Roberta Civiletto

Il mito, il filo, l’inchiostro. La coppia di quadretti a fili incollati con soggetti mitologici nella collezione di villa Malfitano

roberta.civiletto@libero.it
DOI: 10.7431/RIV31052025

La grande suggestione esercitata fra Cinquecento e Seicento dalle Metamorfosi di Ovidio sulla produzione iconografica, declinata nei diversi ambiti artistici, trova straordinarie testimonianze anche nel ricamo 1. La struttura narrativa del poema latino, organizzata in episodi mitologici tra loro connessi, insieme alle numerose edizioni illustrate del testo ovidiano ad opera di grandi incisori 2, hanno certamente favorito la fortuna di particolari soggetti e semplificato la loro traduzione nelle versioni ad ago o in altre varianti tecniche di questo settore artistico, che per l’elevato livello estetico raggiunto, in particolar modo durante il Barocco, era in grado di competere con quello della pittura. È il caso di due quadretti ricamati con soggetti mitologici che figurano nella ricca collezione d’arte messa insieme da Joseph Whitaker e dalla moglie Tina Scalia nella loro ottocentesca villa palermitana a Malfitano: una eterogenea raccolta di tesori databili tra il XVI e il XIX secolo che rispecchia il gusto eclettico dei proprietari 3.

I quadri, di piccole dimensioni, pensati in pendant ed inscritti entro cornici lignee dorate, riproducono scene tratte dal libro primo delle Metamorfosi, in particolare la storia di Apollo e Dafne (I, 452-567), (Fig. 1) e quella di Giove e Licaone (I, 163-243), (Fig. 2) 4. Nel primo caso l’episodio fa riferimento al momento in cui Apollo, dopo aver ucciso il serpente Pitone, suscita l’indignazione di Cupido vantandosi con lui dell’impresa compiuta. Questo, per vendetta, trafigge il dio con la freccia d’oro che fa innamorare e invece la ninfa Dafne con la freccia di piombo che fa rifuggire l’amore. Apollo si invaghisce immediatamente della fanciulla, figlia del dio-fiume Peneo, al contrario di Dafne, che colpita dalla freccia di piombo, alla visione del dio scappa. Inizia tra i due un estenuante inseguimento, finché, ormai quasi sfinita, la ninfa giunge presso il fiume Peneo e chiede al padre di mutare la sua forma. Dafne si trasforma così in albero d’alloro prima che il dio sia riuscito ad averla.

L’altro quadretto narra la vicenda di Licaone, re dell’Arcadia, illustrando la scena in cui Giove, per mettere alla prova l’umanità, si reca nella sua dimora. Il sovrano, invece, volendo verificare la sua divinità, medita di ucciderlo ma prima di ciò imbandisce un banchetto di carne umana per l’ospite. Giove, allora, adirato dall’immoralità del re, dà fuoco alla sua casa e lo trasforma in un feroce lupo destinato a cibarsi di carne umana. La tecnica che contraddistingue queste raffigurazioni è quella del “ricamo a fili incollati”, nota anche con le definizioni di broderie à fils collés o tableau à fils collés, una particolare pratica artistica, a metà tra il ricamo e la pittura, nata nel secolo XVII, diffusa in varie parti d’Europa e ampiamente consolidatasi nell’Italia Meridionale, in particolar modo nel Salento, tra la fine del Seicento e gli inizi dell’Ottocento. Quadretti di medio e piccolo formato, con un repertorio iconografico costituito da soggetti a carattere sacro o ispirati a temi epici, di costume e mitologici, realizzati con fili di seta policroma e fili in argento o oro riant, accostati tra loro su supporto in cartone incerato, insieme a ritagli sagomati di stoffa o di carta dipinti a tempera, erano diffusi in molte dimore private e chiese. Alla base dell’iconografia della produzione Settecentesca, spesso non era più il modello direttamente fornito dall’artista quanto piuttosto celebri dipinti contemporanei o stampe. L’uso delle incisioni come riferimento per tracciare il disegno di base, talvolta addirittura in sostituzione di questo, consentiva la riproducibilità di temi famosi, generalmente con leggere varianti interpretative dettate dall’autore o dalla committenza, all’interno di botteghe specializzate, nel caso degli esemplari di maggiore importanza, ma rendeva possibile la lavorazione anche in ambito conventuale, soprattutto ad opera della mano femminile di religiose 5. Il procedimento del ricamo a filo incollato comportava diverse fasi che richiedevano la sovrapposizione di più materiali, grande abilità e cura del dettaglio. Su un pannello di cartone pressato semi flessibile, che faceva da supporto al disegno preparatorio tracciato con linee essenziali, veniva stesa la cera a caldo in uno strato molto sottile tanto da risultare trasparente e rendere ben visibile il disegno sottostante. Si procedeva quindi all’incollaggio dei filati, riscaldando nuovamente il film ceroso per porzioni, sulle quali erano poi stesi i fili di seta e i fili in argento o oro riant secondo campiture di colore giustapposte, che si saldavano alla superficie in seguito al raffreddamento della cera. Il filo veniva disteso senza essere tagliato ma ripiegato su sé stesso, presumibilmente con l’ausilio di strumenti metallici e spilli infitti nella superficie, producendo le peculiari curvature che connotano i manufatti eseguiti con questa tecnica. La disposizione dei fili, serratamente accostati, seguiva spesso l’andamento delle forme da campire, creando in tal modo texture grafiche e suggestivi effetti luministici. Per rendere i volti e gli incarnati dei personaggi erano usati inserti di carta o di stoffa, quasi sempre in raso, dipinti a tempera, sagomati secondo le silhouettes delle figurazioni 6.

L’elaborazione dell’originale procedura si inserisce in quella tendenza volta alla ricerca materica e tridimensionale, nonché alla sperimentazione di nuovi metodi esecutivi, più rapidi, che caratterizzò l’arte del ricamo sul finire del Seicento. Accanto all’ago pittura o ricamo dipinto, eseguiti a punto raso e a fili distesi, si introducono e diffondono in Italia tre varianti tecniche, sebbene connotate da diverse peculiarità regionali: quella a filo incollato, il collage di tessuti, carta o stagnola policroma, il ricamo combinato, che associa il lavoro ad ago a quello a fili incollati 7. Queste categorie di ricamo, in particolare, le opere a filo incollato, erano considerati oggetti alla moda, perfettamente in linea con la domanda dettata dal gusto del tempo, incline al collezionismo di miniature, divenendo popolari in numerose raccolte, non solo nei più importanti centri del Viceregno, tanto da entrare a far parte delle quadrerie di nobili dimore dell’Italia Settentrionale ma anche straniere o essere considerati pregiati doni nuziali 8. La produzione, costituita prevalentemente da quadretti ornamentali o per culto privato, annovera anche esempi di rappresentazioni inserite in paliotti, applicate sui coperchi di scatole e piccoli cofanetti.

Solo abbastanza recentemente queste opere sono state indagate da studi specialistici che hanno consentito di conoscere maggiormente un settore artistico estremamente ricco e variegato, sia sul piano iconografico sia su quello esecutivo, facendo luce su alcuni autori di elevata qualità espressiva 9. Sebbene non sia ancora emerso dalle ricerche un chiaro inquadramento geografico della diffusione di questa singolare manifattura è, tuttavia, certo che in Puglia si era venuta a creare una vera e propria comunità di artisti specializzati della quale facevano parte Leonardo e Amato Quesi, documentati sulla fine del Seicento, Angelo e Gaetano Pati, anche loro presumibilmente attivi fin dalla fine del XVII secolo, e le sorelle Marianna e Irene Elmo, operanti dalla metà del Settecento 10.Tra gli esponenti della scuola salentina Settecentesca si distingue proprio la leccese Marianna Elmo, che per la sua intensa attività ed un tratto stilistico raffinato si affermò in Puglia e in buona parte dell’Italia Meridionale.  Oronza Marianna Joanna Francesca Antonia Elmo (Lecce 3 gennaio 1730 – ?), figlia del pittore Serafino Elmo, terzogenita di otto figli, si forma artisticamente nella bottega del padre, dove esercitavano anche i fratelli, anch’essi pittori 11, e la sorella minore Irene, anche lei esperta nel ricamo a fili incollati 12. Nell’entourage della bottega di famiglia è accertata, inoltre, l’esistenza di una Marianna Elmo di due generazioni precedenti, presumibilmente zia di Serafino, operante nella seconda metà del Seicento, la cui attività fu ipotizzata dal Foscarini, biografo degli artisti salentini, condivisa dalla Gelao 13, e poi confermata dalla Cougart-Fruman 14 in seguito al ritrovamento di un quadro firmato “Mariaña Elmo” e datato 1690, in pendat con un secondo, affine ad esso per misure, tema veterotestamentario, fattura elevata e linguaggio stilistico. A questi, più recentemente, altri due esemplari sempre con soggetti veterotestamentari, le sono stati assegnati dopo un’accurata rivalutazione tecnica e stilistica 15. La coppia dei quadretti della collezione Whitaker, confermando la tradizione tecnica dei ricami a fili incollati, ha alla base due prototipi iconografici a stampa riconducibili all’olandese Hendrik Goltzius (1558-1617), uno dei massimi esponenti del Manierismo nordico, disegnatore, incisore e pittore. L’artista fiammingo, collaborato da un gruppo di artisti appartenenti alla sua cerchia, illustrò i primi quattro libri delle Metamorfosi di Ovidio, arrivando a realizzare una serie di cinquantadue acqueforti, molte delle quali da lui stesso disegnate ed incise, altre da lui inventate ma incise dagli artisti della sua bottega. Il lavoro, eseguito tra il 1589 e il 1615, fu elaborato dopo un attento studio delle precedenti edizioni illustrate del poema, soprattutto del testo Le Metamorphose d’Ovide Figurée con le xilografie di Bernard Salomon, pubblicato a Lione nel 1557, che costituì per Goltzius un fondamentale riferimento 16.

Il quadretto con Apollo e Dafne ricalca con rigorosa fedeltà l’acquaforte di Goltzius, datata tra il 1589-1590 circa, da cui è però esclusa l’iscrizione con versi latini presenti, invece, su tutte le incisioni 17. Seguendo lo schema canonico adottato per le illustrazioni del poema, egli concepisce la rappresentazione in modo narrativo, fondendo vari momenti successivi del racconto ma introducendo importanti novità sia sul piano compositivo che sul linguaggio formale (Fig. 3). L’evoluzione apportata dall’artista alla tradizionale impostazione disegnativa, caratterizzata generalmente dalla presenza dei protagonisti degli episodi anche più volte nella stessa immagine, si evidenzia nella scelta di costruire una sapiente gerarchia di figurazioni e di piani prospettici capaci di enfatizzare in modo teatrale i punti focali dell’episodio, pur mantenendo una relazione con l’evento antecedente. Goltzius spinge sullo sfondo sia la morte del serpente Pitone che la disputa fra Cupido ed Apollo, mostrando il dio dell’Amore nell’atto di scoccare la freccia che fa innamorare l’antagonista. L’attenzione è tutta concentrata sul gruppo principale di Apollo e Dafne posto in primo piano, fissato nel momento drammatico in cui Apollo, con l’arco in mano, sta per afferrare Dafne. Il dio, ancora in movimento, ha quasi raggiunto la ninfa alle spalle, mentre questa si gira violentemente dalla parte opposta per riprendere la fuga. Nella scena non compare il dio fiume Peneo, a cui Dafne aveva chiesto di trasformarla affinché il dio non l’avesse, ma il suo desiderio si sta già compiendo: le mani ed i capelli della fanciulla hanno, infatti, già assunto la forma di foglie d’alloro e il corpo si sta mutando del tutto, bloccandosi in quella posa. Adottando una sintesi temporale, l’artista contrae le fasi del racconto e mostra Apollo già con una corona di foglie d’alloro intrecciate sul capo, segno dell’avvenuta elezione dell’alloro come pianta a lui sacra, in memoria del suo amore per Dafne. Il contrasto tra il paesaggio scabro e roccioso, nella stampa reso attraverso l’uso di tratti fitti e sottili, e il movimento dinamico e rotatorio dei corpi, enfatizzato dai panneggi mossi dei due protagonisti, contribuisce a sottolineare il pathos dell’evento raffigurato.

Anche il secondo quadretto (Fig. 4), al pari del precedente, mostra una sorprendente adesione all’incisione dell’autore fiammingo, datata al 1589, fatta eccezione per l’eliminazione dell’iscrizione in versi e la semplificazione di un minuto particolare. La composizione, secondo un linguaggio formale coerente con il resto della serie di Goltzius, propone una sintesi sincronica dei fatti, centrando la narrazione sul topos della trasformazione 18. La scena si svolge in un interno, la casa di Licaone stesso. In primo piano, sulla destra, compare Licaone mentre si sta trasformando in animale, già con la testa di lupo, le vesti strappate, il corpo parzialmente coperto di peli, descritto nell’atto di fuggire terrorizzato, contrariamente a quanto racconta Ovidio nel poema, in cui Giove, dopo aver bruciato la reggia, trasforma Licaone in lupo nel bosco dove il tiranno si era rifugiato. Il dio è seduto sotto un sontuoso baldacchino tessile, davanti alla tavola imbandita con carni umane e solleva il braccio sinistro come per avviare la terribile punizione. Ai suoi piedi è visibile l’aquila, usuale attributo iconografico di Giove, che rivolge lo sguardo verso Licaone. Dietro il tavolo un servo con in mano una brocca, indietreggia spaventato da ciò che sta accadendo. In secondo piano si nota la reggia di Licaone in fiamme dopo che la divinità ha scagliato un fulmine per incendiarla. Nell’incisione di Goltzius è descritto sul piano di fondo, in lontananza, il momento in cui il re dell’Arcadia fa sgozzare un ostaggio per farne cuocere le membra, scena non più presente nella trasposizione a ricamo, probabilmente una scelta indotta dai limiti della complessa tecnica esecutiva (Fig. 5). Le versioni a fili incollati tratte dalle tavole grafiche dell’artista olandese si distinguono per una qualità esecutiva straordinaria. La loro raffinatezza emerge non solo dal livello di dettaglio raggiunto e dall’aderenza al modello originale, dove ogni tratto del disegno di Goltzius è riprodotto con meticolosa precisione, concordanza stilistica e compositiva, ma anche dall’originale interpretazione in chiave coloristica e materica. Il linguaggio drammatico e mosso, tipico del Manierismo nordico, che connota il modello a stampa, viene qui mitigato dalla delicatezza cromatica del filato serico e dalle preziose lumeggiature ottenute con i fili in oro e in argento riant, conferendo alle raffigurazioni un grande equilibrio. La scelta dei filati policromi è basata prevalentemente sulla tenue gamma dell’azzurro, del celeste, del grigio, dell’avorio, dell’ocra e del marrone giocata, nell’accostamento delle sete, con sapienti trapassi sfumati che raggiungono un risultato dal forte pittoricismo. Il filato marrone è impiegato con particolare sensibilità cromatica per definire le ombreggiature fortemente contrastate e ottenere, insieme alle sottili lumeggiature argentate e dorate, una marcata plasticità soprattutto nelle rappresentazioni in primo piano. L’effetto è completato dalle figure in raso di seta dipinto a tempera, definite con un’attenzione particolare ai volumi e alla tridimensionalità. Nell’Apollo e Dafne le figure emergono nettamente dallo sfondo – un paesaggio brullo la cui descrizione è affidata ai toni dell’ocra e al vibrante andamento sinuoso dei filati – grazie ad uno stile plastico e vigoroso. Spicca, invece, la resa sontuosa degli ambienti interni, accuratamente delineati, nel quadretto con Giove e Licaone raggiunti attraverso suggestivi effetti luministici che esaltando i punti focali dell’immagine determinano un aspetto tridimensionale alle figure. L’elevata qualità di queste opere, caratterizzate da alta perizia esecutiva, rimanda alla manifattura della scuola leccese e in particolare alla bottega di Marianna Elmo. Ma una serie di indizi fa propendere l’attribuzione verso la Marianna Elmo senior, ovvero la zia di Serafino Elmo. Nonostante non appaia la sua firma, che per la Elmo senior come per l’altra Marianna, era solitamente ad inchiostro, apposta su un tassello di raso sagomato in forma di sasso, nel margine inferiore della rappresentazione, in questo caso probabilmente staccatosi (Fig. 6), si rileva nei quadretti la cifra stilistica dell’artista leccese, che unisce eleganza formale, raffinatezza cromatica e plasticismo, nonché la derivazione dei soggetti da prototipi a stampa. La nostra coppia di opere trova poi stringenti corrispondenze formali con i quadretti della collezione Fruman, titolati Giaele e Sisara e Mosè salvato dalle acque 19 (Fig. 7), e con altri due, di collezione privata, a lei attribuiti Abramo che conduce Isacco sulla via del sacrificio e Giuseppe davanti al faraone 20. In tutti si riscontra il prevalere delle tinte chiare, che unitamente al loro digradare tonale, determina una grande luminosità. Altri elementi accomunano il nucleo di opere: la meticolosa precisione descrittiva di ogni dettaglio, l’armonia formale ed un marcato pittoricismo. Il soggetto mitologico dei quadretti della collezione Whitaker di villa Malfitano, del resto, ben si inserisce in un filone tematico particolarmente diffuso alla fine del Seicento in questa variante tecnica di ricamo, come attestato dai quattro ricami a fili incollati, databili alla fine del XVII secolo, attribuiti a Leonardo Quesi, appartenenti alla collezione dei duchi di Guarini a Scorrano, due di questi raffiguranti scene tratte dalle Metamorfosi di Ovidio 21. La proposta di assegnare i quadretti di villa Malfitano alla mano di Marianna Elmo senior colloca la loro realizzazione tra la fine del Seicento e l’inizio del secolo successivo e riflette il gusto di una committenza raffinata e colta che predilige un’iconografia ispirata a temi umanistici, con forti connotazioni allegoriche, anche nel caso di piccoli esemplari da collezionare come “miniature da parete”, apprezzati principalmente per il loro carattere di “curiosità” derivante dalla particolare tecnica esecutiva. Lo stesso interesse verso minute opere polimateriche che mostrano elaborate procedure di realizzazione, può aver spinto i coniugi Whitaker all’acquisizione della coppia di raffinati esemplari, aspetto, questo, confermato dal fatto che nella loro collezione sono inclusi anche un collage di tessuti dipinti e stagnola policroma, di ignoto artista siciliano della seconda metà del XVIII secolo (Fig. 8), raffigurante la Sacra famiglia e un quadretto ad ago pittura su supporto cartaceo, anch’esso attribuibile a manifattura siciliana, databile tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo,  riproducente un uccello esotico dal vistoso piumaggio policromo (Fig. 9).

Il primo quadretto si inscrive nella produzione di collages dalla marcata connotazione materica, la cui tecnica è caratterizzata dall’incollaggio, su supporto in cartone foderato, di ritagli sagomati di stoffa, carta o altro materiale, poi profilati lungo le sagome da sottili fili cartacei, emulante nell’insieme il ricamo ad appliquè. Tale manifattura, ampiamente richiesta dai collezionisti dell’élite siciliana, annovera un gruppo di artefici palermitani dalla grande perizia tecnica, operanti tra la seconda metà del Settecento e gli inizi dell’Ottocento. L’inedito collage della collezione Whitaker, raffinato nella meticolosa descrizione della tradizionale iconografia sacra e nella delicata coloritura ad acquerello degli inserti serici, che con grande virtuosismo allude ad un autentico ricamo ad appliquè, può essere accostato al variegato repertorio  dell’artista palermitano Gaetano Ognibene, vissuto nella seconda metà del XVIII secolo, noto per aver realizzato numerosi collages  a soggetto religioso, storico e di costume con uno stile particolarmente incline al risultato pittorico e alla resa bidimensionale delle raffigurazioni 22. Il minuto ricamo ad ago su fondo in cartoncino, invece, riproduce a punto raso, piatto ed erba, con filati serici policromi, una particolare specie di uccello del paradiso, avendo cura dei dettagli morfologici e del suo ricco piumaggio. Il soggetto dell’opera trova perfetta collocazione tra gli arredi della villa Malfitano e sembra rispondere agli interessi naturalistici dello stesso Giuseppe Whitaker, che circondò la sua dimora di una ricca vegetazione esotica e raccolse in un piccolo padiglione del parco undicimila esemplari di uccelli imbalsamati, recuperati nei vari viaggi in Africa.

  1. L’esposizione, curata da Maurizio Vitella, dal titolo Exempla Moralia.“Arazzi” siciliani ricamati del XVII secolo, (Palermo, Pinacoteca di Villa Zito, 19 dicembre 2024 – 23 febbraio 2025) – catalogo della mostra a cura di M. Vitella con presentazione di M.C. Di Natale, Palermo 2025 – ha costituito un’occasione per rendere nota una specifica produzione a ricamo di elevatissima qualità estetica e tecnica, nonché di sottolineare come il tema delle Metamorfosi di Ovidio abbia rappresentato una straordinaria fonte di ispirazione per numerosi capolavori afferenti a questa categoria artistica. La mostra ha, inoltre, consentito un esame più ravvicinato e approfondito sulle declinazioni tecniche elaborate dagli artisti siciliani del ricamo e offerto la possibilità di conoscere opere ancora inedite, conservate in collezioni private. Nell’ambito dell’esposizione sono stati inseriti anche i due quadretti in esame.[]
  2. Numerose furono le edizioni illustrate a stampa delle Metamorfosi. Grande rilevanza e diffusione ebbe la serie di disegni di Perino del Vaga, incisi da Gian Giacomo Caraglio, eseguita nel 1527, le illustrazioni xilografate presenti nel testo Le trasformazioni di Ludovico Dolce, stampato a Venezia nel 1553, quelle tratte dal volume del francese Bernard Salomon Le metamorfe sen d’Ovide figurée, stampato per la prima volta a Lione nel 1557. Queste ultime costituirono il modello per le illustrazioni ovidiane successive, in particolare per le 150 incisioni di Antonio Tempesta, contenute nelle Metamorfosi di Ovidio, stampate nel 1606 ad Anversa da Pieter de Iode I, e quelle di Hendrik Goltzius, eseguite tra il 1589 e il 1615. Quasi tutte queste versioni di immagini rimandavano nell’impostazione al Picta Poesis di Barthélemy Aneau (1552), testo di emblemi che accosta poesia e pittura. Cfr. R. Civiletto, Storie di seta Figurazioni mitologiche su tre tessuti siciliani del XVII secolo, in Exempla Moralia…,2025, pp.103-111. Per approfondimenti sulla traduzione a ricamo delle incisioni del Tempesta, si rimanda al saggio di M. Vitella Gli Exempla Moralia di casa Branciforti, in Exempla Moralia…, 2025, pp. 11-36.[]
  3. Joseph Isaac Spadafora Whitaker e Caterina Paolina Anna Luisa Scalia si sposarono nel 1883. Entrambi esponenti della comunità anglo-sicula e dell’alta società palermitana della Bella Époque, furono testimoni di una raffinata cultura cosmopolita e molto sensibili agli interessi artistici che promossero attraverso diverse iniziative. Joseph, oltre che imprenditore è ricordato come archeologo e ornitologo mentre Tina fu cantante lirica, storiografa e collezionista di arti decorative. I coniugi misero insieme una raccolta frutto di acquisti presso antiquari o nel corso di viaggi. L’attenzione rivolta dai Whitaker all’arte tessile non sfuggì alla studiosa inglese E. Jackson che durante la sua visita presso villa Malfitano, per conoscerne i preziosi arredi e le opere d’arte lì custoditi, osservò con interesse i tessuti della collezione, in particolare gli arazzi; cfr. E. Nevill Jackson, A student in Sicily, Londra 1926, p. 17; sullo studio della Jackson s.v. S. Intorre, Sicilily’s Prime. Il viaggio nelle Arti Decorative siciliane di Emily Nevil Jackson, Artes 29, collana diretta da M. C. Di Natale, Palermo 2022.[]
  4. Apollo e Dafne, n. inv. 71, h 43 x l 55 cm; Giove e Licaone, n. inv. 69, h 43 x l 55 cm.; s. v. R. Maiorana, Catalogo delle opere, in Exempla Moralia…, 2025, pp. 130-131.[]
  5. R. Civiletto, S. Rizzo, Nobili trame. L’arte tessile in Sicilia dal XII al XIX secolo, Catania 2017, p. 325.[]
  6. M. Rizzini, Appunti per una storia della tecnica a “filo incollato”, in Il filo di Marianna. Marianna Elmo quadri a fili incollati e collages nell’arte meridionale del Settecento, catalogo della mostra (Bari, Pinacoteca Provinciale, 13 dicembre 2003 – 31 gennaio 2004), a cura di C. Gelao, Lavello (PZ) 2003, pp. 11-45; R. Civiletto-M. Sebastianelli, Sovrapposizioni e differenze tecniche nell’ago pittura, nel ricamo a fili incollati e nei collages. Inediti e poco noti quadri ricamati in Sicilia, in Ricamata Pittura. Marianna Elmo e l’arte dei fili incollati nell’Italia Meridionale del Settecento, catalogo della mostra (Lecce, MUST-Museo Storico della città di Lecce, 21 marzo-21 settembre 2021), a cura di G. Lanzilotta, Mottola 2021, pp. 55-86.[]
  7. R. Civiletto-M. Sebastianelli, Sovrapposizioni e differenze…, 2021, pp. 77-86.[]
  8. Nella ricca collezione che Filippo V ed Elisabetta Farnese, riunirono nel Palazzo Reale di Madrid, figura un nucleo di quadri realizzati con questa tecnica, firmati dal ricamatore Andrea Rocchi, di origine veneziane ma operante a Napoli tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento, mentre un ritratto a fili incollati della regina Elisabetta Farnese è ad opera del leccese Angelo Pati. Nelle collezioni reali spagnole si conserva, ancora, un quadro a fili incollati, assegnato ad un ignoto ricamatore spagnolo, raffigurante l’Arcangelo Michele, il cui modello di base è una stampa eseguita da due artisti catalani: il pittore Antonio Ricarte e l’incisore Vincente Galcerán. Cfr. Pilar Benito Garsia, Sete come pennelli. Quadri a fili incollati nella collezione reale spagnola, in Il filo di Marianna…, 2003, pp. 109-120. Alcuni manufatti eseguiti nel 1723 con questa metodologia, su commissione di Alberto Amedeo II di Savoia, firmati dal ricamatore Claudio Girard, si trovano nelle collezioni di Palazzo Madama a Torino. Cfr. M. Rizzini, Appunti per una storia della tecnica…, 2003, pp. 39-44.[]
  9. Per approfondimenti si segnalano, oltre al già citato volume, Il filo di Marianna…, 2003 a cura di C. Gelao, alcuni fondamentali studi che hanno contribuito ad accendere un focus tematico su questo genere artistico: T. Fittipaldi, Serigrafia, ricami, collages a Napoli dal secolo XVII al secolo XIX, nelle Collezioni del Museo Nazionale di San Martino, in “Arte Cristiana”, a. 71, n. 699, 1983, pp. 327-362; Artificio e Realtà. Collages palermitani del tardo Settecento, catalogo della mostra (Palermo, Palazzo Abatellis, 21 novembre 1992 – 31 gennaio 1993), a cura di V. Abbate, E. D’Amico, Palermo 1992; Il filo di Marianna…, 2003; E. D’Amico, M. Sebastianelli, Due inediti quadretti a fili incollati di Marianna Elmo, in OADI. Rivista dellOsservatorio per le Arti Decorative in Italia, Osservatorio per le Arti Decorative in Italia “Maria Accascina”, anno 3, n. 5, giugno 2012, Palermo 2012, pp. 88-105; J. Cougard-Fruman, Sur les ateliers de broderie en fils collés de l’Italie méridionale aux XVIIe et XVIIIe siècles, in Les acteurs de la broderie. Qui brode quoi et pour qui ? a cura di D. Véron-Denise, F. Cousin, Parigi 2014, pp. 87-94 ; R. Civiletto, S. Rizzo, Nobili trame. L’arte tessile in Sicilia dal XII al XIX secolo, Catania 2017, p. 325; Ricamata Pittura…, 2021; C. Minenna, Il filo di Quesi, la matita di Ferri e la punta di Bloemaert. Un quadro ‘a fili incollati’ alla Galleria Nazionale della Puglia, in Studi Bitontini Centro Ricerche di Storia e Arte, Bitonto 111-112, 2021, pp. 27-43.[]
  10. Cfr. M.L. Rizzini, Appunti per una storia…, 2003, pp. 35-46.[]
  11. Cfr. M. Loiacono, Gli Elmo. Una famiglia di artisti, in Il filo di Marianna…, 2003, pp. 25-28; Idem, Il racconto del filo nelle mani gentili di casa Elmo, in Ricamata Pittura…, 2021, pp. 41-51.[]
  12. Cfr. M. Loiacono, Il racconto del filo…, 2021, p. 41.[]
  13. Cfr. A. Foscarini, Arte e artisti di Terra d’Otranto: tra Medioevo ed età moderna, a cura di P.A. Vertugno, Lecce 2000, p. 105; C. Gelao, Il filo di Marianna. Appunti e ipotesi su Marianna Elmo e su altri ricamatori leccesi sei-settecenteschi, in Il filo di Marianna…, 2003, pp. 15-24.[]
  14. J. Cougard-Fruman, Les acteurs de la broderie …, 2014, pp. 87-94.[]
  15. R. Civiletto, schede nn. 3-4 in Ricamata pittura…, 2021, pp. 115-121.[]
  16. Hendrick Goltzius, risentì molto dell’influenza di Parmigianino e del Barrocci, conosciuti durante il soggiorno italiano, ma soprattutto di Spranger; proprio con Sprangher egli intraprese la sua produzione tratta dalle Metamorfosi. Goltzius aveva progettato una serie di 300 incisioni, di cui furono pubblicate solamente 52. Cfr. Il Manierismo di Haarlem, a cura di G. Faggin, in “I Maestri del colore”, n. 205, 1966; The illustrated Bartsch. Netherlandish artists. Commentary: Hendrick Goltzius, a cura di W. L. Strauss, New York 1982, 3, vol. 1, p. 317, n. 40; Da Bruegel a Goltzius: specchio dell’antico e del mondo nuovo: incisioni fiamminghe e olandesi della seconda metà del Cinquecento dei Civici musei di Padova, a cura di C. Limentani Virdis, D. Benzato, C. Butelli, Milano 1994.[]
  17. Le immagini a stampa erano sempre accompagnate da versi latini, le prime quaranta ad opera di Franco Estius.[]
  18. A. Pigler, Barockethemen, Akademiai Kiadò, Budapest 1974, voll. II, pp. 165-166; Netherlandish artist, Hendrik Goltzius …,1982, p. 317, n. 40.[]
  19. J. Cougard-Fruman, Sur les ateliers de broderie…, 2014, pp. 87-94 ; R. Civiletto, schede nn. 3-4, in Ricamata pittura…, 2021 pp. 115-117.[]
  20. E. D’Amico, M. Sebastianelli, Due inediti quadretti…,2012, pp. 88-105; R. Civiletto, schede nn. 1-2, in Ricamata pittura…, 2021 pp. 110-114.[]
  21. M. Loiacono, schede nn. 7-10, in Il filo di Marianna…, 2003, pp. 55-56.[]
  22. Per approfondimenti sull’argomento si rimanda all’esaustivo studio di E. D’Amico Artificio e Realtà…,1992, in particolare, per il confronto con un’opera affine stilisticamente al collage in esame s. v. T. Fittipaldi, scheda n. 47, pp.158-159.[]