill.] di metallo, una punta di trapano, un pajo pinzette, un pajo occhiali, ed altri pochi di niuna entità, assieme si valutano, scudi due
Un libro in cui il defunto registrava i pezzi di argento che riceveva dal Sig. Giuseppe Croci, ed i lavori terminati che a questi consegnava
Sopra il sud. bancone pajo bilancine di ottone con asta simile, meccanismo per alzarle, e due tiratoti, corredate di vari pesi di metallo fino ad once 19 in med. stato, scudi due
Altro pajo bilancine come s. ma più piccole, scudo uno
Entro uno dei sud. tiratoncini pajo bilancine da monete di ottone con cordoncini di seta, baj: venti
Calamajo terraglia ord. Verniciata bianca ed altro verniciata scura
Scrivania di noce con cinque tiratori, tavola da scrivere, e coperchio a canale, alquanto usata. Scudi due, e baj: cinquanta
Entro i sud. tiratori una moneta da dieci franchi, due mezzi colonnati Spagna, dieci papetti, un paoletto, due grossetti, tre bajocchi, ed un mezzo bajocco, in tutto scudi cinque e bajocchi nove e mezzo
Quattro piccole scattole di legno ord. Contenenti alcune boccole fuori d’opera, piccoli pezzi per [ill.] e bottoni di smalto, malaghita, ed altre qualità: non che alcuni camei in conchiglia incompleti, alcune granatine, il tutto si valuta scudi due e baj: cinquanta
Sopra la sud. Scrivania lume a flambò con piede di metallo bronzato, campana opalizzata e tubo
Banconcino da lavoro uso argentiere di legno ord. Con due tiratori, molto usati, scudo uno
Entro i sud. Tiratori alcuni ferri da lavoro uso come sopra, consistenti in tronchette, cisoje, pinzette, compassi, dritti e storti, morsetto, piccolo trapano, alcune madreviti con maschi, una lima, un pezzo di calamita, raspe, raschini, ed altre cose simili, il tutto alquanto usati, insieme si valutano scudi tre
Altro banco da lavoro a due posti il tutto come sopra con quattro tiratorini, molto usati, scudo uno
Entro i sud. Tiratori pochi ferri consistenti in tronchette, raspe assortite, madreviti, quattro trafile, ed altre cose simili, il tutto alquanto usato, insieme si valutano, scudo uno, e baj.: 50
Quattro piccoli pezzi per modelli per ornato di metallo in getto ed altri piccoli pezzi simili
Sopra il med. Bancone una pietra d’affilare i ferri a olio, e due piccoli pezzi di pietra di paragone Scudo uno
Altro banconcino di legno ord. Con tiratore superiore, e due altri inferiori in med. stato, scudo uno e baj. Cinquanta
Entro i sud. Tiratori alcuni astucci di varie forme, e grandezze, ricoperti di pelle, tutti vuoti, insieme si valutano scudo uno
Sotto il sud. banconcino quarantacinque pezzi tra martelli, mazzette, e grossa mazza di varie grandezze e forma, il tutto di ferro, manicati di legno in med. [ill.] stato. Scudi quattro e baj: cinquanta
Venti pezzi tra bicornie, piccoli tassetti ed altro, il tutto di ferro, in parte molto usati e due grandi cisoje a cavalletto in med. stato, insieme si valutano scudi due e baj: 50
Piccola morsa alla chiavara fuori d’opera in med. stato baj: ottanta
Cinque vetrine da mostra di varie grandezze, due delle quali a cantoniera, con lastre di cristallo alli sportelli, in med. stato scudo uni, e baj: 50
Otto sedie di faggio verniciato a noce di diverso modello, con sedili impagliati ed un banchettino da sedere di legno ord. Il tutto alquanto usato, scudo uno
Alle pareti tavola di legno verniciata a noce sostenuta da menzolette simili baj: trenta
Sopra alla medesima un pajo bilance mezzane di ottone e ferro sostenute da bracciolo di ferro fisso alla parete in med. stato
Piccolo astuccio coperto di pelle contenente pajo bilancine da monete di ottone con varii pesi di metallo per monete, baj:cinquanta
Altra tavola di legno verniciata a noce, sostenuta da menzolette simili, lunga 15 larga pal. 1 baj: cinquanta
Sopra della med. piccolo mortajo di bronzo con pistello simile
Piccola forma da bottoni di metallo in getto. baj: ottanta
Punta di bue polimatata senza base, una basetta quadrata di breccia corallina con controbase di pietra diversa, ed altri pochi oggetti di poco valore baj: cinquanta
Cornice mezzana lustra a mogano contenente acquarella in carta rappresentante la Madonna detta della Seggiola, cristallo al davanti, e piccolo cornucopio ad un sol braccio di ottone, e lunette di vetro, baj: sessanta
In un angolo del negozio tasso mezzano di ferro in med. stato sopra ciocco di legno ord. in catt. stato baj: ottanta
Sopra del med. tenda a padiglione per l’esterno del negozio in cottone a righe bianco e turchino composta di quattro teli, ferro da porla in opera, scudo uno, e baj: venti
Portiera a una partita di due teli [ill.] a righe rosso, e bianco, in med. stato, e suo ferro posto alla porta che mette alla retrocamera già descritta, baj: quaranta
Entro i suddetti bussolotti e vetrine alcuni oggetti preziosi che verranno descritti e stimati dal perito competente
Nel cortiletto contiguo alla suddescritta cucina una trafila di legno ordinario completa ed un pajo di grosse tenaglie di ferro per la medesima, il tutto in med. stato, scudi due
Un tasso di mezzana grandezza ed un latro piccolo di ferro con ciocco ciascuno di legno ord. Scudi due e baj cinquanta
Piccolo recipiente di rame per il bianchimento in med. stato
Tre martellette fra mezzane e piccole, cerchiate di ferro molto usate
[…]
Sono stati descritti ed apprezzati i seguenti oggetti preziosi cioè
Quattro saliere di argento, bollo pres. del peso once dieci, scudo uno l’oncia, sono scudi dieci
Una saliera, un’ovarolo, due porta salviette di arg. bollo presente del peso once quattro, e baj: otto
Otto bicchieri di arg. Del peso once sedici, a scudo uno l’oncia, sono scudi sedici
Una piside, una scattola, cinque piattini, il tutto di arg. bollo pres. del peso once 15. a denari 12. a scudo uno l’oncia, sono scudi quindici, e baj: 50
Un calice con patena di arg. bollo pres. del peso once tredici sono scudi tredici
Sei pezzi di posate, 4 cucchiarini, bollo ass. del peso once 14 a baj: 90 l’oncia, sono scudi dodici, e baj: 60.
Un cilindro con cassa di arg. scudi tre
Una catena di oro del peso denari dieci, scudi cinque
Una chiavetta di oro basso
Un’orologio a serpentina con cassa di argento, scudo uno
Una piside di metallo dorato con cassa di arg, scudi due, e baj: 50
Dodici vuoti, ed una corona di arg. del peso once 5 e denari 21. scudi cinque, e baj: 88
Quattordici medaglie di arg. fino del peso once due, e den: 20. scudo uno, e baj: 10. l’una, sono scudi tre, e baj: venti
Otto catene di ciambella, cinque oncinelli di arg. bollo pres. del peso once 2 e denari 12. sono scudi due, e baj: cinquanta
Trenta pezzi di argento assortiti del peso once due, e den: 15. scudi due, e baj: sessantadue
Otto paja boccole, e due catene di arg. del peso once due, e denari 18. sono scudi due, e baj: 75
Una broscia di conchiglia montata in oro, scudi quattro
Quattordici anelli di oro del peso denari tredici, e grana dodici, sono scudi sei, e bajocchi 75
Sette bottoni per camicia di oro con granate, scudi tre
Due paja boccole, ed un pajo goccie, scudi due, e baj: cinquanta
Un broscia di musaico, una chiavetta, un cornetto, un bottone con amatista montata in oro con controbottone di argento, scudi due, e baj.: 50
Una croce per Vescovo di metallo dorato, baj: cinquanta
Due fili di granate, baj: sessanta
Due acquasantiere di arg. del peso once sei, scudi sei
Due dette del peso once 6. e den.: 21. scudi sei, e baj: ottantotto
Tre dette del peso once nove, e denari 22. scudi nove, e baj: 92
Due crocefissi di arg. del peso once sette, e denari dieci, sono scudi sette, e baj. Quaranta
Un crocefisso di arg. con croce di legno, baj: quaranta
Un calice nobile di metallo dorato con coppa di arg. Del peso once quattro, e denari sei, scudi dieci
Un reliquiario di metallo dorato, scudi due e baj: cinquanta
Un crocefisso di metallo in argento, baj: cinquanta
Un bocale, ed un bacile di metallo dorato, scudi sei
Un reliquiario di metallo inargentato, scudo uno
Una pace con = ecce homo=
Un reliquiario di metallo non terminato, scudo uno
Una lampada di metallo inargentata, scudi due
Due angeli di metallo dorato con catenine di arg. baj: ottanta
Una corona per immagine, ed una baciletta di metallo inargentato
Un baciletto, un vasetto per olio santo ed un cane, il tutto di metallo dorato, scudo uno
Due ostensori compagni di metallo inargentati, e parte dorati, scudi dieci
Un’ostensorio grande di metallo parte inargentato, e parte dorato, scudi dieci
Un’incensiere, una patena, tre vasetti per olio santo, e una baciletta, il tutto di metallo, oggetti non terminati
[…]
- A.M. Pedrocchi, Argenti sacri nelle chiese di Roma dal XV al XIX secolo- Repertori dell’Arte del Lazio- 2, Roma 2010, pp. 35-36.[↩]
- Bando generale per gli orefici, argentieri, ed altri che comprano, vendono, maneggiano, e contrattano or ed argento in Roma e nello Stato Ecclesiastico, Roma 1815, p. 3.[↩]
- Le notizie biografiche sono ricavate da C. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d’Italia. I, Roma 1958, pp. 524-525. Il punzone di Giannotti è noto con almeno quattro varianti cfr. A. Bulgari Calissoni, Maestri argentieri, gemmari e orafi d’Italia, Roma 1987, pp. 228-229.[↩]
- Le due precedenti botteghe si trovavano in via del Pellegrino. Cfr. C. Bulgari, Argentieri, gemmari …, 1958, p. 524.[↩]
- Tra gli oggetti di Giannotti nelle chiese romane si conoscono tra gli altri un reliquiario (Chiesa di S. Maria in Vallicella), un vaso d’altare (Chiesa di S. Giuseppe alla Lungara), un secchiello per l’acqua santa (Chiesa SS. Luca e Martina), un turibolo (Basilica di S. Marco), calici (Chiesa del Gesù, Chiesa di S. M. in Aquiro) cfr. A.M. Pedrocchi, Argenti sacri …, 2010, pp. 148-149.[↩]
- Cfr. S. Fornari, Gli argenti romani, Roma 1968. [↩]
- Argenti romani di tre secoli nelle raccolte private, catalogo della mostra (Roma, Palazzo Braschi, 7-26 maggio 1970), S.P.Q.R., Assessorato Antichità, Belle Arti e Problemi della Cultura. Organizzata in collaborazione con la Associazione “Amici dei Musei di Roma”, Roma 1970, cat. 118, tav. LXII.[↩]
- R. Dabbene-V. Donaver, Argenti italiani del ‘700 e ‘800, Milano 1998, p. 48.[↩]
- Oltre al divieto di vendere lavori nuovi viene ribadito «Che li suddetti Rigattieri, Ebrei, ed altri Rivenditori non possano limare, accorciare, risaldare, lustrare, imbrunire, ed imbianchire, né per se, né per mezzo di altri alcun lavoro d’Oro, e d’Argento» (Bando generale per gli orefici …, 1815, p. 20).[↩]
- D. Liscia Bemporad-D. Spagnoletto, Consacrati al Signore. Argenti del Museo Ebraico di Roma, Livorno 2024, n. I.32, p. 124 (con bibliografia precedente).[↩]
- Cfr. D. Liscia Bemporad, Arte cerimoniale ebraica in Italia, in I Tal Yà. Duemila anni di arte e vita ebraica in Italia, catalogo della mostra (Ferrara, Palazzo dei Diamanti, 17 marzo-27 giugno 1990), a cura di V. B. Mann, Milano 1990, p. 108; D. Spagnoletto,“Come se fosser d’un immenso valore”. Doni preziosi nella Guardaroba delle Scole, in D. Liscia Bemporad-D. Spagnoletto, Consacrati al Signore …, 2024, p. 59.[↩]
- Aspetto riscontrato anche nelle argenterie delle chiese cfr. A.M. Pedrocchi, Argenti sacri …, 2010, pp. 30-33.[↩]
- ASCER, Archivio Medievale Moderno, b. Miscellanee 17, Conto dei lavori fatti ad uso di argentiere per la Scuola Nuova per ordine del sig. Giacobbe Tagliacozzo deputato, 2 aprile 1855.[↩]
- D. Liscia Bemporad-D. Spagnoletto, Consacrati al Signore …, 2024, n. I. 18, p. 106 (con bibliografia precedente).[↩]
- ASR, Trenta notai capitolini, Istromenti, notaio Fratocchi Pietro, f. 281. In C. Bulgari, Argentieri, gemmari …, p. 524 il nome è indicato Anna Maria Amici.[↩]
- Si veda l’Appendice documentaria.[↩]
- ASR, Trenta notai capitolini, Istromenti, notaio Fratocchi Pietro, f. 302, 22 agosto 1865.[↩]
- ASR, Trenta notai capitolini, Istromenti, notaio Fratocchi Pietro, ff. 280 v-293 r, 22 agosto 1865.[↩]
- ASR, Trenta notai capitolini, Istromenti, notaio Fratocchi Pietro, f. 284 r-v, 22 agosto 1865.[↩]
- Si veda l’Appendice documentaria. La presenza di un tale registro era richiesta dal regolamento cfr. Bando generale per gli orefici …, 1815, p. 15.[↩]
- Si veda l’Appendice documentaria. Cfr. J. Montagu, I modelli degli argentieri, in Ori e Argenti. Capolavori del ‘700 da Arrighi a Valadier, catalogo della mostra (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche 4 aprile- 14 ottobre 2017) a cura di J. Montagu-G. Barucca, Milano 2017, pp. 53-61.[↩]
- Bando generale per gli orefici …, 1815, p. 15.[↩]
- Sul tema si veda Appesi a un filo. Bottoni alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti, catalogo della mostra, Firenze (Galleria del Costume di Palazzo Pitti, 11 dicembre 2007 – 27 aprile 2008), a cura di D. Liscia Bemporad, C. Chiarelli, Livorno 2007.[↩]
- Cfr. M.G. Branchetti, Mosaici minuti romani: collezione Savelli, Roma 2004; F. Leone, Pittura in mosaico, Roma 2023. Anche il regolamento riconosceva nuove regole per la vendita di questa tipologia di lavori visto che si era «introdotto da qualche anno in Roma un genere di negoziazione di Mosaici, Camei, ed altri simili oggetti» (Bando generale per gli orefici …, 1815, p. 18).[↩]
- Nella seguente trascrizione è stata omessa la colonna di calcolo dei valori degli oggetti.[↩]