Fortunato Pio Castellani scopritore del così detto “antico giallone” e vero innovatore dell’oreficeria romana di metà Ottocento
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DOI: 10.7431/RIV31082025
Veramente spregevolissima infingardaggine è quella, di riposare tranquilli sopra gli insegnamenti dei nostri maggiori: che quelli, il quale in alcuna parte almeno non cerca di far meglio che gli altri non fecero, deve di necessità peggiorare, come l’esperienza giornaliera dimostra. Tali verità, perché sempre a me care fino dai primi anni delle mie occupazioni metallurgiche, mi impegnarono a quella dirigenza, che ad alcun utile risultamento potessero condurmi 1.
La dinastia degli orafi romani Castellani e la loro nota produzione, che si estende dagli anni Dieci del XIX secolo fino agli anni Trenta del Novecento, è materia di una ricca bibliografia costituita da saggi, articoli, voci enciclopediche 2, monografie e cataloghi di mostre grazie ai quali è stata ricostruita la grande parabola che inizia con la figura di Fortunato Pio (1794-1865) (Fig. 1) e si conclude con Alfredo (1856-1930), passando attraverso le più note personalità del poliedrico Alessandro (1823-1883) sperimentatore di nuovi metalli in oreficerie 3, e del fratello Augusto (1829-1914) vero detentore della bottega orafa per oltre un cinquantennio.
Negli ultimi anni la ricerca sulla produzione dei Castellani si è concentrata soprattutto su tre filoni: l’indagine archeometrica sulla realizzazione dei famosi “ori archeologici”, l’analisi sulle opere più rappresentative dell’intera produzione 4 e, ancor più recentemente, la ricerca archivistica e la pubblicazione dei registri della bottega, o per meglio dire dell’atelier, grazie al consistente fondo Castellani conservato presso l’Archivio di Stato di Roma 5. Un esempio è il recente saggio della giovane studiosa Denise Di Castro che pubblica una corposa mole di documenti inediti che permettono di ricostruire molte fasi dell’attività dell’atelier Castellani sito a piazza di Trevi, soprattutto negli anni che videro la direzione di Augusto 6. Meno approfondito è stato invece l’approccio ad alcuni testi che i vari membri della famiglia Castellani pubblicarono durante gli anni e che costituiscono un caso pressoché unico negli studi delle arti decorative romane del XIX secolo. Vere e proprie fonti “di prima mano” attraverso le quali si possono meglio indagare ed approfondire alcuni aspetti tecnici, ma anche umani e professionali, dei membri di questa celebre dinastia. Materiali a stampa che vengono in alcuni casi solo citati ma che potrebbero dare nuovi impulsi alla ricerca e aprire nuovi orizzonti di indagine.
Alessandro, ad esempio, è l’autore di quindici pubblicazioni date alle stampe in un intervallo temporale che va dal 1860 al 1880, tre anni prima della prematura morte a soli sessant’anni di età. I suoi scritti, che si concentrano con undici testi per la maggior parte nell’arco temporale tra il 1876 ed il 1879, sono in molti casi redatti per rispondere al grande successo delle collezioni di monili appositamente prodotti in occasione delle Esposizioni Universali di Londra e di Parigi e che largo successo ebbero inoltre sul mercato statunitense 7. A firma di Augusto sono attestate ben tredici pubblicazioni che coprono un arco temporale che va dal 1862 al 1920; tra le prime è il Discorso dell’oreficeria antica pubblicato a Firenze nel 1862 con la quale si approfondiscono i filoni di ricerca sulla produzione orafa in Italia per un arco di tempo di alcuni secoli. I suoi testi successivi si concentrano soprattutto sui materiali riportati alla luce dagli scavi a Roma Capitale con approfondimenti sul Bisellio Capitolino o la Lettiga Capitolina oppure Delle scoperte avvenute nei disterri del nuovo palazzo di giustizia e ancora Un antico pugnale recentemente scoperto. Da tali testi si evince una profonda conoscenza della produzione e della tecnologia antica per quando riguarda le tecniche di fusione, di lavorazione e di decorazione del bronzo e dei metalli preziosi. Si tratta di scritti pubblicati tra 1874 e il 1891 sul bollettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma nel periodo nel quale Augusto fu direttore onorario dei musei e delle collezioni capitoline – dal 1872 –, arricchite anche grazie al cospicuo novero di reperti archeologici, appartenenti alla sua collezione privata, e da lui stesso donati a Musei Capitolini.
Fortunato Pio Castellani
A firma di Fortunato Pio, fondare della dinastia orafa, abbiamo invece un unico testo: si tratta di una relazione tenutasi presso l’Accademia dei Lincei il 10 agosto del 1826 e data alle stampe nell’ottobre successivo col titolo Ricerche chimico-tecnologiche sul colorimento del giallone delle manifatture d’oro, con alcun cenno sulle dorature dei bronzi 8. Un testo dal quale si evincono numerose e preziose indicazioni sull’uomo, sulla situazione della produzione orafa romana dei primi decenni del XIX secolo e sul nuovo approccio che si ebbe nella produzione di oreficerie.
La figura di Fortunato Pio Castellani è stata indagata da Stefano Aluffi Pentini nel catalogo della famosa mostra dal titolo I Castellani e oreficeria archeologica italiana 9; ne emerge il profilo di un uomo nato sullo scorcio del XVIII secolo ma completamente “moderno” e con una mentalità molto diversa dal contesto sociale, culturale, ma soprattutto economico e produttivo della Roma della Restaurazione dei primi decenni dell’Ottocento 10. Un resoconto di tale contesto è ben delineato dal figlio Augusto 11: «Ognuno per sé medesimo può vedere […] che Roma, dalla caduta dell’impero occidentale, visse di vita, per dir così, artificiale; che mai non fu città produttrice, ma, quasi unicamente, consumatrice; non coltivò mai quelle arti e quelle industrie che sono le vere fonti della ricchezza. Le quali arti e industrie non è possibile che nascano e giungano al più alto grado di prosperità in un breve spazio di tempo, ma quella medesima ricchezza artificiale, che aveva durato lunghissimo tempo, cominciò a declinare alla fine del secolo passato, e venne a mano a mano tramutandosi in uno stato pressoché disastroso, per le rivoluzioni e trasformazioni politiche, e per la illanguidita fede religiosa; cioè, insomma, per gli avvenimenti che succedevano presso le varie nazioni di Europa, e che portarono violenti scontri anche nello Stato pontificio. Prima, le due brevi dominazioni francesi in Roma, sotto la Repubblica e sotto l’impero; poi i moti rivoluzionari del 1821 e del 1831.»
Fortunato Pio sembra reagire fin da giovanissimo, con i suoi strumenti da orafo, a tale situazione produttivo/economica che «venne a mano a mano tramutandosi in uno stato pressoché disastroso». Figlio del maestro argentiere Pasquale Castellani (1754 – 1797) noto come lavorante nel 1776 ed attivo dal 1783 al 1792 con sede nei pressi della chiesa di S. Giuseppe a Capo le Case 12, prematuramente scomparso a 43 anni, Fortunato Pio, nato nel 1794, rimane orfano a circa tre anni passando sotto la tutela dello zio materno Sebastiano Santucci, sacerdote ed educatore presso i principi Chigi. È con molta probabilità da quest’ultimo che ottiene un’ottima formazione culturale ma anche modi e costumi che gli permetteranno di frequentare per decenni l’aristocrazia romana e diventare dai primi anni Trenta, per più di un ventennio, anche grazie alle sue doti di straordinario imprenditore, fornitore di preziosissimi manufatti prima per Casa Rospigliosi e successivamente per i Borghese e i Doria Pamphilj 13. Tuttavia, non è noto da chi apprese il mestiere di famiglia 14. Ragazzo determinato nel seguire le orme paterne, aprì ventenne una bottega orafa in via del Corso e l’anno successivo nel 1815 ottenne la patente di maestro 15 avviando in quello stesso anno, come si evince da un saggio scritto a Londra dal figlio Alessandro 16, la sua produzione e siglando le opere con un proprio punzone caratterizzato dalla sigla F111C (Fig. 2) racchiuso in una losanga schiacciata, come d’uso dopo la riforma del cardinale Bartolomeo Pacca 17.
Scarsissime sono le sue opere firmate e oggi note, come la celebre Pace (Fig. 3) in argento e niello del 1840 conservata presso l’Università e Nobile Collegio degli Orafi, Gioiellieri, Argentieri dell’Alma Città di Roma. A questa va accostato il così detto Calice Castellani (Fig. 4) commissionato dalla città di Roma quale dono a papa Pio IX nel 1846, conservato presso il museo della basilica di Santa Maria Maggiore a Roma 18, in argento dorato e pietre preziose, del quale si conserva un progetto grafico (Fig. 5) a firma di Michelangelo Caetani, duca di Sermoneta 19. A tali opere vanno avvicinati i numerosi bei disegni realizzati per Casa Borghese nel 1834 e nel 1837 dal Castellani, in molti casi si tratta di progetti per il rifacimento, in forme più moderne, dei gioielli già appartamenti a Paolina Bonaparte 20. Veri e propri studi dai quali si evince, inoltre, la nuova produzione di monili in stile “floreale” (Figg. 6 – 7) manifestamente in contrasto con le massicce montature in uso nella generazione precedente.
A trentadue anni di età, e a dodici dall’inizio della sua attività, Fortunato Pio presentò all’Accademia dei Lincei i risultati dei suoi lavori sperimentali per riprodurre manufatti in oro dall’intenso colore giallo simile a quello utilizzato dagli antichi. Cosa spinse il giovane orafo ad indagare sulle tecniche antiche ed aprire un filone di ricerca e soprattutto di produzione, che dagli anni Cinquanta avrà un successo inimmaginabile, è chiarito nelle parole riportate all’inizio di questo testo, tratte dalla prima pagina della sua conferenza.
Fortunato Pio «cerca di far meglio che gli altri non fecero […] fino dai primi anni delle [sue] occupazioni metallurgiche» indagando con i suoi mezzi scientifico-sperimentali “nuovi” materiali per diversificare le sue creazioni e aprire nuove strade produttive. La produzione orafa romana ancora nei primi decenni del secolo appare stagnante con celebri botteghe che ripetono, con pochissime innovazioni e proposte, stilemi neoclassici cercando di rinnovare gli elementi decorativi grazie ad echi della produzione non europea; esemplificativa di tale quadro è la figura di Pietro Paolo Spagna 21, discendente di una famiglia di celebri orafi attivi dai primi del Seicento ed erede del celeberrimo atelier Valadier in via del Babuino, acquistato nel 1827 dal padre Giuseppe Spagna dal cognato Giuseppe Valadier, zio di Pietro Paolo 22. Lo stesso valga per Pietro e Francesco Ossani che ripropongono, specie nelle suppellettili ecclesiastiche, stilemi dal gusto neo-barocco 23. Ancora nel quarto decennio del XIX secolo la situazione appare invariata come nelle parole di Augusto: «nel 1835 le botteghe di oreficeria in Roma sommavano a poco più della ventina: le officine di argentiere erano forse altrettante e vi si lavoravano altresì utensili in bronzo, per di più dorati e inargentati, per uso di chiesa, sopra i modelli del secolo passato: si avverta, peraltro, che queste officine era un numero di operai assai maggiore che non in quelle di orafo, delle quali tre o quattro solamente aveva più di 10 lavoranti. In tutto erano circa 400. Gli orefici imitavano i lavori ginevrino ed incastonava bene i brillanti e le gemme, copiando con molta intelligenza i lavori di un operaio russo, certo Zwerner, che fin dal 1830 si era stabilito in Roma» 24. La situazione è ribadita nelle parole di Alessandro: «il traffico maggiore era, come nella rimanente Italia, di brillanti, di gemme e di lavori inglesi, francesi e ginevrino. In Roma dunque gli orafi non erano produttori, né industriali, né artisti ma quasi non altro che trafficanti di un commercio di importazione» 25.
Le lettere di Fortunato Pio degli anni 1830-1850 attestano che anch’egli commerciasse da tempo oreficerie provenienti dal nord Europa per rispondere alla richiesta del mercato «a Ginevra aveva regolari rapporti d’affari con le case Bautte, Alliez Bachelord Terond, Vacheron et Costantin, e saltuariamente con Moynier et fils, Duchene et Peyrot, Moricard et Degrange, e Mayynadier» 26. Al contempo Castellani non smise mai d’indagare sull’oreficeria antica e rintracciò presso il villaggio di Sant’Angelo in Vado, al confine tra Marche e Toscana, alcuni artigiani che perpetuavano, per la produzione di gioielli popolari, tecniche non più in uso e ai quali affidò i lavori più delicati nella riproposizione di gioie in “stile archeologico” 27.
Il giallone
La relazione Ricerche chimico-tecnologiche sul colorimento del giallone delle manifatture d’oro, con alcun cenno sulle dorature dei bronzi ha assunto valore di “manifesto” della intera produzione Castellani e, benché citata da tutta la letteratura specifica, merita un approfondimento ancora non attuato 28.
Il testo di 28 pagine inizia con lo specificare le caratteristiche fisiche dell’oro, quali brillantezza e duttilità, ma anche la necessità di fonderlo e di lavorarlo non puro quanto piuttosto in lega con altri metalli quali il rame e l’argento. Un’esigenza dovuta affinché il metallo «acquisti vari gradi di durezza, di elasticità, e di colore ma al tempo stesso quel bel giallo, a lui proprio quando purissimo si presenta, e che nel suo splendore non può descriversi, va tosto più o meno ad alterarsi per queste leghe»; più nello specifico «il rame […] vi comunica molta elasticità e ne agevola la fusione, fa sì che il suo colore divenga rossigno, o di aurora come suol dirsi; e l’argento, che a maggior resistenza e rigidità lo conduce, aumentandone ancora la fusibilità, fino al punto di potersi impiegare per saldature degli stessi lavori d’oro, così ne altera la tinta che da un leggero e piacevolissimo impallidimento, e porta per fino a quel verde, che profittevolmente si adopera dagli orefici negli ornati in rilievo».
A ciò si aggiunga che nelle varie operazioni di fusione, e successivi riscaldamenti con esposizione alla fiamma per la saldatura delle varie parti, soprattutto nell’utilizzare la lega a «titolo legale che contiene una quarta parte di altro metallo» generalmente costituita da rame, la colorazione dell’oro tende ad alterarsi ed a diventare molto scura. Un inconveniente a causa del quale è necessario sottoporre i manufatti a bagni «in un’acqua acidula d’aceto solforico […] che l’apparenza nerastra sparisce ma la loro superficie rimane di un colore giallo biancastro molto spiacente: che dicesi, bianchire; e bianchimento per azione con la quale si effettua un tal cambiamento» 29. Operazioni, quindi, che ancor più modificano la tonalità delle superfici specie nel caso di opere in «filigrane e cordelle che non potendosi pulimentare, si presentano di un colore sgradevole prodotto dall’azione del fuoco, che di necessità deve adoperarsi per costruirle». L’esigenza di realizzare opere dal bel color giallo intenso delle oreficerie antiche si pose quindi come basilare «fino dai primi anni delle mie occupazioni metallurgiche».
Fortunato Pio attribuisce l’alterazione del colore dell’oro e della perdita della sua brillantezza alla solubilizzazione del rame, contenuto in lega, e alla conseguente formazione sulle superfici di micro alveolizzazioni che inibendo la vibrazione della luce sulle superfici metalliche restituiscono quindi una tonalità spenta; osservazione che permette a Castellani di confermare, come lui stesso cita, quanto pubblicato dal chimico inglese John Mac Culloch (1773-1835) 30. Nacque quindi l’intento di condurre sperimentazioni per superare tale inconveniente che Fortunato Pio basa sull’analisi preliminare delle fonti ad iniziare dai testi di Plinio il Vecchio che nella Naturalis Historia (XIII, 4-5) descrive le metodologie in uso da Dioscoride e da Galeno con l’uso della chrysocolla, da χρυσός “oro” e κόλλα “colla”, un silicato di rame (Fig. 8), impiegato per le saldature dell’oro. Castellani sostiene nel testo che tale minerale non sia così specificatamente utile per unire più parti tra loro, come generalmente ritenuto, quanto piuttosto per accentuare la brillantezza delle superfici, come venne inoltre indicato da Benvenuto Cellini nella descrizione della produzione del bottone d’oro per Papa Clemente VII 31. Premesso che le ricette degli antichi e degli artisti rinascimentali siano state conservate di generazione in generazione e siano andate perse in epoca moderna, Fortunato Pio analizza alcuni metodi in uso dalla fine del settecento e i primi decenni del XIX secolo per ripulire le superfici e dargli una maggiore brillantezza. In base alle sue sperimentazioni egli sconsiglia, quindi, l’uso di prodotti più comunemente usati, quali «una mistura che contenendo dell’acido arsenioso può essere dannosissima all’operatore [che si presenta come] una polvere composta da acido arseniosa, solfato di alluminio e potassa, idroclorato di soda ossido di ferro e argilla» che non dà risultati soddisfacenti così come una seconda sostanza composta «da nitrato di potassio, idroclorato di soda e solfato di potassa alluminoso; nelle proporzioni qui in Roma di due del primo ed una in peso degli altri Sali» 32. Seguono numerose osservazioni sull’analisi delle reazioni chimiche che avvengono con tali prodotti nel rimuovere le sostanze superficiali prodotte dal calore, nel tentativo di dare alle superfici un tono brillante, al tempo stesso dell’impoverimento della lega metallica sia per sottrazione del rame sia per sottrazione dello stesso oro rendendo i manufatti più fragili. L’orafo riferisce delle analisi compiute sui materiali di scarto e sulle soluzioni chimiche tradizionalmente utilizzate che contengono discrete quantità di metalli preziosi – con un considerevole danno economico – che al contempo non risolvevano le problematiche che si intendevano affrontare. Anzi, nell’utilizzazione di un composto in uso da alcuni anni l’autore aggiunge: «non mi è riuscito in alcun modo di colorire con la medesima né anche Imperfettamente» 33; a ciò Castellani aggiunge riflessioni sull’estrema complessità delle operazioni necessarie al loro uso e, non ultimi, i risultati finali non soddisfacenti, in quanto le superfici molto spesso apparivano macchiate.
Il testo prosegue con il resoconto dei numerosi esperimenti nei quali Fortunato Pio indagò direttamente sui manufatti, cercando di correggere i limiti dei composti utilizzati nelle botteghe romane ed in specifico di uno di questi «adoperato d’ordinario in Parigi» 34 nella necessità di riparare le alveolizzazioni opacizzanti con empiriche soluzioni. Anche queste ultime vengono attentamente analizzate e illustrate, tenendo ben presenti gli studi degli specialisti nord europei della materia, mettendo così in evidenza anche la sua preparazione sui testi, che cita con dovizia di particolari. Ad esempio riporta gli studi di noti scienziati come il chimico dei metalli Jaen D’Arcet (1724-1801) «benemerito soprattutto delle arti metallurgiche» 35 e lo spagnolo José Luis Casaseca y Silván (1800-1869), impegnati nella nascente chimica dei materiali nella prima metà del XIX secolo.
Castellani, quindi, applicò all’oreficeria, con una nuova consapevolezza e base scientifica, i principi delle pile di corrosione anodo-catodo, accostando e aggiungendo nel composto liquido ove immergere gli oggetti da “colorire” sali d’oro nella forma di “alcune goccioline di soluzione d’idroclorato di oro” e piccole porzioni di rame.
Nella relazione ai Lincei egli pertanto illustrò i risultati raggiunti dalle sue sperimentazioni che lo portarono a mettere a punto due nuovi composti chimici che gli permisero di ottenere superfici perfettamente uniformi e quindi riflettenti grazie ad una “ridoratura” delle superfici dei manufatti, definita in più pagine “colorimento”, al fine di creare la chiusura delle alveolizzazioni opacizzanti, con il rideposto di oro in soluzione. Indicative le parole dell’orafo «che altro non accadesse nel comparire il gallone, se non una precipitazione di sottilissime molecole d’oro, le quali riempissero le cavità della manifattura e che sulla superficie della medesima si disponessero in tal maniera, che questa potesse riflettere piacevolmente la luce» 36.
Senza entrare nello specifico dei metodi che egli descrive e fintanto nell’impiego degli strumenti utilizzati, altresì presenti nelle botteghe orafe del periodo, quello che preme sottolineare è la necessità che Castellani ribadisce nel risolvere prima di tutto il problema sanitario: i composti chimici da lui proposti, infatti, sono completamente innocui per gli operatori a differenza delle miscele generalmente utilizzate che, «contenendo dell’acido arsenioso possono essere dannosissime all’operatore» 37, sprigionando vapori con risvolti letali. Seguono consigli pratici per i colleghi che intendono utilizzare questo metodo, quali la necessità di riprendere confidenza con i composti e ripetere più e più sperimentazioni fino a conoscere appieno i materiali da utilizzare.
Nelle ultime pagine Fortunato Pio si rivolse direttamente ai Lincei nella consapevolezza che fosse necessario «da parte dei chimici perfezionare e correggere […] le mie teorie, e la mia pratica a vantaggio delle arti metallurgiche: mentre ancora io la mia parte non negligenterò a tale oggetto delle ulteriori ricerche» 38.
Come è sottolineato da tutti gli studiosi, fu in occasione della conferenza ai Lincei e grazie all’acutezza di tale relazione che nacque la profonda amicizia fra Fortunato Pio e Michelangelo Caetani (1804-1882), uomo colto e di raffinatissima intelligenza, che portò a un sodalizio che cambiò definitivamente la produzione orafa italiana romana, permettendo di far nascere le celebri produzioni Castellani ispirate – non soltanto delle forme ma anche nella materialità e nella tecnica – alla tradizione antica. Poco evidenziata è invece la comune iniziativa di aprire nel 1840 una scuola d’arte orafa per formare giovani artefici al gusto della tradizione antica, come evidenziato da una lapide, più tarda, murata presso il busto marmoreo che ritrae Fortunato Pio nella sagrestia della chiesa di S. Eligio degli Orefici annessa alla Università e Nobil Collegio degli Orefici Gioiellieri Argentieri dell’Alma Città di Roma. Tuttavia, se il fruttuoso legame fra il duca e l’orafo è stato oggetto di molti studi e approfondimenti, appare altrettanto importante, e ancora tutta da indagare, la formazione chimica di Fortunato Pio. Questa è ben evidenziata nel suo testo: si basa su un’innata mente speculativa e sperimentale, ma anche grazie all’entourage che il giovane orafo dovette frequentare negli anni immediatamente precedenti alla data della conferenza, che lo instradò verso tali ricerche di metallurgia applicata in linea con i più moderni studi di chimica dei materiali. Il suo ingresso come relatore all’Accademia dei Lincei lo si deve al religioso Feliciano Scalpellini e al chimico Domenico Lino Morichini 39.
Si tratta di due personaggi di grande importanza nella Roma del periodo sui quale è necessario soffermarsi. Il primo, il folignate Feliciano Scalpellini (1762-1840) 40, nipote dell’architetto Giuseppe Piermarini, si trasferì a Roma ove prese i voti e divenne educatore a casa dei marchesi Frangipane. Fisico e matematico di fama, insegnò presso le università Gregoriana e La Sapienza, fondò un’accademia di studi scientifici e ideò numerose macchine per dimostrare varie teorie di fisica. Nell’ultimo decennio del XVIII secolo fu precettore dei Caetani per volontà di Francesco V (1738-1810), XI duca da Sermoneta e direttore della “Specola Caetani”, il primo osservatorio astronomico di Roma istituito nel palazzo di via delle Botteghe Oscure. Diresse presso l’Arco dei Ginnasi un’accademia di studi scientifici e divenne ben presto segretario a vita della Nuova Lincei fondata dal duca Caetani nel 1780 poi rifondata nel 1801, divenendo protagonista della rinascita dell’istituzione fondata da Federico Cesi nel 1603 41. Con alterne vicende legate alla situazione politica romana, fu punto di riferimento degli studi scientifici cittadini fino alla morte, avvenuta nel 1840.
Il secondo pigmalione di Fortunato Pio fu Domenico Lino Morichini 42. Nato nel 1773 nei pressi dell’Aquila, si trasferì a Roma ove divenne un noto medico presso l’ospedale di Santo Spirito e dal 1801 al 1830 fu professore della cattedra di chimica presso l’Università La Sapienza, oltre che autore di importanti scoperte scientifiche a livello mondiale. Sono questi due personaggi di primo piano nel mondo scientifico romano che andrebbero meglio indagati, non solo quali promotori della conferenza all’Accademia dei Lincei ma probabilmente quali punto di riferimento per la formazione e l’attività di sperimentazione di Castellani, che portò alla stesura del testo della fortunata conferenza. Inoltre, fu probabilmente Scalpellini, ben prima della conferenza ai Lincei, il tramite per gli iniziali e determinanti rapporti tra Fortunato Pio e Michelangelo Caetani, giovane nipote del duca Francesco, che lo scienziato dovette conoscere a fondo avendo per anni frequentato il palazzo di famiglia come precettore del futuro duca Enrico, padre di Michelangelo.
Uno scritto di Alessandro Castellani 43 mette ben in evidenza l’importanza della figura del padre, quale vero protagonista – purtroppo meno approfondito negli studi rispetto ai due figli – delle celebri manifatture Castellani, anche grazie al caldo colore del giallone. Riferendosi alla prima attività del loro atelier orafo, Alessandro ricorda che «le imitazioni dei gioielli antichi, eseguiti da lui [Fortunato Pio] col consiglio e con i disegni del duca di Sermoneta, [che inizialmente] avevano poco smercio e non erano apprezzate che da alcuni archeologi e intendenti di cose da arte» ben presto permisero alla «oreficeria romana, esercitata, non solo dall’officina Castellani, ma anche in quelle di moltissimi imitatori» a contrastare e vincere «nelle nostre città la [concorrenza] straniera tanto sotto il riguardo dell’industria, quanto sotto quello dell’arte». Il tutto grazie a Fortunato Pio e alle sue qualità imprenditoriali e alla fitta rete di rapporti con l’aristocrazia romana e internazionale presente a Roma e con il determinante aiuto di Michelangelo Caetani. Tale sviluppo si deve, tuttavia, soprattutto grazie all’approccio dell’orafo non più empirico e legato a metodologie tradizionali, ma finalmente scientifico per quella che non è, come comunemente definito, la “scoperta del giallone”, quanto piuttosto la messa a punta di un nuovo metodo rigoroso per creare opere in oro di un tono caldo estremamente piacevole – permettendogli di ottenere manufatti che cambiarono l’arte orafa romana – e che generosamente mise a disposizione dei colleghi con la pubblicazione della nota conferenza.
Ancora nei primissimi anni Cinquanta, allorquando l’ormai sessantenne Fortunato Pio cedette ai figli la direzione del suo celebre atelier, egli ne restò vero protagonista grazie ad alcune fondamentali scelte che caratterizzarono il ritratto di un uomo quale figlio del suo tempo ma con le radici ben salde nella Storia, come la nascita della celebre collezione di gioielli e manufatti antichi in risposta alla delusione circa la vendita della preziosa raccolta del marchese Campana a Napoleone III, alla quale si oppose strenuamente (Fig. 9).
- F.P. Castellani, Ricerche chimico-tecnologiche sul colorimento del giallone delle manifatture d’oro, con alcun cenno sulle dorature dei bronzi, in Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti, XXXIII, Roma, ottobre 1826, pp. 62-90, in particolare p. 62.[↩]
- Di particolare importanza in quanto riassume gli studi sui Castellani è a firma di G. Bordenache Battaglia, M. G. Gajo, G. Monsagrati, Castellani, in Dizionario Biografico degli Italiani, s.v., Volume 21 (1978), in particolare il testo a firma M. G. Gajo.[↩]
- S. Guido, Un tagliacarte di Alessandro Castellani su disegno di Michelangelo Caetani e l’utilizzo in oreficeria di un nuovo prezioso metallo: l’alluminio, in “OADI”, Dicembre XX, (2019), pp. 111-133[↩]
- Si veda ad esempio sul calice di papa Pio IX di Fortunato Pio: S. Guido, “Il Calice Castellani” della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, in “Studia Liberiana”, IV, Roma 2011, pp. 265-281, 403-412; Id., L’oreficeria sacra dei Castellani in Vaticano. Museo storico artistico del tesoro di S. Pietro, Città del Vaticano 2011.[↩]
- D. Sinisi, L’archivio della famiglia Castellani, in I Castellani e l’oreficeria archeologica italiana, catalogo della mostra (edizione italiana) a cura di A. M. Moretti Sgubini – F. Boitani, Roma 2005, pp. 309-310.[↩]
- D. Di Castro, The Castellani jewelry Workshop. An approach under the lens of archival material, Roma 2019, con esaustiva bibliografia precedente.[↩]
- Circa le numerose esposizioni nazionali ed internazionali alle quali i Castellani parteciparono si rimanda al fondamentale saggio di S. Weber Soros, “Sotto il baldacchino della civiltà”. Gioielli e metalli Castellani alle grandi esposizioni internazionali, in I Castellani 2005, pp.201-249.[↩]
- F.P. Castellani, Ricerche …,1926, pp.62-90.[↩]
- S. Aluffi Pentini, Fortunato Pio Castellani: fondatore della bottega e orefice dell’aristocrazia romana, in I Castellani 2005, pp. 67-81. Si veda inoltre l’opinione di M.G. Gajo, in G. Bordenache Battaglia, M. G. Gajo, G. Monsagrati, Castellani…, 1978.[↩]
- Per un inquadramento storico del periodo si rimanda a J. A. Dawis, Roma nel secolo dei Castellani, in I Castellani 2005, pp. 3-19, in particolare pp. 3-8.[↩]
- S. Aluffi Pentini, Fortunato Pio…, 2005, pp.74-79.[↩]
- C. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d’Italia, I, Roma 1958, p. 261.[↩]
- S. Aluffi Pentini, Fortunato Pio…, 2005, pp.74-79.[↩]
- S. Walker, La famiglia Castellani da Fortunato Pio ad Alfredo, in in I Castellani 2005, pp. 21- 65, in particolare pp. 21- 24.[↩]
- Sempre nel 1815 posa Caterina Baccani dalla quale avrà otto figli. C. Bulgari, Argentieri…, I, 1958, pp. 261-262.[↩]
- A. Castellani, A memoir on the Jewellery of the Ancients, Proceedings at the Meeeting of the Archeological Institute, 5 luglio 1861, in “Archeological Journal”, 18, 1861, pp. 365-369, in partcolare p. 367.[↩]
- A. Calissoni Bulgari, Maestri argentieri, gemmari e orafi di Roma, Roma 1987, p. 56.[↩]
- S. Guido, “Il Calice Castellani”…, 2011, pp. pp. 265-281, 403-412.[↩]
- C. Fiorani, Michelangelo Caetani e Alessandro Castellani. “L’antico gusto non piace che a pochi, a me piace infinitamente ed esclusivente”, in “La camera delle meraviglie, catalogo della mostra a cura di A. Russo Tagliente – I. Caruso, Roma 2015, pp. 45-47.[↩]
- S. Aluffi Pentini, Fortunato Pio…, 2005, pp.74-79.[↩]
- Sulla corposa letteratura su tale argomento si rimanda per ultimo a S. Guido, L’Antinoo Albani di Pietro Paolo Spagna – Un inedito objet d’art nel solco dei Valadier, in “OADI”, Giugno XXIII, (2021), pp. 101-121.[↩]
- Sulla attività conclusiva di Giuseppe Valadier nel campo dell’oreficeria e il passaggio dell’atelier, ereditato dal padre Luigi, si rimanda con bibliografia precedente a: S. Guido, L’ultimo Valadier: il fonte battesimale della Basilica di Santa Maria Maggiore e annotazioni sulla “Custodia della Sacra Culla”, in “OADI”, Giugno XXI, (2020), pp. 139-158.[↩]
- Circa le figure dei due orafi romani di si rimanda a S. Guido, Francesco e Pietro Ossani, orafi romani negli archivi della Fabbrica di San Pietro, in corso di stampa.[↩]
- A. Castellani, L’arte nell’industria, in Monografia di Roma e della campagna romana, vol.2 (1878), p. 395-420, in particolare pp.403-404. Lo stesso Zwerner lavorò inizialmente nella bottega di Castellani per «insegnare a Fortunato Pio ad incastonare le pietre con perizia»; cfr. S. Aluffi Pentini, Fortunato Pio …, p. 68.[↩]
- A. Castellani, A memoir on …,1861, p. 397.[↩]
- S. Aluffi Pentini, Fortunato Pio …, p. 68.[↩]
- M.G. Gajo, Castellani…, 1978, in G. Bordenache Battaglia, M. G. Gajo, G. Monsagrati, Castellani, in Dizionario Biografico degli Italiani, s.v., Volume 21 (1978).[↩]
- Il testo non ha mai avuto ad oggi un meritevole approfondimento che qui per ragioni di spazio viene delineato ma sul quale ci si propone in futuro una analisi più dettagliata.[↩]
- F.P. Castellani, Ricerche chimico-tecnologiche…, 1826, pp. 68-69[↩]
- F.P. Castellani, Ricerche chimico-tecnologiche…, 1826, p. 73[↩]
- F.P. Castellani, Ricerche chimico-tecnologiche…, 1826, pp. 64-66.[↩]
- F.P. Castellani, Ricerche chimico-tecnologiche…, 1826, pp. 68-69.[↩]
- F.P. Castellani, Ricerche chimico-tecnologiche…, 1826, p. 63.[↩]
- F.P. Castellani, Ricerche chimico-tecnologiche…, 1826, p. 69.[↩]
- F.P. Castellani, Ricerche chimico-tecnologiche…, 1826, p. 63.[↩]
- F.P. Castellani, Ricerche chimico-tecnologiche…, 1826, p. 73.[↩]
- F.P. Castellani, Ricerche chimico-tecnologiche…, 1826, p. 63.[↩]
- F.P. Castellani, Ricerche chimico-tecnologiche…, 1826, p. 88.[↩]
- M.G. Gajo, in G. Bordenache Battaglia, M. G. Gajo, G. Monsagrati, Castellani, in Dizionario Biografico degli Italiani, s.v., Volume 21 (1978).[↩]
- F. Favino, Scarpellini, Feliciano, “Dizionario Biografico degli Italiani”, vol. 91 (2018), s.v.[↩]
- Ibidem.[↩]
- F. Calascibetta, MORICHINI, Domenico Lino, s.v. “Dizionario Biografico degli Italiani”, vol. 76 (2012), s.v.[↩]
- A. Castellani, L’arte nell’industria, 1878, p.396-397.[↩]