Matilde Amaturo

Le collezioni di Blanceflor De Bildt Boncompagni tra oriente e occidente

matilde.amaturo@cultura.gov.it
DOI: 10.7431/RIV31092025

La Casa Museo Boncompagni Ludovisi, è un villino in gusto eclettico, la cui costruzione avvenuta tra il 1901 e il 1933 riflette nell’architettura e nelle sue collezioni originarie i gusti dei proprietari Andrea Boncompagni e della sua consorte Alice Blanceflor De Bildt. In particolare gli arredi testimoniano quanto Blanceflor tenesse alla sua formazione internazionale di figlia di diplomatico e quanto la moda dell’eclettismo e del Liberty lasciasse una impronta indelebile negli arredi del villino. La De Bildt rimane come erede e proprietaria dopo la scomparsa del marito nel 1950, e benchè si fosse poi risposata con Adolfo Gancia, senza comunque eredi diretti, decide di lasciare l’edificio con tutto il suo arredo allo stato italiano con un legato testamentario nel 1970, affinché fosse adibito “a scopi artistico-culturali di pubblica utilità1.

Casa museo dell’inizio del XX secolo appartenuta alla famiglia Boncompagni Ludovisi, fu presa in consegna nel 1972 dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, e destinata dal 1994 a centro di promozione e documentazione delle Arti decorative, della Moda e del Costume, inteso come evoluzione del gusto sociale del periodo moderno. Questi diversi ambiti evidenziano una storia del gusto per la bellezza e la qualità di realizzazione dei prodotti esposti in allestimento, mobili, arredi, dipinti e sculture, abiti, accessori di moda che delineano il percorso della ricerca raffinata per il lusso nella società italiana del XIX – XX secolo. L’unione di arredi originari privati e di collezioni successivamente acquisite per volontà istituzionale, hanno prodotto un museo ricco di interferenze e di molteplici ispirazioni creative di eccellenza che delineano la storia, la crescita della cultura e in particolare, nel tempo, del made in Italy. Tutte le opere conservate testimoniano non solo l’evoluzione dei tempi, ma il riconoscimento del valore storico e artistico di beni culturali che in origine erano destinate a un uso privato e oggi sono disponibili alla fruizione pubblica.

Al piano nobile del villino tra arredi, consolles e specchiere definiti come “barocchetto romano”, arazzi fiamminghi del XVII secolo, ricercate carte da parati di gusto esotico naturalistico di manifattura francese del XIX secolo (ispirate al gusto del Settecento), si snodano una serie di mobili che mostrano un duplice binario, tra il fascino dell’oriente e la Francia Luigi XV.

L’ispirazione versata all’orientalismo si esplicita in una serie di mobili in lacca del XIX secolo e preziose porcellane orientali del XVIII secolo, simbolicamente iconiche anche nel gusto dell’uso di stoviglie di produzione sassone, della manifattura di Meissen. La fabbrica che fin dagli inizi del Settecento, produsse con una avanzata ricerca tecnologica, i primi esemplari di porcellana a imitazione cinese.

“Orientalismo” è un termine coniato all’inizio del XIX secolo che indica tanto l’interesse scientifico per l’Oriente quanto il fascino che questo ha esercitato sull’Occidente e che si esprime in una corrente letteraria e artistica di un continente in cui i meccanismi della colonizzazione intellettuale si realizza, si istituzionalizza e si tramanda 2.

Proprio su questo tema si conservano decine di pezzi di porcellana datati al XVIII secolo che ne testimoniano l’amore per il collezionismo e il piacere culturale della raccolta (Fig. 1).

In particolare porcellane cinesi sono una serie di due piatti che si possono riferire al periodo Ch’ien Lung (1736-1796) dal nome dell’imperatore della dinastia successiva alla Ming 3. Durante il suo regno la ceramica pur perdendo inventiva ed originalità, presentavano uno stile di aggraziata eleganza, con una rappresentazione minuta di sfondi naturalistici (fiori e animali) o paesaggi policromi con pagode (Fig. 2). Molte porcellane prodotte in Cina a partire dal XVII secolo e per tutto il Settecento erano sovente eseguite specificamente per il mercato europeo ed esportate grazie alle varie compagnie che curavano i traffici con l’estremo oriente come la famosa Compagnia delle Indie. Esempi specifici nelle collezioni il piatto databile alla seconda metà del Settecento (1760-1780) che presenta caratteri tipici delle porcellane prodotte in Cina e destinate all’esportazione in Europa. Nel nostro caso la decorazione in bianco e blu con motivi floreali all’interno su fondo bianco ed elementi geometrici posti in una grossa fascia esterna a volute intrecciate, rappresenta uno dei repertori più utilizzati 4 (Fig. 3).

 La fortuna di tali oggetti si evince nel diffondersi di una vera e propria moda delle chinoiserie, che porta numerose manifatture europee ad imitare i temi iconografici tipici della ceramica cinese senza più rispettare i criteri iconografici e simbolici della cultura d’origine 5.

Di produzione europea, Manifattura Meissen dei primi decenni del Settecento, di imitazione cinese è la serie di due piatti, che lungo il bordo descrive fiori, foglie, bonsai, piccoli oggetti di arredamento, in colore ocra e oro su fondo in bianco e blu, mentre nella parte centrale sono una dama con un cavaliere in un paesaggio con alberi, fiori e animali 6 (Fig. 4).

Nelle collezioni sono presenti anche piatti di manifattura milanese di Felice Clerici, un imprenditore già fabbricante di tessuti, il quale si propose di battere qualitativamente la già elevata produzione di fabbriche italiane compresa quella della vicina Lodi. Durante la direzione Clerici lavorarono come pittore e modellatore Martinelli e Pasquale Rubati fino al 1756. Il piatto in questione, databile tra il 1755 e il 1775, mostra le qualità del produttore che si esprime in raffinati repertori decisamente eclettici ispirati all’Oriente, rielaborò modelli per i mercati europei, ma anche si ispirò prototipi più originali come Ming e K’ang-Hasi e ripropose modelli olandesi e sassoni (Meissen) creando gradevoli ibridismi 7.

A testimonianza del gusto “orientalista” sono anche gli esemplari degli stipi esposti al museo che appaiono di buona fattura, probabilmente lavoro di un anonimo artigiano inglese attivo tra la fine del XVIII ed i primi del XIX secolo ad imitazione di modelli orientali in legno laccato e intarsiato. Il gusto di decorare gli stipi con cineserie su sfondo nero per poi montarli su consolles di legno dorato e intagliato, rispecchia una moda tipicamente barocca, ma largamente riproposta nei secoli successivi e soprattutto durante l’Ottocento, pervaso da gusto eclettico e storicistico 8 (Figg. 56).

Seguendo gli arredi di gusto eclettico rintracciamo un importante armadio- credenza (destinato a ospitare stoviglie e arredi per la tavola), nella tipologia decorativa riprendono elementi tipici del mobile inglese del seicento benchè la sua fattura sia da riferire ad un artigiano nella prima metà del XIX secolo. La moda dei mobili laccati fenomeno diffuso in tutta Europa, fece sì che molti ebanisti o laboratori inviassero pezzi di fattura europea in Cina ed in Giappone per farli laccare 9 (Fig. 7).

Il gusto di decorare gli stipi con cineserie su sfondo nero per poi montarli su consolles di legno dorato e intagliato, rispecchia una moda tipicamente barocca ma riproposta soprattutto nell’Ottocento, presente tra gli arredi con due stipi pendant nel salone delle Vedute e databili al XVIII-XIX secolo, 1790-1820, di un ignoto artigiano inglese ad imitazione delle lacche giapponesi. Gli esemplari in esame sono caratterizzati da sportelli e fianchi decorati con paesaggi boschivi e pagode. Hanno ricche cerniere in metallo dorato e cesellato con motivi geometrici. All’interno i mobili presentano una serie di cassetti di varie dimensioni con la fronte decorata da piccoli paesaggi o vasi fiorati. Gli sportelli presentano vasi con fiori variopinti o paesaggi acquatici con canne di bambù e fiori.

La tecnica della laccatura consiste nel levigare con pomice e poi ricoprire con lacca un nucleo di legno leggero rivestito di carta speciale o di seta o di canapa. Talvolta la lacca viene incrostata con lamine d’oro, d’avorio, di madreperla etc. L’arte della lacca era conosciuta in Cina sin dal 206 a. C. ed è andata sempre più perfezionandosi attraverso i secoli. Molto note sono le lacche intagliate rosso-brune di Fuchow, quelle intagliate in altorilievo di Chechiang e quelle incrostate con madreperla di Chianghsi. La maggior parte delle lacche si trovano nei vari musei d’Europa provengono dal palazzo imperiale di Pechino dove nel 1600 fu creata una fabbrica che lavorò senza interruzione fino al 1975 10.

L’attenzione per l’Oriente ha sempre occupato un posto speciale nell’esperienza culturale europea e questa peculiarità emerge nella dimora nobiliare dei due coniugi, Andrea Boncompagni Ludovisi e Alice Blanceflor De Bildt, figlia di Karl ambasciatore svedese diplomatico a Roma, dando vita a una variegata consapevolezza dietro alle scelte di ambienti arredati che svelano la multiculturale, ricercata e profonda conoscenza di un mondo altro dall’occidente 11.

A completare il panorama raffinato delle scelte dei coniugi Boncompagni affascinati anche dai modelli settecenteschi di manifattura francese Luigi XV, sono da citare un sécretaire della seconda metà del XVIII secolo. Il mobile dalla forma rettangolare, lastronato in bois de rose, con un bel gioco di venature disposte a formare cartelle a cuore (Fig. 8). La fronte ha una ribalta superiore riquadrata in pelle e due portine sottostanti; all’interno una serie di cassetti e di ripiani a giorno. Le gambe sono a sciabola e il grembiale presenta un motivo sagomato liscio. Le serrature sono in bronzo dorato mentre il piano è in marmo d’Aleppo 12. Lo stile ripropone dei modelli tipici creato dagli ebanisti francesi sotto il regno di Luigi XV (tra il 1722 e il 1774 circa) e della sua favorita Pompadour. La ricerca di maggiore comodità e meno lusso solenne rispetto all’epoca di Luigi XIV, imposero il moltiplicarsi di tipi di mobili di piccole dimensioni. Molto usate le tarsie di legni pregiati e rispetto allo scrittoio nasce il “sécretaire”, composto da un mobile sormontato da cassetti e da un piano ribaltabile. Tra i maggiori ebanisti del periodo spiccano Ch. Cressent (1685- 1768), A. Gaudreaux (ca 1680- 1751), J. Dubois (1693- 1763) e soprattutto J. F. Oeben (ca 1720-1763), che arricchisce con applicazioni in bronzo che seguono le linee di sviluppo di quelle ad intaglio, diventano asimmetriche e fantasiose ricoprendo i profili ed i fianchi.

Infine una serie di deliziosi tavolinetti, conservati ora tra il piano nobile e il secondo piano di raffinate linee architettoniche in stile Luigi XV.

Il comodino ha le gambe “en cabriolet” con zoccolo in bronzo dorato, riunite da un piano rettangolare. Sulla fronte ci sono un cassetto e una tablet estraibile; i fianchi sono decorati con applicazioni in bronzo dorato con motivo a grande foglia, il piano incassato è in marmo bianco (Fig. 9).

 Il “Bonheur du jour”, ha una serie di cassetti disposti sulla metà posteriore del piano, si chiama anche “table a gradin” e divenne uno dei tipi più diffusi sin dalla metà del Settecento 13. Questa tipologia dell’epoca rafforza una ricerca di maggiore comodità, rispetto all’epoca precedente, con la ricerca “di soluzioni utili” si creano tavolinetti per gli usi più svariati, mobiletti talvolta preziosissimi, come quelli adibiti a piccolo scrittoio o a toilette. In questo ambito ritroviamo ancora un comodino e un piccolo scrittoio ora conservati al secondo piano, nelle sale dove un tempo erano le camere da letto.

La scrivania di ottima fattura opera certamente di un ebanista francese nella seconda metà del Settecento (1760- 1790), è in legno lastronato e tarsie in legni pregiati. Ha una forma rettangolare con profili leggermente ondulati e gambe “en cabriolet” calzate da zoccoli in bronzo dorato ripetuti sul ginocchio. Sul davanti presenta tre cartelle rettangolari (due sono cassettini) decorati con intarsi floreali ripetuti anche sulla ribaltina, sui fianchi e sul piano (Fig. 10). All’interno si trovano una serie di cinque cassetti, un piccolo vano a giorno ed un piano lungo, sempre a giorno. L’impiallacciatura con intarsio a “marqueterie” ricordano le preziose creazioni dei mobilieri attivi nel periodo Luigi XV come i bellissimi tavolini per signora intarsiati a motivi geometrici e floreali da Jean François Oeben (ca 1721-1763) attivo nel periodo di transizione tra Luigi XV e Luigi XVI. Molto eleganti sono anche le applicazioni in bronzo cesellato che arricchiscono il mobile. L’arte della lavorazione del bronzo raggiunse in Francia un livello di altissima qualità, tra i migliori artisti vi fu Jean Caffieri (1673-1755), di raffinato gusto rocaille, che ebbe una influenza sull’evoluzione della decorazione durante l’epoca di Luigi XV 14.

Questi due estremi Settecenteschi di Oriente e Occidente appena citati, sono insieme a tutti gli altri arredi un variegato complesso di produzioni europee tra manifatture di ceramica, mobili, tessuti, dipinti e sculture di produzione italiane, francesi, inglesi, svedesi, fiamminga, di epoche che spaziano dall’archeologia alla “modernità”, tutte testimonianza di un mondo culturale vastissimo, che potremo definire geograficamente come appartenenti a tutto il globo terracqueo conosciuto, simbolicamente e iconicamente rappresentati dal mappamondo in pergamena, ricoperto da incisioni a spicchio di Matthias Greuter (Strasburgo 1564 – Roma 1638), altro pezzo unico degli arredi Boncompagni- De Bildt 15 (Fig. 11).

Un mondo racchiuso in un edificio, già testimone di una famosa Villa Ludovisi del Seicento scomparsa, ma ancora oggi  raffigurata sulle pareti decorate a tempera del Salone centrale detto “delle Vedute”, una luogo della cultura, catalogo multiforme delle Arti, dall’epoca romana alla contemporaneità, scrigno della complessità e multidisciplinarietà che un piccolo museo può presentare alla meraviglia della conoscenza umana 16.

  1. Molti degli arredi provengono dalla casa paterna di Alice Blanceflor che portò con sé al momento della coabitazione anche la vasta biblioteca “classica” del padre Karl De Bildt. Cfr. M. Amaturo, Il Museo Boncompagni Ludovisi, la storia e le prospettive di una casa museo del XX secolo, in Il Museo Boncompagni Ludovisi. Guida breve, a cura di M. Amaturo, Roma 2018 pp. 11- 20. In particolare, per il gusto dell’arredo cfr.  V. Filamingo, Storia e arredi originali, in Il Museo Boncompagni Ludovisi, 2018, pp. 21-32.[]
  2. E. Manera, Orientalismo. L’immagine dell’Oriente come “l’altro” della cultura europea, Novecento.org, n. 4, giugno 2015. DOI: 10.12977/nov72.[]
  3. Il bordo esterno dei due piatti è decorato con motivi a rombo ocra e oro, mentre il fondo interno del piatto reca motivi iconografici tipici dell’oriente cinese, piccoli paesaggi con le pagode. I colori predominanti sono il bianco e il blu combinati con altre cromie. (cfr. schede NN. Cat. Gen. 12/00491408, 12/ 000491378, 12/ 000491379). Altri piatti ancora di manifattura cinese (1760-1780) recano nel bordo esterno piccoli rami di fiori variopinti, all’interno motivo geometrico fa da cornice ad una coppia di uccelli esotici rappresentati tra fiori colorati (cfr. schede OA N. Cat. Gen. 12/00491380; N. Cat Gen. 12/0049151).[]
  4. Decorazione descritta come “vecchia Nanchino” perché manifattura cinese che veniva importata dalla Compagnia delle Indie dal porto di Nanchino fin dal XVII secolo. Vedi Museo Archivio Boncompagni Ludovisi, scheda OA, 1997, a cura di M. Locchi, L Possanzini Petrecca, funzionario responsabile G. Piantoni (N.Cat Gen.12/00491484).[]
  5. Cfr. schede OA, 1994 cura di M. Locchi, L. Petrecca Possanzini, funzionario responsabile G. Piantoni. (N. Cat Gen. 12/00491409).[]
  6. Cfr. L. Possanzini Petrecca scheda OA (senza numero di cat gen.) viene analizzata una serie di due piatti che nel fondo hanno rappresentati una coppia in un paesaggio tra fiori e animali esotici, opera in cui la manifattura tedesca mostra i primi prodotti nella riproduzione della tecnica della porcellana orientale, pur utilizzando in modo più occidentale i temi decorativi di imitazione cinese. Cfr. M. R. Spinetti, Le porcellane di Meissen nelle collezioni di Alice Blanceflor in Museo Boncompagni Ludovisi. Guida breve 2018, pp. 33-38.[]
  7. Cfr. Scheda OA 1994, a cura di L. Possanzini Petrecca, trascrizione M. Locchi 1997, N. Cat Gen  12/00491396. Cfr. Fig 1 Felice Clerici, seconda metà XVIII, Piatto con decorazioni policrome (vetrina primo ripiano in alto, al centro).[]
  8. Cfr. Archivio Casa Museo Boncompagni Ludovisi e ICCD scheda OA,1994, N. Cat. Gen. 12/00491380 a cura di M. Locchi, L. Petrecca Possanzini, funzionario responsabile G. Piantoni.[]
  9. Cfr. M. Locchi M., scheda OA, 1997, n. cat. gen. 12/00491490; Petrecca Possanzini, schede OA, 1994, n cat. gen.  12/00491466.[]
  10. Cfr. L. Petrecca Possanzini, 1994, scheda citata[]
  11. Cfr V. Filamingo, Storia e arredi originali, in Il Museo Boncompagni Ludovisi. Guida breve, a cura di M. Amaturo, Cit, pp. 21-32.[]
  12. Schede OA, 1994, L. Petrecca Possanzini; 1997 M. Locchi, n. cat. gen. 12/00491447; funzionario responsabile Gianna Piantoni.[]
  13. Il termine Bonheur du jour si ritiene sia stato usato per la prima volta in un inventario del duca di Villars nel 1770. Cfr Schede OA, 1994, L. Petrecca Possanzini; 1997 M. Locchi., n. cat gen 12/00491437; funzionario responsabile Gianna Piantoni.[]
  14. Schede OA, 1994, L. Petrecca Possanzini; 1997 M. Locchi, n cat gen 12/00491445; funzionario responsabile Gianna Piantoni.[]
  15. Cfr. V. Filamingo, Storia e arredi originali, in Il Museo Boncompagni Ludovisi. Guida breve, cit.  2018, p. 29.[]
  16. Cfr.  V. Filamingo, Storia e arredi originali, 2018, op. 26. Le Vedute della Villa Ludovisi sono tratte da un centinaio di vedute e scorci fotografici fatti eseguire da don Ignazio Boncompagni principe di Venosa tra il 1883, anno in cui Rodolfo e Ignazio decisero di lottizzare il terreno occupato dalla Villa e il 1885, quando inizia la distruzione dei giardini Cfr. https://simartweb.comune.roma.it/dettaglio-bene/-415672984. Altri due album con le medesime immagini sono conservati uno presso l’Archivio Fotografico nazionale-ICCD, e uno presso l’Archivio Segreto Vaticano.[]